Azione integrata Italia-Spagna
Università di Foggia – Università di Barcellona
Roma, 12 e 13 ottobre 2007
Sessione del 12 ottobre 2007
Dopo alcune parole introduttive del Prof. Olivetti (Università di Foggia) e del Prof. Rinella (Università Lumsa), il Prof. Castellá Andreu (Università di Barcellona), nel presentare il tema oggetto del seminario, ha ricordato dapprima come siano diversi gli elementi comuni che giustificano una comparazione tra l’ordinamento italiano e quello spagnolo, su tutti il considerare entrambe le forme di Stato quali classici modelli di Stati regionali.
Ha quindi evidenziato come vi siano alcuni significativi hechos diferenciales tra i due ordinamenti individuabili, ad esempio, nel fatto che la riforma del regionalismo italiano pare essere stata calata dall’“alto”, mentre quella dello Stato autonomico spagnolo sembra essere partita dal “basso”. Ancora: la fonte statutaria, in Italia, pare essersi completamente “regionalizzata”, dal momento che il suo procedimento di approvazione, dopo le riforme del 1999 e del 2001, si risolve oramai completamente in ambito regionale; al contrario, in Spagna la fonte statutaria resta essenzialmente una norma “bilaterale” tra lo Stato centrale e le Comunità autonome.
In conclusione, il Prof. Castellá Andreu ricorda come le domande ricorrenti, alle quali si proverà a dare una qualche risposta nel corso dei lavori, sono in larga parte legate alla necessità di sapere quale sia il grado di eterogeneità presente nelle fonti statutarie ed in quale misura possa parlarsi ancora di Stato delle autonomie piuttosto che di Stato federale nei due ordinamenti.
Il Prof. Miguel Aparicio Pérez (Università di Barcellona) ha svolto un’introduzione di carattere generale sul processo di riforma statutaria in Spagna ricordando quali ne siano state le cause: a) di natura “politica”, vale a dire l’esistenza di una posizione intransigente della maggioranza parlamentare della scorsa legislatura nei riguardi di possibili modifiche al testo costituzionale; b) di carattere giuridico, individuabili, da un lato, nel fatto che una parte della Costituzione fosse “denormativizzata” e, dall’altro, nella perdurante incapacità del Senato di rivestire carattere autenticamente federale. Ciò ha di fatto determinato una stridente contraddizione tra la realtà costituzionale formale (non applicata) e le esigenze di modifica del testo stesso: da questo è derivato quello che si potrebbe definire un processo “paracostituzionale” di riforma.
Il relatore ha poi ricordato come il tasso di asimmetria del regionalismo spagnolo, in linea teorica elevato, sia stato in pratica quasi azzerato, dal momento che attraverso i pactos auton?micos tra i due principali partiti politici il principio dispositivo, previsto in Costituzione, è rimasto parzialmente inattuato. Si è altresì soffermato sul cosiddetto bloque de constitucionalidad che in materia di rapporti tra lo Stato centrale e le Comunità autonome è stato interpretato essenzialmente come volto a ridurre i conflitti costituzionali.
La Prof.ssa Groppi (Università di Siena), intervenendo in qualità di discussant, ha sottolineato come sia in Italia che in Spagna la decentralizzazione sia stato lo strumento attraverso il quale si è realizzata la democrazia. Tuttavia, in Italia lo Stato regionale non conosce, al contrario di quanto avviene in Spagna, “fatti differenziali” di carattere etnico-linguistico (se non con riferimento alle Regioni a statuto speciale), né vi sono partiti “regionali”.
Sul piano prettamente giuridico, il testo costituzionale spagnolo non “chiude” la forma di Stato, la cui definizione ruota intorno al principio dispositivo. In Italia, la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni è invece “chiusa” a livello costituzionale.
In realtà, in Spagna il principio dispositivo, come ricordato dal prof. Aparicio Pérez, è stato di fatto “svuotato” attraverso una serie di accordi politici recepiti in leggi organiche che hanno determinato una forte omogeneità.
In Italia, il modello costituzionale di ripartizione delle competenze è stato interpretato, attraverso le leggi ordinarie e la giurisprudenza costituzionale, in modo da creare una sorta di Costituzione “parallela” in materia di forma di Stato. Anche in Italia, la carenza di normatività del testo costituzionale formale sul punto si realizza per il tramite della legislazione nazionale, in particolare quella che fissa, limitando la competenza esclusiva regionale, gli interessi unitari.
In conclusione, se la perdita di normatività del testo costituzionale si traduce in una sua carenza di legittimità, possono individuarsi o cause contingenti che dipendono dalla variabilità delle maggioranze ovvero cause strutturali: allora occorre intervenire a livello procedurale, modificando la procedura di revisione ex art. 138 Cost.
La Prof.ssa Barcelò (Università di Barcellona), intervenendo sul tema I diritti e i principi nei nuovi statuti, ha ricordato in primo luogo come pare essere acclarata la facoltà da parte degli statuti di autonomia di regolare, disciplinandoli anche ex novo, diritti pubblici soggettivi.
Successivamente, la relatrice ha posto l’accento sui limiti costituzionali a tale riconoscimento: in primo luogo, il limite del riparto di competenze; quindi il principio di conformità alla Costituzione inteso sia come necessità dell’unità dell’ordinamento sia come dovere di non contraddittorietà tra la disciplina statale e quella statutaria in materia di diritti.
Quanto alla intensità e all’estensione della disciplina dei diritti all’interno degli statuti, la relatrice ha operato una distinzione fra tre gruppi di documenti statutari, con un riconoscimento di tali fattispecie che è : 1) massimo negli statuti catalano, andaluso e di Castilla y Leon e Castilla – La Mancha; 2) un livello medio di riconoscimento (statuto della Comunità valenciana e delle Isole Baleari); 3) un livello basso, nel quale non si riconosce né rilevanza pratica né teorica al riconoscimento dei diritti negli statuti delle Comunità autonome, rinviando alle disposizioni costituzionali e alle norme del diritto internazional-comunitario.
Quanto alle caratteristiche dei diritti riconosciuti (essenzialmente nei due primi livelli), si può affermare che essi hanno carattere sociale o di partecipazione; necessitano di un perfezionamento normativo.
Il Prof. Ghera (Università di Foggia), intervenendo come discussant sul tema, ha evidenziato come vi siano alcune assonanze con il dibattito italiano, in particolare per quanto riguarda i limiti costituzionali al riconoscimento statutario dei diritti. In questo senso, proprio la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana può, ad avviso del relatore, essere richiamata nella parte in cui ha sancito, con le sentt. nn. 372, 378 e 379 del 2004, il valore non giuridico, bensì culturale-politico dei diritti e principi contenuti negli statuti regionali.
Nei testi statutari, dopo la riforma del 1999-2001, sono individuabili tre tipi di norme di principio: le prime due attengono alla organizzazione regionale – è il caso dei diritti di partecipazione e di altri principi; altre disposizioni sono da collegarsi ai richiami al diritto internazionale umanitario.
La Prof.ssa Exp?sito (Università di Barcellona), intervenendo sul tema La riforma del riparto di competenze, ha in primo luogo evidenziato le principali novità contenute nei nuovi testi statutari in tema di riparto delle competenze. Si tratta di un triplice profilo che investe: 1) la tecnica di individuazione delle materie di competenza delle Comunità autonome; 2) la definizione delle funzioni che integrano le diverse competenze; 3) la possibilità di ampliare gli ambiti di attuazione delle Comunità autonome.
Tali modifiche hanno fatto parlare di “blindaje competencial” negli statuti delle Comunità autonome: in particolare, la questione centrale che la redazione dei nuovi statuti pone è quella di stabilire in che misura gli statuti di autonomia possano modificare il riparto di competenze stabilito in Costituzione; quanto alla ripartizione per materia, occorre sottolineare i vantaggi e gli inconvenienti di una enumerazione troppo “prolissa”.
Il Prof. Gianfrancesco (Università di Teramo e Università Lumsa Roma), intervenendo in qualità di discussant, ha sottolineato come, se si guarda alla Spagna con occhio “italiano”, emerga chiaramente una forte rivalutazione del criterio di ripartizione delle competenze per materie in ragione della sua valenza garantista. In ultima analisi, l’interventore evidenzia come la diversità di approcci tra i due ordinamenti rimandi al fatto che il principio dispositivo, cui si rifà il sistema spagnolo, tende a creare dinamismo; al contrario, il modello italiano è in un certo senso “giacobino”, con la tendenza quindi a determinare una crescente uniformità.
Il Prof. Arb?s (Università di Girona) ha descritto, nell’ambito dell’intervento su La forma di governo e il sistema delle fonti, i connotati della forma di governo così come delineata nel nuovo testo statutario della Catalogna. In prima battuta, il relatore ha ripercorso un breve excursus del precedente testo statutario del 1979.
Venendo alla formula di governo adottata nel testo statutario del 2006, il relatore sottolinea come essa possa essere ritenuta una formula classica di governo parlamentare con alcuni correttivi: 1) nella figura del Presidente; 2) nella possibilità che esista un capo del governo e un departamento de vicepresidencia, secondo quanto prevede il decreto n. 421/2006 del 28 novembre 2006.
Il relatore ha poi formulato alcune considerazioni conclusive, dal punto di vista giuridico e politico: sul primo versante, egli ha evidenziato come la forma di governo parlamentare sia garantita a livello costituzionale e la sua pratica attuazione a livello statutario non è stata impugnata; sul piano politico, occorre ricordare che le dinamiche della forma di governo sono legate al sistema dei partiti, nonché che l’autonomia non è stata esercitata per configurare il sistema elettorale. Infine, bisogna tenere conto della sovraesposizione del ruolo del presidente e delle relazioni fra questo e i partiti. La correzione in senso presidenzialista della forma di governo parlamentare nello statuto catalano presenta alcune controindicazioni individuabili nella absorci?n della funzione legislativa generale da parte dell’esecutivo e nel “iperpresidenzialismo”.
Il Prof. Olivetti (Università di Foggia), intervenendo in qualità di discussant, ha introdotto il tema della forma di governo nei nuovi statuti delle regioni ordinarie italiane: in primo luogo, egli ha ricordato il quadro costituzionale all’interno del quale ci si muove, connotato da una pluralità di livelli di regolazione (Costituzione, statuti, leggi regionali), da una opzione forte a livello costituzionale (elezione diretta del Presidente della Giunta e principio del governo di legislatura) e da una potestas variandi per gli statuti ordinari.
Venendo alle scelte dei dieci nuovi statuti delle regioni ordinarie, si registra una conferma generalizzata dell’elezione diretta, un’opzione per il modello neo-parlamentare, l’esistenza di alcuni correttivi al dispotismo presidenziale.
In conclusione, il Prof. Olivetti ha formulato un’ipotesi di comparazione fra la forma di governo delle Comunità autonome e quella delle regioni ordinarie italiane, evidenziando come in Italia vi sia una massima efficienza del sistema in “entrata”, dovuta alla chiarezza della legittimazione iniziale dell’esecutivo e del suo leader, mentre in Spagna la maggior efficienza del sistema pare legarsi anche alla compattezza dei partiti.
Sessione del 13 ottobre 2007
Il primo tema trattato nella sessione del 13 ottobre è stato quello del finanziamento delle Comunità autonome e delle Regioni.
Il prof. Luis Alonso (Università di Barcellona) ha offerto il punto di vista spagnolo, focalizzando l’attenzione su due profili di particolare rilievo: la legge organica 8/1980 (c.d. LOFCA); le riforme degli statuti di autonomia degli anni 2006 e 2007.
Il primo aspetto appare di notevole rilievo perché la LOFCA e – ovviamente – la Costituzione spagnola (in particolare l’art. 157, co. 3) costituiscono il blocco di costituzionalità a partire dal quale deve costruirsi il sistema di finanziamento delle Comunità autonome di regime comune. In merito al secondo profilo, invece, lo studioso spagnolo si è soffermato sulle disposizioni a carattere finanziario contenute nei nuovi statuti di autonomia, ponendo particolare attenzione a quello catalano, che contiene numerose disposizioni in merito e presenta numerosi profili problematici. Il prof. Alonso ha osservato, in conclusione, che – al fine di valutare compiutamente le scelte delle Comunità autonome in materia – appare necessario verificare le modalità di sviluppo, adattamento e applicazione delle disposizioni statutarie, nonché le eventuali decisioni al riguardo del Tribunale costituzionale.
Il prof. Raffaele Bifulco (Università di Napoli “Parthenope”) si è occupato dell’analisi della situazione italiana in materia di finanziamento delle Regioni e degli enti locali, nonché della comparazione con il modello spagnolo. Il prof. Bifulco ha ricostruito, innanzitutto, il quadro costituzionale alla luce della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, soffermandosi puntualmente sull’art. 119 Cost. novellato e sulla sua configurazione come testo dal carattere aperto, suscettibile di applicazioni differenti. Tale carattere della disposizione costituzionale avrebbe reso necessario una sua rapida attuazione che, però, non è stata ancora realizzata, mentre numerosi sono stati gli interventi della Corte costituzionale in materia di tributi locali. Stante l’esigenza di attuare il disposto costituzionale, il prof. Bifulco si è soffermato sullo schema di d.d.l. recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, approvato il 3 agosto 2007, evidenziandone aspetti positivi e profili critici.
Il secondo tema trattato nella sessione del 13 ottobre è stato quello della partecipazione alla formazione degli atti dell’Unione europea.
L’analisi della relativa disciplina nell’ordinamento spagnolo è stata svolta dal prof. Miguel Angel Cabellos (Università di Girona). Il prof. Cabellos ha posto in evidenza l’evoluzione del ruolo delle Comunità autonome nel processo normativo comunitario, partendo dall’assenza – nella Costituzione spagnola del 1978 – di qualunque riferimento all’Unione europea e, quindi, rilevando l’importanza della giurisprudenza del Tribunale costituzionale nel garantire un coinvolgimento delle Comunità autonome nel processo normativo comunitario. Lo studioso spagnolo, poi, si è soffermato ampiamente sulle numerose disposizioni contenute negli statuti di autonomia, volte a garantire e disciplinare le relazioni tra Comunità autonome e Unione europea, in primo luogo, nelle fasi c.d. ascendente e discendente del processo normativo comunitario, in secondo luogo, nella gestione dei fondi comunitari, infine, in altre questioni di particolare rilievo, tra le quali le azioni dinanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione europea.
Il tema è stato affrontato, poi, dal dott. Daniele Coduti (Università di Foggia), il quale ha esaminato l’evoluzione del ruolo comunitario delle Regioni italiane, comparandolo con le soluzioni accolte nell’ordinamento spagnolo. In particolare, il dott. Coduti ha posto in evidenza come anche nella Costituzione italiana del 1947 fosse assente qualsiasi riferimento all’Unione europea, così da rendere essenziale il ruolo della Corte costituzionale nel garantire un coinvolgimento comunitario delle Regioni italiane. Dopo l’approvazione della l. cost. 3/2001, però, nella Costituzione italiana si fa espresso riferimento all’Unione europea ed ai rapporti di questa con lo Stato e con le Regioni, così da rendere necessaria l’analisi della disciplina costituzionale – in particolare gli artt. 117 e 120 Cost. –, di quella fornita dalle leggi 131/2003 e 11/2005, nonché di quella regionale in materia. Dall’analisi di tale complesso normativo e dalla sua comparazione con l’ordinamento spagnolo, è apparso evidente che, dopo un iniziale cammino comunitario delle Regioni e delle Comunità autonome caratterizzato da numerose analogie, si siano sviluppate molteplici differenze: da un lato, in virtù della riforma del Titolo V della Costituzione italiana; dall’altro, perché la disciplina regionale in materia di partecipazione delle Regioni all’Unione europea appare assai scarna, mentre nell’ordinamento spagnolo assume grande rilievo in materia la normativa dettata dagli statuti di autonomia.