Presentazione del Commentario alla Costituzione della Repubblica Italiana – UTET giuridica, a cura di R. Bifulco, A. Celotto e M. Olivetti – Resoconto convegno

24.01.2007

Roma, 22 gennaio 2007

Il 22 gennaio 2007, presso la Biblioteca del Senato, è stato presentato il Commentario della Costituzione, in tre volumi, coordinato dai professori Bifulco, Celotto e Olivetti. La presentazione dell’opera è stata anche l’occasione per riflettere sullo “stato di salute” della Costituzione repubblicana, ormai vicina ai suoi sessant’anni e all’indomani del referendum costituzionale dello scorso giugno, che ne aveva messo in discussione gran parte del suo impianto originario.

La discussione è stata coordinata dal direttore de La Repubblica, dott. Ezio MAURO, il quale ha sottolineato la interdisciplinarietà del tema che si andava ad affrontare e che vedeva protagonisti giuristi di diversi ambiti. Dopo aver dato lettura del saluto inviato ai partecipanti ai lavori da parte del Presidente del Senato Franco Marini, il coordinatore si è soffermato sui punti principali che emergevano da questo messaggio, ovvero la necessità di limitarsi a modifiche condivise della Carta costituzionale e che questa, nelle diverse epoche storiche, ha vissuto momenti diversi, venendo prima sottovalutata e poi ritenuta da più parti fonte di tutte le disfunzionalità del sistema.

Il primo intervento è stato del prof. Natalino IRTI, che ha offerto innanzitutto un approccio di carattere diacronico. Chiedersi quale sia lo stato della Costituzione “oggi”, infatti, non può prescindere dall’interrogarsi sia sul passato che su futuro della stessa.
Se nel biennio costituente la Carta aveva rappresentato l’autocoscienza del nascente Stato democratico, realizzando di fatto una identità assoluta tra Stato e Costituzione, in seguito si è assistiti all’avvento di una concezione maggiormente neutra. Ovvero si è passati, da parte dello Stato, dall’“essere” una Costituzione, ad “avere” una Costituzione.
L’evoluzione storica successiva ha portato ad un progressivo indebolimento della sovranità statuale, in massima misura con il processo di integrazione europea, e con essa, ad un indebolimento della stessa Costituzione.
La fase ancora successiva si è poi caratterizzata per un rimando immediato dalla parola “Costituzione” alla parola “riforma”. Consapevole della possibilità, quantomai attuale, di una prossima revisione del testo costituzionale, anche il Commentario oggetto della discussione scinde nettamente tra prima e seconda parte della Costituzione, in forza della diversa attitudine di queste due partizioni alla possibilità di costituire oggetto di modifica. A ben vedere, però, la differenza tra i principi e le regole costituzionali e anche tra la prima e la seconda parte della Costituzione, sono distinte e distinguibili solo in base alla volontà politica di mantenere una simile ripartizione.
Infine, il relatore ha sottolineata come il nuovo Commentario sia frutto di una generazione, nata dopo i trattati europei che probabilmente guarda le problematiche costituzionali con un occhio diverso rispetto a chi li ha preceduti.

Successivamente è intervenuto il prof. Gustavo ZAGREBELSKY, che ha spostato i temi della discussione maggiormente sull’analisi dell’opera che si presentava, anche con notevoli accenti critici sul metodo seguito nella sua redazione.
Preliminarmente, ha sottolineato come la tensione del diritto costituzionale non ne determini necessariamente una riforma. Ad esempio, gli artt. I-4 e I-5 del Trattato costituzionale europeo riconoscono le tradizioni innanzitutto costituzionali degli Stati membri, realizzando un sistema di integrazione, anziché di contrapposizione tra ordinamenti. Di seguito, ha rimarcato la difficoltà di una netta distinzione tra prima e seconda parte della Costituzione, anche in forza del fatto che, ad esempio, una eventuale modifica delle norme sulla Corte costituzionale andrebbe ad incidere direttamente sull’esercizio dei diritti sanciti nella prima parte.
Passando poi alle considerazioni sul nuovo Commentario, il relatore si è chiesto cosa tenga insieme i numerosissimi autori che hanno partecipato alla stesura dell’opera. Mentre era possibile rinvenire una matrice unitaria sia tra gli autori del Commentario Branca-Pizzorusso, nella comune adesione ai contenuti della Costituzione, sia tra gli autori del Commentario breve Paladin-Crisafulli, individuabile nell’approccio del positivismo giuridico applicato al diritto costituzionale, appare invece difficile trovare una ragione unica di comunanza tra i nuovi autori, al di fuori del dato generazionale.
Ciò appare massimamente – a detta del relatore – nella postfazione redatta dai curatori, ove si assiste ad una completa presa di distanza dall’oggetto del Commentario, arrivando a domandarsi circa la idoneità della Carta costituzionale a sorreggere l’intero impianto democratico. Da un altro punto di vista, viene messa in risalto l’assenza di un metodo univoco.
Da queste considerazioni, l’unico dato comune ai singoli commenti che vada al di là del mero carattere anagrafico sembra essere quello di confrontarsi con il “disfacimento della Costituzione”, ovvero nel concepire la stessa Costituzione non già come un corpus unitario, bensì, seguendo una impostazione fornita a suo tempo da Schmitt, come un insieme di singole leggi costituzionali, modificabili ed interpretabili indipendentemente l’una dall’altra. Non a caso ogni commento si chiude con un paragrafo dal titolo “crisi e riforma” il che appare quantomeno clamoroso riscontrandosi, ad esempio, anche all’art. 1 Cost.
Il dato che emerge, in definitiva, è una frattura tra “generazioni costituzionali”. Ciò risulta se non altro dalla concezione di scarsa vitalità della Costituzione che sembra emergere dal nuovo Commentario e che invece, almeno nella sua forma della resistenza passiva, sembra aver trovato nel recente referendum un momento di grande affermazione e che potrebbe trovare il suo lato attivo nella diffusione di una nuova cultura costituzionale.

Nell’intervento successivo, del prof. Giovanni CONSO, ha anzitutto posto l’accento sull’attualità dei valori costituzionali e su una loro possibile crisi. Ove questa fosse riscontrabile, il relatore ne individua la causa non già in una possibile essenza anacronistica dei valori stessi, ma anzi in una crescente non applicazione della Costituzione.
Un simile calo di prescrittività della Costituzione (e delle norme fondamentali comunque intese) va ricercata nella dissoluzione dell’ordinamento causato dal susseguirsi continuo di riforme realizzate o anche soltanto abbozzate.
Un dato positivo del nuovo Commentario sta nella sua attenzione alla dimensione internazionale e sovranazionale, anche attraverso il continuo richiamo alla giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e di Lussemburgo. Inoltre si fanno apprezzare i riferimenti ai precedenti storici ed ai richiami comparati non solo europei.

Il prof. Leopoldo ELIA in apertura del suo intervento ha ricordato come la stessa casa editrice del nuovo Commentario, la UTET, quasi un secolo prima, nel 1909, aveva pubblicato il Commentario allo Statuto del Regno a cura di Racioppi e Brunelli.
Quanto al giudizio sull’opera oggetto di discussione, ha sottolineato che più che l’assenza di un metodo unitario si ravvisano dei “dislivelli” nel complesso del lavoro, che consigliano una riedizione futura, anche per tenere conto del le novità intercorse già in questi ultimi mesi (come la sentenza della Corte cost. n. 200 del 2006, sul potere di grazia).
Soffermandosi invece sulle prospettive della Carta costituzionale, il relatore ha sottolineato la possibilità di riforme condivise, ma che siano coerenti con lo spirito originario della Costituzione stessa e non ne stravolgano i principi-base, che non vanno ricercati solo nella prima parte. Infatti, ad esempio, potrebbero essere accettabili riforme come quelle tendenti ad una forma di cancellierato che preveda l’elezione del presidente del Consiglio da parte delle Camere, ma stravolgimenti della forma di governo in senso semipresidenziale, che devino dall’equilibrio della forma di governo parlamentare sembrano inaccettabili.
Infine il relatore sottolinea la rilevanza di alcuni principi della seconda parte della Costituzione, che incidono direttamente sui diritti fondamentali, come il principio di indipendenza della magistratura o l’equilibrio nella forma di governo.

È infine intervenuto il Ministro per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali Vannino CHITI che in apertura ha sottolineato positivamente il dato generazionale che caratterizza gli autori del nuovo Commentario.
Riprendendo la considerazione del prof. Zagrebelsky sulla necessità di una nuova cultura costituzionale, ha evidenziato come ciò sia importante non solo per le nuove generazioni sin dalle scuole, ma anche per i “nuovi cittadini”, la cui integrazione sociale e culturale deve di certo passare per la condivisione dei valori fondanti della Repubblica. Del resto, in un contesto come quello italiano, caratterizzato da un sentimento nazionale controverso e variamente interpretato, la Costituzione potrebbe ben assumere quella valenza di elemento unificante da più parti auspicata.
Dal punto di vista dell’azione del Governo e delle intenzioni di riforma, le possibilità di intervento sulla Costituzione sono limitate ad un eventuale rafforzamento dell’art. 138 nel caso del varo di una nuova legge elettorale che conservi l’impronta maggioritaria, anche attraverso, se del caso, l’inserimento di ulteriori irrigidimenti per ciò che concerne i primi 12 articoli della Carta.
Intanto anche le modifiche di carattere legislativo che incidono direttamente su equilibri costituzionali devono passare per il necessario confronto e accordo con l’opposizione. Innanzitutto l’attuazione dell’art. 119 Cost. sul cd. “federalismo fiscale”, ma anche la revisione del sistema delle Conferenze Stato-autonomie e il varo del nuovo Codice degli enti locali, che è stato approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri.

Conclusi gli interventi dei relatori programmati, la parola è stata ceduta al Sen. Giulio ANDREOTTI, presente in sala, che ha potuto portare la sua memoria storica di membro dell’Assemblea costituente, oltre che di protagonista della vita delle istituzioni repubblicane sin dalla loro genesi.
Il senatore a vita ha ricordato come tra i membri della Costituente era ben presente la “missione” che si andava a compiere e la sua portata che travalicava il campo prettamente giuridico, per posizionarsi come inizio di una nuova convivenza civile fondata sul ripudio della dittatura e, per di più, dopo l’esperienza drammatica del conflitto appena terminato. Non a caso, infatti, il Ministero per la Costituente fu affidato a Nenni, che non era un giurista.
L’importanza che si intendeva dare al dibattito costituente fu ancor una volta sottolineata con il prevalere della linea dettata da De Gasperi, che intese attribuire direttamente al popolo la scelta istituzionale, superando la posizione espressa, tra gli altri, da don Sturzo, che invece avrebbe preferito che a scegliere fosse l’Assemblea stessa. In questo modo, infatti, si permise che il dibattito sulla sopravvivenza della monarchia non catalizzasse completamente il dibattito e che l’opera costituente potesse svolgersi a pieno, ponendo al centro i contenuti.
Concludendo, il sen. Andreotti ha segnalato come auspicabile una integrazione della Carta costituzionale per quanto riguarda lo status dei militari italiani inviati in missione all’estero, soprattutto alla luce delle criticità che si sono di recente manifestate sul punto, in particolare in riferimento all’art. 11 Cost.

È stata quindi data la parola ai curatori dell’opera, anche per replicare ai numerosi spunti emersi nel corso del dibattito.
Ha quindi preso la parola il prof. Alfonso CELOTTO, che ha innanzitutto ringraziato i partecipanti al dibattito, la casa editrice che ha creduto nel progetto ed i numerosissimi studiosi che hanno partecipato alla stesura del Commentario. Rispondendo alle obiezioni sollevate dal prof. Zagrebelsky, ha presentato l’opera come frutto, al contempo, sia di una particolare generazione di studiosi (tutti nati successivamente ai trattati di Roma istitutivi delle Comunità europee), sia di un particolare momento storico (essendo stati i contributi concepiti e scritti nel periodo compreso tra il varo della riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione e il referendum costituzionale del 2006). Da questo punto di vista, la differenza dalle esperienze passate dei Commentari alla Costituzione italiana non va letta come una rottura tra generazioni costituzionali (e di costituzionalisti), ma anche come il frutto di una sorta di “incoscienza” giovanile nell’affrontare un genere – quello del Commentario – che in Italia non è stato prolifico come generalmente è risultato negli altri Paesi. L’elevato numero di studiosi che hanno partecipato al Commentario, se da una parte può essere all’origine di una disomogeneità di approcci, dall’altra costituisce anche una fonte di ricchezza, in quanto è stato possibile abbracciare praticamente tutte le scuole del diritto costituzionale italiano. Infine, ha raccolto l’invito del prof. Elia a rimeditare sin da subito sul risultato, in prospettiva di possibili nuove edizioni del Commentario, soprattutto delle voci che necessitassero aggiornamenti.

Di seguito è intervenuto il prof. Raffaele BIFULCO, anch’egli curatore del Commentario, che ha inteso anch’egli rispondere alle obiezioni sollevate nel dibattito. Dopo aver ribadito l’aspirazione comune ai tre curatori tesa al rinvigorimento del genere del Commentario alla Costituzione, ha chiarito che l’esistenza di una qualche cesura con le passate generazioni di costituzionalisti discende non da una scelta esplicita, ma dal tempo trascorso rispetto all’elaborazione degli altri commentari. Infatti, ha sostenuto come l’approccio spesso critico nei confronti del dato costituzionale, diffuso nella classe politica, ed il continuo proliferare di riforme e (soprattutto) di tentativi di riforme costituzionali, abbiano sicuramente formato in una maniera diversa i giuristi che si sono affacciati alle problematiche costituzionali dopo l’avvio dei lavori della Commissione Bozzi e gli altri tentativi organici di riscrittura della Carta fondamentale. Inoltre, riguardo alla paventata inesistenza di un metodo comune, che è stata espressamente riconosciuta dai curatori nella postfazione all’opera, si è domandato se possa oggi ritenersi esistente un solo metodo per l’approccio compiuto alle problematiche dell’interpretazione costituzional

Giovanni Piccirilli