Il 4 aprile 2008, si è tenuto a Santa Maria Capua Vetere, presso la Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, un incontro di studi sul tema “L’attuazione del Titolo V della Costituzione fra XV e XVI legislatura”, in occasione della presentazione del volume, a cura di G. Clemente di San Luca, “Comuni e funzione amministrativa”, Giappichelli, Torino, 2007.
Il tema centrale dell’incontro, così come quello del volume presentato, è consistito nell’analisi e nella valutazione degli interventi diretti all’attuazione del Titolo V della Costituzione, come modificato a seguito della riforma del 2001, e nella prospettazione di ulteriori e necessari interventi che realizzino compiutamente il nuovo e complesso disegno costituzionale.
Il filo conduttore di tutte le relazioni svolte è stato proprio il riscontro dell’insufficienza ed inadeguatezza degli strumenti sin qui adoperati e, quindi, l’auspicio e la previsione di forme attuative più appropriate al mutato contesto ordinamentale.
Di qui, un comune approccio critico verso l’unico testo legislativo contenente disposizioni attuative del Titolo V approvato nel corso delle due ultime legislature, ossia la legge n. 131/2003 (c.d. Legge La Loggia), e qualche riflessione, più o meno critica, sulle recenti soluzione predisposte dal Governo e presentate in Parlamento nel corso della XV legislatura appena conclusasi. Una maggiore divaricazione nell’analisi è, invece, emersa rispetto alla parte “costruens” delle quattro relazioni svolte, ossia quella relativa alla specifica individuazione degli strumenti ritenuti più idonei ed efficaci per una prossima attuazione delle disposizioni costituzionali in argomento.
L’incontro di studi è stato presieduto dal Prof. Giuseppe Palma ed ha visto come relatori i Professori Beniamino Caravita di Toritto, Gian Candido De Martin, Francesco Merloni e Andrea Piraino.
La relazione del Prof. Caravita di Toritto ha preso le mosse dal rilievo, già riferito, secondo cui nelle ultime due legislature si è proceduto ad un’attuazione assai parziale del Titolo V. In quest’ottica, la legge La Loggia è risultata un testo insufficiente e, in parte, ridondante rispetto alle nuove disposizioni costituzionali. Allo stesso modo insufficienti sono apparsi i tentativi di attuazione svolti nell’ambito della legislatura appena trascorsa ove non si è giunti all’approvazione definitiva di alcun provvedimento legislativo in materia, non solo in dipendenza della breve durata della legislatura medesima.
In questo quadro così carente, si è inserita una giurisprudenza costituzionale che, anziché favorire una lettura innovativa delle mutate disposizioni – in linea, in particolare, con le profonde modifiche introdotte all’art. 117 Cost. sul riparto delle materie oggetto di potestà legislativa – ha preferito intervenire con spirito conservatore, prediligendo, in diverse pronunce, la tutela dell’unitarietà dell’ordinamento e, quindi, delle prerogative statali a scapito dell’esigenze di ampia autonomia che la riforma sembrava voler assegnare alle Regioni e agli enti locali.
Di qui, una lettura particolarmente “flessibile” delle nuove disposizioni costituzionali, come emerge da una delle sentenze più rilevanti di questi ultimi anni, ossia la decisione n. 303/2003, ove l’estensiva applicazione del principio di sussidiarietà all’ambito legislativo ha escluso un’applicazione “chiusa” del nuovo riparto di competenze, così come avrebbe potuto interpretarsi secondo una lettura dell’art. 117 Cost. più rigorosa e rispettosa delle prerogative regionali.
Con riferimento, più in particolare, all’esercizio della potestà amministrativa, il relatore afferma che la piena attuazione del Titolo V potrà avvenire solo attraverso il superamento di ogni proposito di riscrittura delle disposizioni – quale quelle contenute nel Testo Unico degli Enti Locali – attraverso cui il legislatore statale specifica le competenze o riformula i rapporti tra Stato e Autonomie, perché tale operazione ha già penalizzato e potrà solo penalizzare ulteriormente l’esercizio delle potestà costituzionalmente riconosciute a queste ultime.
In tale direzione, si auspica che le Autonomie provvedano direttamente e senza alcun filtro ad esercitare le funzioni che già il testo costituzionale, seppur con formule generiche, attribuisce loro.
In sostanza, gli enti locali, avendo constatato che la dipendenza dal soggetto statale, soprattutto in termini di trasferimento delle funzioni e delle connesse risorse, è stata gravemente lesiva delle proprie prerogative, potranno e dovranno svolgere autonomamente, attraverso tutte le forme di esercizio già contemplate dall’ordinamento, il disegno tracciato nell’ambito della Carta Costituzionale, senza dover attendere riconoscimenti dall’alto, sin qui del tutto sporadici e frammentari.
La relazione del Prof. De Martin si è aperta con un vivo apprezzamento per il volume curato dal Prof. Clemente di San Luca, del quale si considera particolarmente meritoria la scelta di aver posto al centro della trattazione il profilo amministrativo e quello comunale.
In questo senso, si ritiene che una delle principali cause dell’inattuazione del Titolo V sia da individuare proprio nella scarsa attenzione mostrata dal legislatore rispetto alle nuove disposizioni costituzionali sull’esercizio della funzione amministrativa e sul ruolo degli enti locali, ed in particolare del Comune.
In sostanza, gli aspetti più esaminati e dibattuti della riforma sono stati quelli relativi al nuovo riparto di competenze in ambito legislativo, il che ha concorso a creare una notevole confusione circa i compiti ed i ruoli affidati dal nuovo testo costituzionale ai diversi soggetti dell’ordinamento.
Sotto questo profilo, è sfuggito il disegno di fondo della riforma che ha inteso assegnare allo Stato e alle Regioni un ruolo legislativo e di supporto, e lasciare, invece, ai Comuni un ruolo di natura decisamente operativa e gestionale.
La via d’uscita per la situazione di impasse sin qui creatasi è da ricercare, anzitutto, nell’affermazione concreta del principio di responsabilità delle autonomie locali e, in particolare dei Comuni, quali enti titolari della generalità delle funzioni amministrative secondo la Costituzione.
In quest’ottica, si ritiene essenziale liberare la capacità di sviluppo e di esercizio delle autonomie sul piano dell’autoorganizzazione e dell’autocontrollo, attraverso, in particolare, il superamento del Testo Unico degli Enti Locali e l’approvazione della Carta delle autonomie.
Al riguardo, è necessario chiarire e specificare le modalità di esercizio delle funzioni, soprattutto per i Comuni più piccoli, e favorire il coinvolgimento di tutti i livelli di governo coinvolti nella realizzazione del nuovo disegno, discostandosi dall’orientamento della Corte costituzionale di sottrarre dall’applicazione delle nuove disposizioni i Comuni e le Province delle Regioni a statuto speciale.
Alla luce di tali premesse, gli interventi concreti che si ritengono indispensabili per l’attuazione della riforma sono essenzialmente quattro, ossia:
– individuare le funzioni fondamentali di Comuni e Province, in attuazione dell’art. 117, comma 2, lett. p) Cost., coinvolgendo anche gli enti locali delle Regioni a statuto speciale;
– prevedere l’obbligatorietà dello svolgimento in forma associata di alcune funzioni dei Comuni, attraverso unioni obbligatorie tra gli stessi;
– introdurre principi e regole di semplificazione istituzionale, evitando inutili e costose sovrapposizioni di enti ed organi;
– trasferire le risorse necessarie per l’esercizio delle funzioni, attraverso la piena attuazione dell’art. 119 Cost..
Questi interventi sono possibili solo attraverso un accordo molto ampio tra i soggetti istituzionali deputati a realizzarli, oltre che in presenza di un effettivo sforzo di collaborazione e di adattamento da parte delle amministrazioni locali coinvolte.
La relazione del Prof. Merloni si è aperta anch’essa con una critica verso i provvedimenti sin qui adottati o solo predisposti ai fini dell’attuazione del nuovo Titolo V.
Si ritiene, al riguardo, che, da un lato, la legge La Loggia è stato l’esito di un “pensiero debole” rispetto ad una riforma attuata sotto un altro contesto politico; dall’altro, la Carta delle Autonomie è un testo che nasce da un’idea applicativa sin troppo forte delle nuove disposizioni costituzionali, con la presenza di ben sette deleghe che inevitabilmente rendono assai tortuoso e complicato il percorso attuativo del provvedimento in questione.
In realtà, negli ultimi anni si è assistito ad un processo inverso rispetto al disegno costituzionale di potenziamento delle autonomie locali e dei Comuni in particolare; un processo che, viceversa, ha visto rafforzarsi il centralismo e la sovraordinazione degli interventi statali su quelli di ogni altro livello di governo.
Due fenomeni rappresentano una chiara dimostrazione di questa inequivocabile tendenza.
Anzitutto, la sempre più frequente e “devastante” costituzione di Amministrazioni d’emergenza, che nascono e rimangono in carica a prescindere da effettive situazioni di eccezionalità, rappresentando un terreno assai fertile per vicende di abuso e clientelismo.
Analoghi fenomeni degenerativi sono riscontrabili in merito all’assunzione e gestione di servizi pubblici da parte degli enti locali attraverso società strumentali: in questo modo, infatti, il fine pubblico cui dovrebbe essere diretta l’attività di gestione del servizio è il più delle volte recessivo rispetto alla crescita ed al rafforzamento di potentati economici strettamente ed indebitamente vicini al vertice politico-amministrativo di riferimento.
Si tratta di fenomeni che hanno creato una vera e propria “frattura democratica” all’interno del Paese, alterando e corrompendo profondamente l’intento del legislatore costituzionale di rafforzare l’autonomia e la responsabilità delle amministrazioni locali.
I rimedi possibili per fronteggiare questo processo degenerativo sono essenzialmente tre:
– individuare le funzioni fondamentali degli enti locali per stabilire, una volta per tutte, “chi fa cosa”;
– approvare disposizioni di legge che obblighino gli enti locali a motivare in merito all’assunzione dei servizi pubblici, in linea con la normativa comunitaria in materia;
– introdurre forme di controllo esterno di legalità, indipendenti e paragiurisdizionali, volti a garantire la trasparenza ed il corretto perseguimento dell’interesse pubblico.
Anche in questo caso, la realizzazione di tali obiettivi passa per un accordo serio e duraturo tra tutti i soggetti che operano, a vario titolo, ai vertici degli apparati politici ed amministrativi.
La relazione del Prof. Piraino si è concentrata, principalmente, su un’analisi del sistema delle fonti, ed in particolare, su una rilettura, ritenuta indefettibile, della natura delle disposizioni costituzionali contenute nel Titolo V.
Al riguardo, si è affermato che la strada maestra per giungere ad una effettiva attuazione della riforma è quella di considerare le norme contenute nel predetto Titolo V come norme precettive e non meramente programmatiche.
Tale rilievo nasce dalla constatazione della quasi totale inerzia del legislatore ordinario rispetto all’attuazione delle nuove disposizioni costituzionali, che rischiano di rimanere lettera morta per molto tempo, anche rispetto a regole particolarmente chiare e precise in esse contenute.
Occorre, pertanto, superare l’idea della natura programmatica delle norme in questione e quindi la preoccupazione di un necessario intervento legislativo per l’attuazione di disposizioni che hanno, invece, natura immediatamente precettiva.
In altri termini, la riforma ha inteso incidere profondamente sul testo costituzionale assegnando in modo diretto e preciso poteri e prerogative che tutti i soggetti destinatari possono immediatamente esercitare, senza bisogno di alcun filtro legislativo statale o regionale.
In questo contesto, è auspicabile un ruolo più adeguato da parte delle principali associazioni di Comuni e Province, ossia l’ANCI e l’UPI, che dovranno fornire un contributo decisivo per il corretto svolgimento di questo processo.
Infine, occorre che si realizzi inevitabilmente un mutamento dello scenario politico di riferimento, considerato che la “questione politica” è spesso la causa principale dei ritardi e delle disfunzioni nell’attuazione dei principi e delle regole sui compiti e i doveri dei diversi livelli territoriali.
Le varie relazioni sono state precedute, intervallate e seguite da brevi commenti del Prof. Palma che ha presieduto l’incontro, offrendo diversi spunti critici e di riflessione sui complessi temi che riguardano l’attuazione del Titolo V, con un particolare richiamo alla necessità di un’etica pubblica che contribuisca in maniera decisiva a superare conflitti ed abusi che rallentano ed ostacolano il processo di rinnovamento delle istituzioni italiane.
L’attuazione del Titolo V della Costituzione fra XV e XVI legislatura” – Resoconto convegno
13.05.2008