Il Consiglio di Stato pronunciandosi sul ricorso per l’annullamento della sentenza del TAR Lazio, Sezione di Latina, n. 961 del 29 ottobre 2002, chiarisce, da un lato, quale sia il confine tra la competenza del Giudice Amministrativo ed il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche e, dall’altro, affronta la questione della legittimità del comportamento tenuto dalla Commissione di gara nella procedura effettuata per la selezione del socio privato di minoranza della società mista di gestione del servizio idrico integrato.
Relativamente al primo aspetto, il Giudice amministrativo – analizzando l’eccezione pregiudiziale secondo cui vi sarebbe un difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, posto che la controversia avrebbe dovuto essere portata alla cognizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche – sottolinea come “secondo consolidato orientamento (ribadito ancora di recente da Cass. Civ., SS. UU., 13 gennaio 2003 n. 337) la giurisdizione di legittimità in unico grado attribuita al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche dall’art. 143, comma 1, lett. a), R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775 con riferimento ai <<ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche>>, sussiste solo quando i provvedimenti amministrativi impugnati siano caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche…mentre restano fuori da tale competenza giurisdizionale tutte le controversie che abbiano ad oggetto atti solo strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche”. In questa prospettiva, posto che nella vicenda in esame “la materia del contendere riguarda l’individuazione del socio privato di minoranza di una società mista finalizzata alla gestione del servizio idrico integrato…l’idoneità ad incidere sul regime delle acque pubbliche e la gestione delle opere idrauliche interessate…appare evidentemente molto lontana ed indiretta”.
Per quanto riguarda il merito della questione, l’illegittimità della procedura di selezione risiederebbe, ad avviso di parte ricorrente, nel fatto che la Commissione di gara avrebbe introdotto, successivamente all’avvenuta apertura delle buste (e, quindi, ad offerte economiche aperte e già note) criteri di valutazione nuovi rispetto a quelli imposti nelle prescrizioni di gara. Più precisamente, viene contestato che la Commissione avrebbe stabilito quale ulteriore metodologia di confronto tra le offerte tre nuovi parametri: 1) considerare quale criterio di riferimento i dati caratteristici proposti dal piano dell’A.T.O. ai quali viene assegnato il valore numerico corrispondente alla soglia minima dei punteggi; 2) attribuire il punteggio massimo all’offerta migliore e punteggi desunti secondo la proporzionalità diretta alle restanti offerte; 3) attribuire, nell’ipotesi in cui una delle offerte, in riferimento al parametro costituito dal piano abbia un punteggio negativo, un punteggio riconosciuto pari a zero.
Il Consiglio di Stato, nel respingere il ricorso, osserva che “l’enunciazione dei criteri di valutazione delle offerte economiche…non è che la ricognizione e conferma o, al più, esplicitazione da parte della commissione di criteri già espressi nella legge di gara e nei chiarimenti forniti dall’Amministrazione”, e che “l’intera procedura, come emerge dall’esame del bando di gara, appare volta al conseguimento di offerte migliorative del Piano d’Ambito approvato”. In tale prospettiva, deve, quindi, osservarsi che “se quelli risultanti dal Piano di Ambito sono gli elementi minimi di confronto, dovendo le imprese partecipanti presentare offerte migliorative così come previsto dal bando e dal disciplinare di gara, con essi non possono che coincidere le soglie minime di punteggio”.
In tale linea di ragionamento, il Consiglio di Stato, convenendo con il giudice di primo grado, osserva che non si deve considerare “come determinazione di un criterio nuovo…l’attribuzione del punteggio massimo all’offerta migliore e punteggi desunti secondo una proporzionalità diretta alle restanti offerte, con l’intesa di eguagliare allo zero l’eventuale punteggio negativo, vale a dire sotto la soglia minima”. Concludendo sul punto, il collegio giudicante afferma, quindi, di non ritenere “che l’operato della commissione sia viziato dai profili d’illegittimità lamentati per aver stabilito nuovi criteri di valutazione delle offerte economiche quando queste erano ormai conosciute. Essa si è, infatti, limitata a riepilogare, ribadire ed esplicitare parametri operativi già acquisiti in base alla legge della gara e resi noti a tutti concorrenti”.