Autonomia finanziaria e federalismo fiscale – Resoconto convegno

31.05.2007

Il 16 maggio 2007, si è tenuto presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale il quarto incontro del ciclo di seminari della SSPAL dedicati alla nuova “Carta delle autonomie locali” avente come tema l “Autonomia finanziaria e federalismo fiscale”.
Il convegno è stato presieduto dal Prof. Andrea Piraino, che nel presentarlo ha sottolineato come l’ordinamento finanziario e fiscale rappresenti il presupposto essenziale per l’autonomia e l’ordinamento delle regioni e degli enti locali, dotati ai sensi del nuovo articolo 119 Cost. di autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Nell’aprire il dibattito sullo schema del disegno di legge di delegazione, che disciplina le linee direttive per l’attuazione del federalismo fiscale, il Prof. Piraino ha, inoltre, evidenziato il problema tecnico e sostanziale di leggi di delegazione troppo puntuali che tendono a ridurre la possibilità di partecipazione alla definizione dei criteri direttivi degli altri soggetti istituzionali che costituiscono la Repubblica (art. 114 Cost.). La Repubblica è una realtà istituzionale con una sua identità diversa da quella dello Stato, la cui democraticità non si esaurisce nella rappresentanza parlamentare, ma richiede la effettiva partecipazione dei vari livelli di governo del territorio all’attuazione dei principi fondamentali, qual è quello dell’ autonomia finanziaria.
I temi di riflessione sono stati introdotti da Emilio Giardina che ha illustrato le linee fondamentali della finanza pubblica dopo la riforma del Titolo V. L’articolo 119 Cost. fonda il finanziamento degli enti istituzionali su tributi ed entrate proprie, sulla compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, su fondi perequativi senza vincoli di destinazione; queste risorse devono consentire a comuni, province, città metropolitane e regioni di finanziare completamente le funzioni amministrative loro attribuite. Si prevedono, inoltre, risorse aggiuntive ed interventi speciali per promuovere lo sviluppo sociale, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni. L’attuazione dell’articolo 119 deve garantire, in particolare, l’autonomia finanziaria degli enti locali, uniformità dei livelli essenziali dei servizi e delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali la cui determinazione rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettera p), stabilità e sostenibilità della finanza pubblica.
Il relatore ha spiegato che le soluzioni che sono state presentate per l’attuazione dell’articolo 119 Cost. si richiamano a due tesi contrapposte:
a) la prima teoria sostiene che il testo costituzionale è ambiguo e deve essere interpretato secondo i principi del federalismo fiscale da cui consegue una differenziazione in base alle diverse capacità fiscali; ne scaturisce che la perequazione può non essere completa per garantire una gestione efficiente e responsabile delle finanze;
b) la seconda teoria sostiene che il testo costituzionale non è ambiguo ma chiaro nel definire solidale il federalismo fiscale; il comma 4 dell’art. 119 stabilisce il principio della sufficienza finanziaria che deve essere interpretato in modo tale da garantire che in ogni territorio vi sia un eguale livello di prestazioni e servizi. Quindi, a parità di contribuzione, la prima tesi prevede differenziazione di servizi, mentre, la seconda un uguale livello di prestazioni.
Le caratteristiche principali dello schema del disegno di legge delega, sottolineate dal relatore, sono:
a) adozione di un approccio pragmatico che prende le mosse dalla attuale struttura sia delle funzioni che della finanza degli enti territoriali subnazionali e considera solo in prospettiva il finanziamento delle funzioni e delle attività di nuova attribuzione;
b) consacrazione delle caratteristiche salienti dell’attuale sistema tributario, prendendo atto dei limiti degli spazi di autonomia tributaria decentrabili;
c) riconferma dell’attuale segmentazione dei finanziamenti e della differenza di tutela che ne deriva.
I principi del coordinamento del sistema tributario, rientranti nella competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni (art. 117, comma 3), indicati nel disegno di legge di delegazione, sono: razionalità e coerenza, divieto di deduzione tra tributi diretti a differenti livelli di governo, pari dignità delle entrate tributarie dei diversi livelli di governo, semplificazione, efficienza, efficacia ed imparzialità dell’azione delle pubbliche amministrazioni (art. 3 dello schema di disegno di legge del Governo). Per quel che concerne i tributi propri degli enti locali, data la riserva di legge per l’introduzione di nuove imposte (art. 23 Cost.), spetta allo Stato e alle regioni, nel rispetto delle proprie competenze, la disciplina della struttura, ossia, l’individuazione dei presupposti, dei soggetti passivi e della base imponibile, mentre spetta agli stessi enti locali la disciplina specifica dei tributi propri.
Uno dei principali problemi che si pone in ordine all’attuazione dell’art. 119 riguarda il grado di perequazione che se può perseguire con il fondo perequativo. In modo particolare, sono state analizzate le diverse forme di finanziamento del fondo perequativo dei comuni e delle province, il cui importo deriva dalle risorse messe a disposizione dagli enti locali, indipendentemente dalla capacità di garantire l’autosufficienza nello svolgimento delle funzioni proprie. Il criterio fondamentale per il riparto delle risorse del fondo perequativo è un indicatore di fabbisogno, il cui valore può essere definito dalle regioni, a cui, però, per i restanti aspetti relativi alla perequazione, il disegno di legge attribuisce un ruolo molto limitato.
Il convegno è proseguito con l’intervento di Carmine Cossiga. Il relatore si è soffermato sull’analisi del sistema di perequazione finanziaria disposta dallo schema di disegno di legge, e sui livelli essenziali delle prestazioni (LEP), che svolgono la funzione di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica e la funzione di fornire indicazioni programmatiche cui le regioni e gli enti locali devono attenersi nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le criticità del sistema di finanza regionale e locale attuale, a cui dovrebbe porre argine il nuovo sistema finanziario in attuazione dell’art. 119 Cost., sono due:
a) l’incertezza del quantum delle risorse finanziarie sulle quali le autonomie devono poter contare per tracciare le attività correnti e di investimento e, quindi, la variabilità delle regole e degli obiettivi derivante dall’impossibilità di formulare politiche di programmazione di medio-lungo periodo;
b) un allargamento della forbice alle cui estremità si rinvengono situazioni antitetiche di sviluppo territoriale; infatti, i più recenti resoconti sulla finanza pubblica evidenziano le profonde disparità esistenti tra le diverse regioni italiane e come ad un elevato intervento erariale di supporto alle popolazioni meno abbienti corrisponda un basso grado di sviluppo dei servizi pubblici locali: il divario tra i territori ad elevata autonomia finanziaria e quelli destinatari di imponenti interventi erariali si fa via via sempre più profondo e prende corpo l’equazione secondo cui ai più elevati interventi erariali corrispondono i più bassi livelli di efficacia ed efficienza dei servizi.
Secondo il relatore il superamento della prima criticità potrebbe avvenire attraverso lo strumento concertativo ipotizzato nello schema di disegno legge di delega. Più complesso, invece, appare il superamento della seconda criticità, la cui soluzione è subordinata all’acquisizione della consapevolezza che un’adeguata distribuzione delle risorse finanziarie, finalizzata a garantire adeguati livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, non può fare a meno di misurare, con efficacia e senza approssimazioni, i costi effettivi dei servizi erogati da ciascun ente. Tale risultato non può essere raggiunto con l’attuale sistema di contabilità finanziaria e senza rendere obbligatorie le rilevazioni economico-patrimoniali su base analitica e senza che siano realmente noti i fattori patrimoniali impiegati da ciascun servizio. Sarebbe auspicabile l’introduzione del calcolo del costo preciso dei LEP, non previsto nello schema di disegno di legge in discussione, per evitare di ripetere l’esperienza dei livelli essenziali di assistenza (LEA) nella sanità dove non si è ancora pervenuti alla determinazione dei costi e si assiste tuttora alla contrattazione continua tra Stato e regioni in assenza di accordo sui costi.
In presenza di un diverso grado di efficienza nelle gestioni dei servizi pubblici e del sistema tributario locale, potrebbe ottenersi una mediazione accettabile attraverso una perequazione di tipo orizzontale a condizione che gli enti più “ricchi” siano legittimati a pretendere un monitoraggio sulle spese sostenute dai più “poveri” con quote del fondo perequativo. Tale monitoraggio dovrebbe riguardare sia gli aspetti quantitativi che quelli qualitativi e potrebbe essere affidato a specifici Osservatori operanti in ambito nazionale e regionale nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Il relatore ha sottolineato come i più recenti contributi sulla materia della perequazione finanziaria hanno proposto di trattare in modo diverso i fabbisogni di spesa per la erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti il godimento dei diritti civili e sociali e le altre spese. Da una parte c’è chi vorrebbe che i fabbisogni per i LEP fossero coperti integralmente dalla perequazione finanziaria e che le risorse per gli altri servizi fossero solo parzialmente uniformate sul territorio attraverso la perequazione della capacità fiscale. Dall’altra parte c’è chi vorrebbe che fossero determinati i LEP per ogni servizio e, per ciascuno di essi, fosse determinato il costo standard di produzione che dovrebbe essere integralmente finanziato dallo Stato con risorse proprie e trasferite.
Nel nuovo testo costituzionale, sono presenti due livelli di garanzia, con obiettivi diversi e diretti a soggetti diversi: la prima è una garanzia finanziaria a beneficio degli enti territoriali a cui lo Stato garantisce il finanziamento delle funzioni pubbliche; la seconda è una garanzia non finanziaria diretta ai cittadini e concernente il livello dei servizi che dovranno essere forniti dall’ente attraverso le proprie risorse o nel caso di amministrazioni negligenti dallo Stato, chiamato ad esercitare il suo potere sostitutivo (art. 120 Cost.).
Ai fini della ripartizione delle risorse, in astratto, sono possibili due modelli:
a) il primo, secondo il quale ciascun ente locale finanzia i LEP attraverso le risorse attribuite in misura pari al costo standard dei LEP e utilizza a copertura delle altre spese le risorse proprie, le compartecipazioni ai tributi erariali e i contributi del fondo perequativo che non andrebbero a riguardare, però, i costi dei LEP; questo modello comporta un rischio elevato di conflittualità tra Stato e autonomie locali;
b) il secondo, in base al quale ogni ente locale è chiamato a finanziare tutte le funzioni attraverso imposte, tasse e compartecipazioni; successivamente il fondo perequativo dovrebbe ridistribuire le risorse dagli enti con un eccesso di entrate rispetto ai fabbisogni di spesa a quelli che si trovano nella situazione opposta, o ridistribuire risorse in base alla capacità fiscale ponderata al fabbisogno.
L’adozione dell’uno o dell’altro modello dipende in misura sostanziale dalla quota dei LEP sul costo totale delle funzioni pubbliche attribuite ai diversi livelli di governo.
In seguito è intervenuto Giancarlo Pola che, in un’ottica comparatistica, ha analizzato le caratteristiche e i tentativi di riforma del sistema della finanza locale in Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna con l’intento di individuare quali suggerimenti possano provenire dalle esperienze europee per l’attuazione della riforma della finanza locale in Italia.
Sia in Germania che in Gran Bretagna, dove gran parte dei bilanci degli enti locali si basa sugli introiti provenienti da un’imposta sulle attività produttive, nonostante diversi tentativi di riforma, le resistenze delle lobbies e di alcune forze politiche hanno finora impedito l’ approvazione di nuove proposte. Invece, più positivo è l’esempio francese dove la riforma ha interessato la tassa professionale, nonostante fosse oggetto di numerose contrapposizioni politiche e sociali. L’obiettivo del progetto di riforma consisteva nella nazionalizzazione dell’imposta per superare l’eccessiva frammentazione amministrativa francese. Ma anche in questo caso i timori politici, legati ad un possibile indebolimento dei principi dell’autonomia della finanza locale e della libre administration, hanno prevalso sulla razionalità della riforma proposta tale che l’unica vera novità introdotta, a cui l’Italia potrebbe ispirarsi, consiste nel crescente utilizzo della tassa professionale come collante dell’associazionismo comunale, sotto forma di “tassa professionale unica”. La tassa professionale ad aliquota armonizzata, esito di una riforma di contesto del sistema della finanza locale francese, si avvia ad essere il tributo delle forme associative sovra-comunali, e, soprattutto, l’unico rimedio politicamente accettabile alla frammentazione amministrativa del territorio.
Un progetto di riforma della finanza locale molto più incisivo ha interessato il governo spagnolo. Infatti, le autonomie spagnole, riunite nella Federazione spagnola dei Municipi e delle Province (FEMP), hanno proposto un nuovo sistema fiscale proprio e trasferimenti incondizionati sia dal governo centrale che dalle regioni, definendo un modello duale di finanziamento, differenziato a seconda della dimensione del comune, ma in un contesto che garantisca l’eguaglianza di tutti i cittadini. Ciò che colpisce di più nella proposta spagnola, è la previsione di spese effettuate attraverso trasferimenti sporadici e disorganici delle risorse regionali; ragion per cui si è considerato imprescindibile introdurre un sistema strutturato di compartecipazioni alle entrate proprie delle Comunità Autonome, aventi carattere incondizionato.
Se si eccettua il caso spagnolo e, in parte, quello francese, si può concludere che è davvero difficile, in tutta l’Europa, trovare quella solidità e coesione politica che consentono di superare il principio cardine in materia di riforme dell’autonomia finanziaria locale, quaeta non movere. Ciò significa, che l’Italia non è l’unica realtà in cui le molteplici criticità, derivanti dalla volontà di riforma del sistema della finanza locale, hanno incentivato le forze politiche a razionalizzare quanto già previsto piuttosto che operare modifiche sostanziali al sistema finanziario.
Il dibattito, che ha fatto seguito alle relazioni iniziali, è stato aperto da Enrico Buglione. L’interventore ha sottolineato l’importanza della responsabilità degli enti locali non solo verso i cittadini, ma anche verso lo Stato. Costruire un federalismo che rafforzi la responsabilità non è oggettivamente facile: va incrementata l’autonomia nel reperimento delle risorse, la trasparenza del finanziamento e bisogna intervenire sulla perequazione e sulle performances degli enti locali.
Le maggiori criticità dello schema di disegno legge sono ravvisabili:
a) nella capacità di autofinanziamento degli enti locali; a tal fine una soluzione auspicabile consisterebbe nella riduzione delle entrate centrali in favore di quelle locali;
b) nella assenza di vincoli di destinazione per le risorse del fondo perequativo che, invece, dovrebbero costituire i presupposti per la verifica della sana gestione operata dagli enti locali;
c) nella segmentazione e frammentazione della contabilità locale, in contrapposizione al principio generale dell’unità e dell’armonizzazione del bilancio.
Per quanto riguarda le regioni a statuto speciale, le problematiche principali consistono nell’eccesso di spesa pubblica, soprattutto per le regioni del nord, nell’assenza di responsabilità nel reperimento delle risorse e nella mancata partecipazione alla perequazione per le regioni speciali del sud.
Successivamente è intervenuto Raffaele Malizia. Il relatore ha sottolineato come il disegno di legge di delegazione definisca la fase transitoria più che delineare un nuovo sistema fiscale; si ritengono, quindi, auspicabili interventi di riforma in tal senso.
Le criticità rilevate nel progetto di riforma del sistema fiscale sono diverse:
a) lo schema di disegno di legge non interviene sulle modalità di finanziamento delle regioni a Statuto speciale, a cui l’attuale sistema assegna quote piuttosto generose, generalmente i 7/10 o i 9/10, del gettito dei tributi erariali indicati dai rispettivi statuti; si conserva, dunque, un sistema poco incentivante in termini di responsabilità e poco omogeneo con i livelli previsti per le regioni ordinarie;
b) si rileva una eccessiva articolazione dei fondi perequativi regionali e un problema di coerenza e compatibilità della destinazione di parte delle risorse di questi fondi con la previsione dell’art. 119, comma 5 che attribuisce allo Stato il compito di effettuare interventi speciali;
c) si determina la possibilità di una problematica segmentazione del bilancio da cui consegue un difficile riparto dei flussi perequativi;
d) si denota una contraddittorietà tra le modalità di ripartizione dei fondi perequativi al livello regionale, per il quale si attribuisce maggiore rilievo alla potestà legislativa, e al livello locale, per il quale, invece, si riconosce maggiore importanza allo svolgimento di funzioni amministrative.
Il relatore ha ritenuto soddisfacente la soluzione prevista dal disegno di legge in merito al ruolo delle regioni nella ripartizione dei flussi perequativi destinati agli enti locali; infatti, si propone una ipotesi di concorso delle regioni, previo assenso degli enti locali, nella distribuzione dei fondi statali nella sede istituzionale del Consiglio delle autonomie locali, come sede concertativa tra i diversi livelli di governo.
Si è sottolineata, inoltre, l’importanza non solo di forme sanzionatorie per le amministrazioni non virtuose, ma anche di strumenti di premialità in quanto incentivanti il miglioramento dell’efficienza della gestione finanziaria da parte degli enti locali.
Il dibattito è proseguito con l’intervento di Giuseppe Farneti che, in accordo a quanto già precedentemente affermato, ha ribadito la centralità della responsabilità, degli strumenti sanzionatori e premianti e delle procedure di controllo e di monitoraggio che dovrebbero essere affidate a Commissioni indipendenti, tecniche aggiuntive rispetto alle sezioni ad hoc della Corte dei conti.
Secondo l’interventore l’autonomia finanziaria si esplica non solo nell’autonomo reperimento delle risorse ma anche nella libertà di scelta degli impieghi di tali risorse attraverso un metodo di programmazione ispirato ai principi di economicità, efficacia ed efficienza. Si pone, dunque, la necessità di superare l’incertezza del quantum di risorse disponibili per gli enti locali, che rende impossibile una attività di programmazione di medio-lungo periodo.
Il relatore si è, inoltre, soffermato sul tema dell’armonizzazione dei bilanci pubblici che si ritiene necessaria per superare i rischi conseguenti ad una eccessiva segmentazione e frammentazione degli stessi. Oltre all’unicità e semplicità dei bilanci finanziari, si richiede una effettiva applicazione delle norme di contabilità economica ed analitica per facilitare le attività di controllo attraverso bilanci economici in cui siano collegati programmi e risorse. Si sollecita, in tal senso, il ruolo della Corte dei conti che non sembra garantire l’effettiva adozione di bilanci economici nella contabilità degli enti locali.
Successivamente Mario Collevecchio ha evidenziato come lo schema di disegno di legge piuttosto che attuare l’art. 119 Cost. si limita a razionalizzare il sistema vigente. Ciò deriva dal fatto che in un regime di incertezza, dovuto alla sostanziale inattuazione del Titolo V, non è possibile definire un ordinamento innovativo dell’autonomia finanziaria. Tale disegno di legge appare, quindi, deludente e anche contraddittorio dal momento che sembra introdurre ulteriori strumenti di coordinamento a discapito dell’autonomia degli enti locali. Viene denunciato, inoltre, il mancato collegamento tra i vari disegni di legge di attuazione del Titolo V da cui deriva disorganicità ed incertezza.
In ultimo Carlo Chiappinelli ha richiamato l’attenzione sulla necessità dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e dei controlli correlati per garantire l’unicità del sistema, e sul ruolo della programmazione e della formazione, come strumenti per consentire il coordinamento tra i diversi livelli di governo.
Il dibattito si è concluso con l’intervento di Andrea Piraino che ha sottolineato l’esistenza di una riserva mentale nei confronti dell’autonomia finanziaria di comuni, province e città metropolitane che rende più complessa l’attribuzione a questi livelli di governo di nuove e maggiori responsabilità.


Valentina Lepore