Sistemi costituzionali, tutela della salute e servizi sanitari. Prospettive e limiti dell’analisi comparata – Resoconto convegno

12.11.2007

V CONVEGNO NAZIONALE DI DIRITTO SANITARIO E SOCIOSANITARIO

Alessandria, 29-30 ottobre 2007

Resoconto della prima giornata dei lavori

Dopo gli interventi di saluto delle Autorità e degli Enti promotori dell’iniziativa, il Prof. Balduzzi (Università del Piemonte Orientale, Direttore del Centro di Eccellenza interfacoltà per il management sanitario -CEIMS ) ricorda in primo luogo il significato che è alla base dell’iniziativa dei Convegni nazionali in diritto sanitario e sociosanitario, vale a dire la rinnovata autonomia che, a partire dal 2001, le regioni sperimentano in materia sanitaria. In secondo luogo egli ricorda che, per il prossimo anno, l’oggetto del VI Convegno nazionale sarà un “bilancio” a trent’anni dall’approvazione della legge n. 833/1968 istitutiva del Servizio sanitario nazionale.
Quanto alle tematiche specifiche del Convegno, il Prof. Balduzzi ricorda che esse si raccordano con i precedenti convegni su due piani di ricerca scientifica: 1) le ragioni dell’efficienza; 2) il dialogo tra tensioni federaliste e coerenze di sistema. Ricorda inoltre alcuni punti di criticità: 1) il rapporto ospedali-territorio; 2) i determinanti della salute; 3) le liste d’attesa; 4) la collaborazione pubblico/privato.
Ricorda poi che il prof. Luciani, che avrebbe dovuto svolgere la relazione generale (Università “La Sapienza” Roma) su Costituzione italiana, transizione costituzionale europea e diritti sociali, non potrà prendere parte ai lavori; tuttavia, da un breve colloquio avuto con il prof. Luciani, il prof.Balduzzi sottolinea come l’attenzione sia stata richiamata dalle recenti sentenze della Corte costituzionale nn.348/349 del 2007, in tema di rapporti tra i giudici italiani e le norme del diritto internazionale/europeo, in particolare con riferimento all’art.117, comma 1. In prospettiva, sembra ridursi lo spazio interpretativo della giurisdizione costituzionale nazionale, che in passato è stata artefice di un’interpretazione “estensiva” dell’art. 32 Cost.

Il prof. France (Istituto di studi sui sistemi federali del CNR) ha svolto una relazione dal titolo La sanità in paesi diversi: l’arte sottile del confronto. Egli si è soffermato in primo luogo sui problemi metodologici del confronto, evidenziando come spesso vi sia la tendenza a farsi condizionare eccessivamente da “facili” luoghi comuni.
Il relatore ha poi analizzato l’ipotesi di lavoro, vale a dire il rapporto fra federalismo e sanità nazionale, partendo dalla necessità di verificare la seguente tesi: il federalismo incide negativamente sulla promozione dell’interesse nazionale nella sanità? Il grado di “rispetto” per l’interesse nazionale va misurato sulla base dei criteri di: 1) universalità, globalità, accessibilità (finanziaria), portabilità, tratti dall’esperienza canadese.
Nel descrivere la natura ed il carattere di un sistema sanitario, occorre far riferimento al fatto che esso riflette la natura, la storia, la cultura, anche socio-economica, del Paese (“fattori di contesto”, ma al contempo incidono su di esso i cosiddetti fattori “federali”: 1) l’allocazione “intergovernativa” delle competenze; 2) l’utilizzo dello spending power; 3) la “meccanica” dei poteri dello Stato.
Venendo alla descrizione del sistema italiano, il relatore evidenzia come la misurazione della diversità interregionale sia essenziale per stimolare una sana competizione fra regioni, ma allo stato si registra una scarsità di dati, unita ad una forte ritrosia nel fornire gli stessi.
In conclusione, occorre segnalare alcune novità: 1) a partire dall’accordo interistituzionale dell’agosto 2001, si registra un utilizzo maggiore dello spending power da parte dello Stato, in modo da legare l’utilizzo dei fondi ad una loro maggiore “resa”; 2) si registra inoltre una tendenza verso un regionalismo cooperativo, che dovrebbe generare informazioni dettagliate; 3) cresce anche una certa “cultura del dato” in tutte le regioni.

Il prof. Taroni (Università di Bologna), intervenendo in tema di Importazione e diffusione delle politiche sanitarie in Italia, tra isomorfismi mimetici e coercitivi, ha in primo luogo sottolineato un’avvertenza: occorre evitare descrizioni parallele di sistemi sanitari.
In secondo luogo, il relatore ha evidenziato come a partire dagli anni’90 si sia registrata una convergenza dei modelli di sistemi sanitari verso un archetipo fondato sul managed care e l’idea dei “quasi-mercati”, nei quali spesso l’efficienza finiva per fare aggio sull’equità.
Occorre pertanto domandarsi le ragioni in forza delle quali la maggior parte dei Paesi dell’Europa occidentale si sia rifatta a tali modelli quando i propri meccanismi di contenimento dei costi offrivano performance migliori. Indubbiamente, esiste, ad avviso dell’interventore, un vantaggio nell’essere “simili” nella globalizzazione (si pensi agli isomorfismi dettati dalle politiche del Fondo monetario internazionale – teorie della conditionality).
In un contesto di politiche “attive” di convergenza, nelle quali l’Unione europea diviene una sorta di “opificio di soluzioni” (transfer platform) ed il federalismo “laboratorio di democrazia”, nasce la “regionalizzazione” e l’ “aziendalizzazione” del sistema sanitario italiano.

Dopo lo svolgimento delle due relazioni generali, è intervenuto il dott. Palumbo (Ministero della salute) , che ha sottolineato come la sfida decisiva sia quella di contemperare l’esigenza di mantenere il carattere universalistico del Servizio sanitario nazionale (cosa tra le più “apprezzate” dall’utenza) con la necessità di tenere conto di “grandi” vincoli quali quelli derivanti dal crescente andamento della spesa sanitaria e dall’avanzamento anagrafico. In tal senso, le risorse comunitarie (Quadro di sostegno 2007-2013) e l’uso delle risorse regionali a livello territoriale, attraverso il ricorso all’assistenza pomiciale integrata rappresentano validi strumenti per realizzare l’equilibrio richiamato. Il prof. G. Carpani (Presidenza del Consiglio dei Ministri) si è invece chiesto se dopo il 2001 possa ancora dirsi se la sanità italiana sia “eterodiretta”, come si ricava dall’analisi del prof. Taroni. Nel Nord Italia, ad avviso del prof. Carpani, sembra esserci minore indulgenza nei riguardi di interventi di ripiano dei debiti regionali sanitari.

La sessione pomeridiana dei lavori, dedicata al tema Tutela della salute e servizi sanitari negli Stati decentrati, si è aperta, sotto la presidenza del prof. R. Ferrara ( Università di Torino) con l’intervento del prof. C. Casonato (Università di Trento) su Devolution e diritto alla salute: il caso britannico. In particolare, l’interventore ha ricordato, in premessa, come ogni processo devolutivo comporti l’esigenza di bilanciare, a livello istituzionale, l’unità con la diversità e che questa, sul piano della tutela dei diritti fondamentali, si traduce nell’esigenza di tenere insieme uguaglianza e distinzione.
Venendo nello specifico al caso britannico, ed in particolare a quello scozzese, sembra riscontrasi una sorta di fisiologica disparità nel godimento dei diritti, in particolare di quello alla salute, nel quale programmi come la long term care (l’assistenza ai lungo degenti) diviene una vera e propria flag policy (politica “manifesto”) finendo per essere valida l’espressione “dove vivi, determina come sarai curato e, in definitiva, se vivrai”. In sintesi, si è in presenza di un sistema con una forte differenziazione di fonti legislative (i vari National Healths acts) e con una omogeneità di fonte giurisprudenziale. Ricorda infatti come in assenza di un equivalente dei LEA, il principio di eguaglianza viene reso effettivo da una sorta di equivalente funzionale, vale a dire il principio giurisprudenziale di negligence, che consente di indennizzare il paziente cui non viene riconosciuto un livello minimo di tutela.

Il dott. L. Cristanelli (Università di Trento e di Regensburg) ha svolto un intervento su Il sistema sanitario tedesco. La disciplina a livello federale e la legge di riforma del 2007. In premessa, egli ha descritto i tratti salienti del sistema sanitario nazionale tedesco, basato su un sistema di assicurazione sociale e su enti di diritto pubblico con autonomia amministrativa (le cosiddette Casse Malattia). Si è soffermato, nella seconda parte del suo intervento, sulla riforma del 2007 realizzata dalla Große Koalition, nella prospettiva di tenere insieme vincolo di bilancio e qualità delle prestazioni.

Il dott. D. Paris (Università di Milano) è intervenuto su Il diritto alla salute nella giurisprudenza della Corte costituzionale e del Bundesverfassungsgericht, evidenziando come la Legge fondamentale tedesca (Grundgesetz) non menzioni i diritti sociali e quindi la ricostruzione giurisprudenziale sia stata essenzialmente volta ad individuare una garanzia di tipo sostanziale del diritto alla salute. Egli ha concluso ricordando come in Germania il diritto alla salute sia “stretto” fra l’obbligo dei pubblici poteri di garantire un’esistenza dignitosa e la sua considerazione come diritto soggettivo; al contrario, in Italia, a partire dalla sentenza n. 309/99 è stato individuato un nucleo irriducibile di prestazioni a tutela della salute.

M. Di Folco ed E. Griglio (Università Luiss Guido Carli Roma – Centro di ricerca “V. Bachelet”) hanno svolto un intervento sul tema Unità e decentramento nella tutela del diritto alla salute in Spagna. Il primo interventore ha sviluppato il suo intervento ricostruendo il piano costituzionale: in premessa ha ricordato che, sul piano dei valori, la Costituzione spagnola contempla i principi dell’autonomia e dell’eguaglianza, pertanto occorre un bilanciamento tra questi ultimi; sul piano dei rapporti tra lo Stato centrale e le Comunità autonome, la Costituzione “abbozza” un sistema di riparto delle competenze, rinviando all’attuazione del principio dispositivo. La giurisprudenza del Tribunale costituzionale , in particolare la sentenza n. 37/1981, ha chiarito i rapporti tra l’art. 43 della Costituzione spagnola, dove si sancisce il diritto alla tutela della salute, e l’art. 149, c. 1, che fissa la competenza esclusiva dello Stato in una serie di materie. Il giudice costituzionale ha stabilito che la competenza richiamata non può essere intesa alla stregua di una disposizione che “svuota” il principio di autonomia.
La dott.ssa Griglio ha invece descritto il livello legislativo del decentramento “sanitario” che è la risultante di tre variabili: a) il trasferimento di competenze amministrative, che deve tenere conto del principio dispositivo; b) la legislazione di settore; c) il finanziamento sanitario, che dopo la stagione degli “accordi bilaterali”, è incentrato sul ruolo di un “Consiglio” che, composto dagli apparati esecutivi, porta in definitiva all’adozione di un modello generale di finanziamento della sanità. Da segnalarsi, in chiusura, che lo Statuto catalano, nella versione da ultimo approvata, prevede una deroga al modello generale di finanziamento.

Il prof. G. Grasso (Università dell’Insubria), intervenendo su Diversificazione ed uniformità di un modello sanitario federale: il caso della Svizzera, ha in premessa descritto un triplice ordine di fattori, che fanno da contesto al tema affrontato: 1) l’esistenza di un frazionamento estremo delle competenze; 2) un certo caos normativo; 3) il carattere “esacerbato” del federalismo svizzero.
Sul piano del riparto di competenze fra la Federazione e i Cantoni, i primi hanno competenze specifiche, mentre i secondi hanno competenze residuali, in particolare in tema di pianificazione ospedaliera. La legislazione sanitaria disegna un modello che mostra alcuni limiti: 1) un vizio di “localismo” legato alla pianificazione cantonale; ma anche alcune opportunità: 1) il criterio di universalità è garantito; 2) la trasferibilità è limitata; 3) l’accessibilità finanziaria.

La dott.ssa A. Pitino (Università di Genova) ha svolto un intervento su Il sistema sanitario canadese tra principi comuni ed autonomia: una “partita aperta” tra Federazione e Province?, premettendo una breve analisi del contesto geografico, dal quale si evince una grande vastità a fronte di una scarsa popolazione.
Quanto al contesto giuridico, è stata richiamata la Carta dei diritti e i cinque criteri contenuti nel Canadian Health act. Sul piano del riparto di competenze, è stato ricordato come la Federazione sia competente in “via giurisprudenziale” e come cruciale sia lo spending power, dal momento che le Province indicano le prestazioni da sottoporre a finanziamento federale.
Conclusivamente, la dott.ssa Pitino ha evidenziato la forte crescita dei costi sanitari, in particolare della spesa sanitaria provinciale e come vi sia un problema di sostenibilità “politica” del sistema sanitario canadese.

Il prof. Ferrara (Università di Torino) ha evidenziato, chiudendo la prima giornata dei lavori, come in Italia, in materia di sanità, si registri una sorta di “paradosso dell’eterno riformatore” dal 1968 ad oggi, dove la vera criticità è rappresentata dal rapporto tra privato e pubblico. Il diritto alla tutela alla salute rimane, ad avviso del Nostro, un diritto “finanziariamente condizionato”, da un lato, con i bilanci regionali impegnati per circa l’80% dalla spesa sanitaria, e, dall’altro, esso si configura alla stregua di un “super diritto”, se si pensa al fatto che i temi eticamente sensibili, quali l’eutanasia o il testamento biologico, rinviano tutti al primo.

Resoconto della seconda giornata dei lavori

La seconda giornata del Convegno, dedicata alla disamina del “Diritto alla salute e trasformazioni dello stato sociale” è presieduta dal Prof. Enzo Balboni (Università Cattolica del Sacro Cuore), che innanzitutto richiama l’attenzione sull’importanza del Titolo del Convegno, che correttamente fa riferimento a tre concetti (i “sistemi costituzionali”, la “tutela della salute” e i “servizi sanitari”), elencati nel giusto ordine, partendo cioè dalla teoria generale del diritto fino ad arrivare ai profili più operativi e di dettaglio.
Sempre nell’ambito di una riflessione generale sul titolo del Convegno, il Prof. Balboni ritiene assolutamente condivisibile il riferimento ivi presente ai “limiti”, oltre che alle “prospettive” dell’analisi comparata. Nel fare comparazione, è infatti necessario tenere presente l’intrinseca complessità del porre in correlazione ordinamenti differenti, sicché assolutamente felici appaiono – da questo punto di vista – le espressioni utilizzate da George France e Francesco Taroni nel titolo delle loro relazioni generali. Da un lato, infatti, George France fa riferimento all’ “arte sottile del confronto”; dall’altro lato, Francesco Taroni ci pone innanzi al fenomeno degli “isomorfismi mimetici”, che quotidianamente accompagnano le indagini comparatistiche. A titolo esemplificativo, si può fare riferimento alla nozione ormai sempre più ricorrente di federalismo fiscale, usata per indicare un processo di decentramento assolutamente non corrispondente alle caratteristiche dell’originario processo di federalismo fiscale, nato negli anni ’60-’80 negli Stati Uniti come processo anti-autonomistico finalizzato a recuperare quote di risorse a favore dello Stato centrale.

Derogando all’ordine degli interventi iscritti in programma, il primo contributo della mattinata è quello del Prof. Jörg Luther (Università del Piemonte Orientale), dedicato ad alcune “Premesse metodologiche per lo studio giuridico dei sistemi sanitari comparati”.
Una prima riflessione riguarda la disamina della nozione di “sistema”, oggi molto diffusa, che si contrappone storicamente ai concetti di organismo e meccanismo. Il termine “sistema” nasce infatti con il sapere moderno, si afferma dapprima nella scienza, poi – con gli anni ’80 . nella scienza economica e infine – a partire dagli anni ’90 – entra anche nella scienza giuridica.
Una seconda riflessione concerne il problema della classificazione dei sistemi sanitari; in particolare, si possono distinguere tre classificazioni: la distinzione tra sistemi sanitari a prevalente impianto privatistico (modello tipico: gli USA) o a prevalente impianto pubblicistico (tipico della tradizione europea); la distinzione tra sistemi mutualistici e statalistici; la distinzione tra organizzazioni accentrate o decentrate. Con specifico riferimento a questa terza classificazione, il Prof. Luther ritiene necessario partire dall’idea che il federalismo non nuoce alla salute.
Circa le differenze tra i diversi ordinamenti nel fondamento costituzionale del diritto alla salute, si distinguono Costituzioni in cui la salute viene vista solo come diritto alla vita e all’integrità fisica da altre Costituzioni in cui invece il diritto alla salute assume una specifica connotazione come diritto di prestazione. In particolare, è noto come le Costituzioni anglo-scandinave siano tendenzialmente carenti nelle previsioni dedicate alla salute.
In prospettiva futura, una categorizzazione da approfondire in quanto ancora poco studiata è quella che riguarda la connotazione unitaria della disciplina sulla tutela della salute; in particolare, si distinguono al riguardo l’esperienza della Francia, che presenta un Codice della salute estremamente lungo e dettagliato, e quella della Germania, anch’essa caratterizzata dalla presenza di un Codice sanitario. Anche in Italia si potrebbe riflettere sull’opportunità di promuovere una codificazione della normativa sanitaria.

I lavori proseguono con l’intervento del Prof. Matteo Cosulich (Università di Trento), dedicato alla “Tutela della salute e servizi sanitari negli ordinamenti federali: il caso austriaco”. Nell’analizzare il sistema sanitario austriaco, il Prof. Cosulich sceglie di partire da una impostazione dicotomica volta a separare la sanità “ex parte populi” (che guarda al diritto alla salute e al relativo sistema di prestazioni) dalla sanità “ex parte principi” (che viceversa focalizza l’attenzione sull’organizzazione sanitaria).
Preliminarmente, va chiarito che anche la dicotomia in titolo – come tutte le dicotomie – sconta come difetto di fondo un certo riduttivismo di fondo; nel caso di specie, in particolare, la dicotomia proposta non consente di considerare il fenomeno della sussidiarietà orizzontale e il mondo del no profit.
Partendo dalla prima voce della dicotomia proposta – quella relativa alla sanità “ex parte populi” – si evidenzia che nella Costituzione austriaca (che in questo si distingue dalla Costituzione di Weimer) non è presente un catalogo dei diritti .
Le costituzioni di alcuni Laender hanno incluso specifiche previsioni sul diritto alla tutela della salute, anche se i Laender sono sostanzialmente privi di competenze in materia.
Un altro possibile fondamento del diritto alla salute si potrebbe ricercare nel diritto internazionale pattizio, che viene recepito nell’ordinamento austriaco sotto forma di leggi costituzionali. In particolare, il riferimento è alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che però non si occupa molto nello specifico del diritto alla salute; diversamente avviene nella Carta sociale dei diritti – dove numerosi sono i riferimenti al diritto alla salute –, che però è stata recepita in Austria con legge ordinaria.
Infine, si ricorda che in Costituzione sono presenti altri riferimenti al diritto alla salute come diritto alla vita e all’integrità fisica.
Alla luce di quanto osservato, si evidenzia come il diritto alla salute possa essere ricostruito nell’ordinamento austriaco a partire dalle norme che ripartiscono le competenze tra lo Stato e i Laender, che includono un riferimento al diritto alla salute come diritto a prestazione.
Passando alla seconda voce della dicotomia presa in esame – quella che riguarda la sanità “ex parte principi” -, si osserva che l’Austria rappresenta una sorta di Spagna rovesciata, presentando un forte accentramento a favore del Bund. In estrema sintesi, si tratta di un sistema mutualistico accentrato.
Se, infatti, ai Laender è affidata la competenza residuale e se ai Laender è riconosciuta la natura di Stati, di fatto si tratta di un sistema accentrato. Il Prof. Cosulich richiama quindi le più signfiicative disposizioni sul riparto di competenze in ambito sanitario, dalle quali emerge chiaramente la prevalenza della competenza federale, sicché viene ad essere svuotata di significato l’attribuzione della competenza residuale ai Laender.
Va inoltre richiamata, sempre in relazione al riparto costituzionale di competenze, la clausola dell’articolo 15 a), che prevede la possibilità per il Bund ed i Laender di stipulare accordi nelle materie di reciproca competenza e che è stata utilizzata ad esempio per disciplinare il cofinanziamento degli ospedali e il decentramento delle risorse.
Sotto il profilo assistenziale, in conclusione, il sistema austriaco si iscrive nella categoria del modello bismarckiano incentrato sulla presenza di un’assicurazione sociale obbligatoria cui si aggiungono le casse mutua.

Abbandonando il sistema austriaco e passando ad analizzare le manifestazioni del diritto alla salute che caratterizzano l’ordinamento francese, nel suo intervento “Salute e sanità nella giurisprudenza del Conseil constitutionnel” il Prof. Matteo Cavino (Università del Piemonte Orientale) evidenzia preliminarmente come il diritto alla salute in Francia sia privo di fondamento costituzionale: nella Costituzione del 1958, infatti, non è presente un riferimento specifico al diritto alla salute, mancando per altro verso una disciplina generale dei diritti sociali.
Per rinvenire un riferimento di rango costituzionale alla tutela della salute, è conseguentemente necessario fare riferimento al Preambolo della Costituzione del 1946, che, come noto, fa parte del cd. “blocco di costituzionalità”. In particolare, l’11° alinea di tale Preambolo, includendo la protezione della salute tra i doveri della Repubblica, finirebbe appunto per far rientrare il diritto alla salute tra i “principi particolarmente necessari” che appunto trovano disciplina in tale Preambolo.
In realtà, tale lettura del diritto alla salute come “principio particolarmente necessario” non sembra trovare conferma nella giurisprudenza del Consiglio costituzionale, che con la sent. n. 75/54 dell’11 gennaio 1975 sull’interruzione volontaria di gravidanza ha classificato il diritto alla protezione della salute non come principio, ma come interesse costituzionale e quindi come obiettivo di rilievo costituzionale.
Volendo approfondire la differenza che, all’interno del blocco di costituzionalità, si afferma tra principi particolarmente necessari e principi di valore costituzionale, bisogna fare riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 89/269 del 22 gennaio 1990, poi ripresa da più recenti sentenze, tra cui una sentenza del 2007 sulle professioni mediche. Da tali pronunce emerge che la natura del diritto alla salute come obiettivo di rilievo costituzionale non va intesa alla stregua di un norma a carattere programmatico, giacchè secondo il giudice costituzionale gli obiettivi di rilievo costituzionale costituiscono una vera e propria norma. Da questa lettura consegue che, nel bilanciamento con altri principi, può determinarsi una prevalenza del diritto alla salute.
L’unica differenza tra obiettivi e principi risiede nel fatto che un obiettivo non costituisce fondamento per una legittima pretesa del cittadino innanzi al giudice. Interrogandosi quindi sul livello di tutela della salute connaturato a tale ricostruzione giurisprudenziale, Matteo Cavino evidenzia che, se l’alinea 11 separa in realtà la garanzia della protezione della salute dal diritto ad usufruire di prestazioni sanitarie adeguate, di fatto si è voluto leggere solo la seconda parte di tale disposizione, non anche la prima.
Volendo trovare una spiegazione a tale tendenza interpretativa, è necessario tenere presente che sia gli operatori costituzionali che gli amministratori partono dal presupposto che la tutela della salute sia estremamente costosa, da cui il rischio di un contrasto con le esigenze ed i problemi del pareggio di bilancio. In sostanza, il problema di fondo coincide con la contrapposizione “efficienza-giustizia”.
Se tale ricostruzione del diritto alla salute non incide sul livello di tutela avvertito dai cittadini, la motivazione va in larga misura rinvenuta nella presenza di un Codice della salute estremamente dettagliato, che fa sì che il cittadino di fatto non avverta carenze, perché le prestazioni sono predeterminate dalla pubblica amministrazione. In sostanza, non si determina una minore tutela della salute.
In conclusione, volendo fare riferimento all’incidenza dell’organizzazione territoriale sulla tutela della salute, si può affermare che la Francia probabilmente raggiunge certi standard forse anche perché qui c’è decentramento, non autonomia.

L’analisi comparatistica prosegue con la disamina del modello cubano, proposta da Lorenzo Cuocolo (Università Bocconi) nel suo intervento dal titolo “La tutela della salute nell’esperienza cubana”. Riflettere sulle caratteristiche del sistema sanitario cubano impone di interrogarsi preliminarmente sulla legittimità della comparazione tra sistemi liberali e socialisti, che secondo la dottrina comparatistica prevalente (Sacco, Lombardi e Bagnetti) appare possibile, purché con le dovute cautele (solo Gorla assume al riguardo un atteggiamento più prudente, che tuttavia si comprende e giustifica considerando il periodo – l’anno 1964 – in cui l’Autore scrive).
In linea di prima approssimazione al tema, vanno inoltre presi in considerazione i principi generali che informano l’ordinamento cubano, ovvero i principi della legalità socialista (che si traduce nell’assenza di una gerarchia tra le fonti), dell’unione dei poteri, del centralismo democratico (ovvero del partito unico), della doppia dipendenza, della funzionalizzazione dei diritti (per cui non si rinvengono le garanzie classiche degli ordinamenti occidentali, prima fra tutti la presenza di un giudice costituzionale).
Con specifico riferimento alle problematiche relative alla tutela della salute, il primo riferimento necessario è all’articolo 50 della Costituzione del 1976, che contiene una dettagliata disciplina del diritto alla salute come diritto sociale a prestazione, per il quale è garantita l’assistenza gratuita a tutti, e rispetto al quale la Costituzione esplicitamente riconosce sia il principio della pianificazione, sia il principio della prevenzione.
Integrando il dettato costituzionale con altre norme di legge in materia sanitaria (il d.l. 54/82, la l. 41/83, il d. 139/88), emerge dal modello cubano un approccio globale alla tutela della salute come insieme delle azioni volte alla cura, alla prevenzione, alla tutela ambientale, alla sicurezza alimentare, ecc.
Nel merito, il sistema sanitario cubano è contraddistinto da una serie di caratteristiche, tra cui il carattere statale e sociale, l’accessibilità, la gratuità, la centralizzazione normativa, il carattere internazionale (inteso come disponibilità a ricevere e cedere professionisti medici e letteratura scientifica). Sotto il profilo dell’articolazione organizzativa, si distinguono tre livelli (lo Stato, le Province, i Municipi), anche se un ruolo centrale è di fatto svolto dallo Stato.

Gli interventi programmati proseguono con il contributo del dott. Marco Gaggero (dottorando nell’Università di Torino) sul tema “Tendenze di centralizzazione e garanzie di efficienza nel modello sanitario scandinavo”. Nell’introdurre il cd. modello scandinavo, va preliminarmente chiarito che in Danimarca, Norvegia e Svezia non esiste un diritto alla salute costituzionalmente sancito, così come non esiste un Tribunale costituzionale atto a promuovere la tutela di un tale diritto. Al contrario, il modello scandinavo costituisce un particolare tipo di Welfare state caratterizzato da una forte tensione all’uguaglianza sociale, una tensione cioè alla qualità complessiva delle prestazioni erogate, che di per sé informa non solo il sistema sanitario, ma anche l’assistenza sociale.
Sotto il profilo organizzativo, i tre paesi presi in esame mostrano una spiccata propensione alla regionalizzazione dell’assistenza sanitaria; basti considerare al riguardo che già alla fine degli anni ’80 la Svezia aveva provveduto alla creazione di contee quale ente territoriale responsabile dell’assistenza sanitaria. Gli esiti di tale processo di regionalizzazione si pongono tuttavia in termini di chiaroscuro, al punto che nel corso degli anni ’90 in tutti e tre i paesi della Scandinavia si approvano riforme del servizio sanitario volte a correggere le principali disfunzioni della regionalizzazione (ad esempio in Svezia le contee apparivano troppo piccole per far fronte alle emergenti esigenze di rinnovamento delle tecnologie mediche).
Tali riforme del sistema sanitario segnano con cadenza periodica l’evoluzione del modello scandinavo, sicché, grazie all’affermazione di tale metodo dell’agenda delle riforme, esse risultano in larga misura indipendenti dalle maggioranze politiche al governo.

Sul sistema sanitario polacco interviene il dott. Piero Gambale (Centro Bachelet – Università Luiss Guido Carli), che in primo luogo evidenzia come anche per la sezione “dei diritti”, e in particolare per quella dei “diritti sociali”, sia possibile, dopo la caduta del Muro di Berlino, mettere a raffronto le esperienze dei Paesi dell’Europa centro-orientale con quelle dell’Europa occidentale, perché, analogamente con quanto accade con riferimento alla forma di Stato e di governo, può adoperarsi anche qui un identico “vocabolario”.
Anche in tema di sistema sociosanitario, l’ordinamento polacco pare essere un “laboratorio accelerato” (Sawicki) nel quale le variabili da declinare sono: a) la ridefinizione del ruolo dello Stato nell’economia e, conseguentemente, l’apporto dei privati; b) il possibile ruolo delle articolazioni territoriali dello Stato; c) anche la prospettiva, e poi, la realtà di essere parte dell’Unione europea.
Dopo una breve descrizione del sistema sanitario operante durante il regime comunista, sulla base del cosiddetto “modello Semashko” caratterizzato dalla gratuità e dall’universalità dell’assistenza sanitaria, si passano in rassegna dapprima le principali novità intervenute in materia: a) la nuova formula di finanziamento del sistema sanitario, fondata su una formula assicurativa di stampo “bismarckiano” e b) la corrispondente “regionalizzazione”, operate entrambe con la riforma del 1999; quindi, si richiamano i successivi interventi di “riflusso” centralista operati dal legislatore, attraverso la riforma del 2002, che ha ripristinato un Fondo nazionale per la sanità, sul quale è intervenuta anche la giurisprudenza costituzionale – con sentenza K. 14/03 – sancendo la parziale illegittimità costituzionale della stessa legge istitutiva del Fondo nazionale.

Gli ultimi due interventi programmati del Convegno sono dedicati ad un approfondimento a carattere comparatistico su due problematiche di rilievo trasversale, l’accreditamento e la prevenzione.
Sulle questioni relative all’accreditamento interviene la prof.ssa Roberta Lombardi (Università del Piemonte Orientale), che preliminarmente ricorda che l’accreditamento di eccellenza nasce negli Stati Uniti con l’obiettivo di misurare il livello di qualità delle strutture che volontariamente si sottopongono a certificazioni di qualità. Tale tipo di accreditamento appare preordinato al perseguimento di tre distinte finalità, la rilevazione e certificazione della qualità delle prestazioni, la verifica del mantenimento delle strutture al di sopra dei livelli minimi, l’introduzione di incentivi al continuo miglioramento delle prestazioni.
Dall’accreditamento di eccellenza va conseguentemente tenuto distinto l’accreditamento istituzionale, che appare sempre orientato alla verifica del possesso di determinati requisiti, attraverso un procedimento non a base volontaristica, bensì pubblica, ovvero un procedimento amministrativo a carattere obbligatorio che si impone a tutti coloro che intendono erogare prestazioni per conto del sistema pubblico. L’obiettivo di tale accreditamento istituzionale non è quello di certificare i livelli di qualità, bensì di integrare il soggetto all’interno del sistema pubblico.
Sui temi relativi alla prevenzione in una prospettiva di diritto comparato interviene quindi Gian Paolo Zanetta (Direttore generale Asl 20-21-22) con un intervento dal titolo “Modelli di prevenzione sanitaria nell’esperienza europea”.

A chiusura del Convegno, si susseguono i due interventi non programmati del prof. Troilo e della Prof.ssa Morana.
Il prof. Troilo, con specifico riferimento all’esperienza britannica, si domanda in che modo la Gran Bretagna, pur in assenza di un diritto soggettivo alla salute, riesca a mantenere un servizio pubblico come il NHS, che di fatto rappresenta l’emblema del servizio pubblico per eccellenza.
Una risposta a questa domanda si può rinvenire nel ruolo attribuito dal sistema ai medici.
In linea generale, il compito di promuovere lo sviluppo del sistema assistenziale e di porre in essere le azioni ed i servizi per la prevenzione e la tutela del diritto alla salute viene infatti attribuito al Ministero della salute, al quale spetta individuare ragionevolmente i mezzi per soddisfare tale obiettivo. In realtà, i governi laburisti degli ultimi anni hanno piuttosto puntato sul ruolo dei medici nel conseguimento di tali obiettivi.
Il modello introdotto è infatti un modello di quasi-mercato in cui si realizza una separazione tra fornitori ed acquirenti attraverso i pazienti. All’interno di tale sistema, i medici di famiglia svolgono il ruolo di rappresentanti dei pazienti, acquistando prestazioni (incluso il ricovero) attraverso la stipula di appositi contratti con gli ospedali o con le altre strutture assistenziali. Il sistema appare caratterizzato da una ricerca ossessiva della qualità delle prestazioni, essendo presente un sistema generale di linee guida, incentivi, sanzioni finalizzato ad orientare l’attività dei medici.
In tale modello, al singolo rimane un diritto che di fatto non è tale, essendo valutato dalle stesse Corti come diritto in senso debole.
A titolo esemplificativo, si può ricordare il caso Polam del 1955, che ha introdotto un’accezione dell’appropriatezza della prestazione come subordinata alla valutazione di adeguatezza effettuata dai colleghi medici. Se tale orientamento ha subito di recente alcune attenuazioni (essendo stato introdotto dalle Corti il principio della valutazione secondo ragionevolezza), permane l’idea che “il medico sa ciò che è meglio”, che in ultima istanza impone di domandarsi se effettivamente esista un diritto del cittadino.
L’ultimo intervento non programmato è quello di Donatella Morana, che dedica una prima riflessione al rapporto tra l’articolo 32 e l’articolo 38, richiamato incidentalmente in alcuni contributi precedenti, che in particolare rilevavano un sovradimensionamento dell’articolo 32 sulla tutela della salute rispetto alle problematiche dell’indigenza cui fa riferimento l’articolo 38 Cost. Secondo Donatella Morana, tale presunto sovradimensionamento non è altro che il frutto dell’evoluzione storica del diritto alla salute come diritto sganciato dalla previdenza sociale.
Circa la comparazione tra il diritto alla salute nell’ordinamento italiano e tedesco, l’invito emerso in alcuni contributi a focalizzare l’attenzione anche nel sistema italiano sulla nozione di nucleo essenziale del diritto appare di difficile attuazione, considerato che la nostra Carta costituzionale contiene un catalogo di diritti più lungo ed esaustivo di quello tedesco.
Infine, in merito al ruolo degli accordi politici nelle dinamiche multilivello di tutela del diritto alla salute, effettivamente nella sanità sembra essersi affermato un modulo cooperativo che in molte circostanze supplice alla non chiara definizione del riparto di competenze.

A chiusura del Convegno, il prof. Gian Candido De Martin (Università Luiss Guido Carli) – nel ribadire l’opportunità di proseguire in futuro una riflessione sistematica sulle tematiche del diritto alla salute, sia attraverso i convegni annuali che da quest’anno troveranno la loro sede presso l’Università degli studi del Piemonte Orientale di Alessandria, sia attraverso ulteriori forme di collaborazione tra l’Ateneo, il CEIMS e il Centro Bachelet della Luiss Guido Carli – evidenzia la necessità di focalizzare l’attenzione su alcune problematiche trasversali, più volte richiamate anche negli interventi del Convegno. In particolare, il riferimento è alle problematiche relative alla configurazione del diritto sociale della salute come diritto finanziariamente condizionato, all’accessibilità dei servizi e all’immigrazione, alle dinamiche della mobilità, alle modalità di gestione delle liste di attesa, alla nozione dei livelli essenziali della prestazioni (al fine di chiarire il ruolo del centro nella tutela del principio di uguaglianza), all’assetto del servizio pubblico nel suo rapporto con il mercato e con la sussidiarietà orizzontale, all’organizzazione dei servizi sanitari in rapporto al territorio. Tali tematiche possono infatti costituire un valido schema di riferimento per la comparazione tra i diversi sistemi sanitari.

Piero Gambale ed Elena Griglio