L’appalto tra diritto privato e diritto pubblico. Il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture – Resoconto convegno

22.10.2008

Il giorno 10 ottobre si è tenuto, presso la sede del Consiglio Nazionale Forense, un seminario riguardante il Codice dei Contratti pubblici, organizzato nell’ambito della ricerca interuniversitaria sul tema “I nuovi codici di diritto sostanziale nel sistema: diritto comune, speciale o eccezionale?”.
Il Prof. Avv. G. Alpa, come Presidente del Consiglio Nazionale Forense, ha aperto i lavori introducendo l’oggetto del seminario come materia in continua evoluzione tanto da incidere sulla instabilità del nostro ordinamento; ciò comporta un evidente margine di rischio, soprattutto per i rapporti pendenti: ragioni per le quali il nostro legislatore ha adottato una tecnica normativa di stratificazione delle fonti, intervenendo più volte su tale tematica.
Il Prof. Avv. G. Iudica, che ha presieduto la giornata, si è soffermato, nel suo breve commento, sul titolo del seminario che va ad evocare un qualcosa di instabile tanto da poter richiamare “The dangling man” di Saul Bellow; si può affermare, infatti, che la disciplina dell’appalto ondeggia tra il diritto privato e il diritto pubblico, tra l’appalto d’opera e l’appalto di servizi; e viene a delinearsi un istituto in cui il contraente dell’appalto è un committente pubblico: così costruito l’appalto sembra definire un contratto squilibrato tra le parti contraenti.
La Prof.ssa Avv. V. Di Gregorio ha definito complessa la tematica dei contratti pubblici, dato il cambiamento dello scenario normativo a cui si è assistito a causa dell’introduzione di nuove fonti di diritto civile, tra cui i codici di settore. L’obiettivo del legislatore è quello di semplificare la materia, ma questo obiettivo dovrebbe prevedere una normativa di compatibilità tra le nuove norme e quelle del codice civile. Hanno contribuito all’elaborazione di nuovi testi normativi molteplici fattori, tra cui la rilevante incidenza del diritto comunitario sul diritto nazionale, il ruolo delle autorità indipendenti, il ruolo della Corte di Giustizia e le prassi dei cambiamenti sociali del mercato. L’elaborazione di norme attraverso codici dovrebbe offrire una disciplina unitaria per quelle materie abbandonate alla loro frammentarietà. Il legislatore comunitario ha svolto un importante ruolo nell’armonizzazione di regole (common frame of reference), cosicchè il codice civile non è più deputato a svolgere un ruolo solista, ma corale, insieme alle altre fonti: si assiste sempre più alla definizione di policentrismo.
Il Codice dei contratti pubblici gioca un ruolo fondamentale come regolamentazione unitaria se si considera il suo intervento in molteplici settori, anche di rilevanza economica. Sono stati elaborati ben tre decreti correttivi che hanno rallentato l’entrata in vigore del regolamento che porterà all’adozione del Codice. Il terzo correttivo prevede l’istituto del Project financing che consente di coinvolgere il privato quando la Pubblica amministrazione non ha abbastanza risorse per la realizzazione di un progetto. Il quadro della normativa del codice dei contratti pubblici riprende vari istituti di diritto civile come la prelazione, la sanzione della nullità dal contratto d’appalto, le questioni di buona fede, equilibrio contrattuale, recesso per revoca, risoluzione e responsabilità.
La disciplina civilistica è così vicina all’istituto dell’appalto che l’articolo 2 del Codice dei contratti rinvia alle disposizioni del codice civile per le parti non espressamente previste dal Codice stesso. L’appalto pubblico è considerato una species dell’appalto privato, ma il punto centrale di questo studio consiste nell’individuare la fattispecie distinta da quella dell’art. 1655 c.c. e rispondere ad una serie di interrogativi: il codice civile costituisce norma suppletiva o integrativa del codice di settore? Il Codice dei contratti è norma di diritto comune o diritto eccezionale?
Il Prof. Avv. C. Franchini ha sottolineato tre punti importanti: i condizionamenti di natura pubblica sull’istituto dell’appalto; la privatizzazione del diritto amministrativo e la pubblicizzazione dei modelli civilistici; la funzionalizzazione dell’attività negoziale con riferimento alla legalità. Per quanto riguarda il primo punto, l’art. 1 bis della legge 241/90, a seguito della riforma del 15 febbraio 2005, afferma che quando la Pubblica amministrazione adotta atti di natura non autoritativa agisce secondo le norme di diritto privato. Questa disposizione, secondo il relatore, non vale a condizionare la disciplina pubblicistica del diritto amministrativo. L’appalto è caratterizzato da ambiguità: da una parte, c’è un soggetto di diritto comune, dall’altra, la disciplina speciale dove domina l’autoritatività. Anche se la Pubblica amministrazione agisce secondo le regole del diritto civile, esiste sempre un vincolo pubblicistico sugli atti di diritto privato, il vincolo di scopo dell’azione amministrativa come limite generale compatibile con l’attività di diritto privato. Da un lato, quindi, si assiste all’applicazione di principi di diritto privato, dall’altra, all’affermazione di principi di diritto pubblico che condizionano la fase di formazione della volontà, integrazione dell’efficacia ed esecuzione del contratto.
Gli obiettivi del diritto comunitario intesi alla definizione di un mercato unico concorrenziale hanno portato all’elaborazione di alcuni principi rilevanti tra cui la conformità dell’azione amministrativa all’interesse pubblico, il principio ad una buona ed efficiente amministrazione, la diligenza, la lealtà e correttezza dei funzionari pubblici, la parità di condizione degli operatori economici. Di conseguenza, nella materia dell’appalto, importante risulta la fase di evidenza pubblica, ove domina disciplina pubblicistica, e dove deve affermarsi la concorrenza degli operatori economici. Le scelte amministrative possono essere effettuate solo a seguito di una ponderazione degli interessi coinvolti, quindi attraverso prescrizioni derogatorie ai diritto comune per la definizione delle scelte.
Secondo il Professore, ci troviamo di fronte a due tendenze contrapposte: la privatizzazione del diritto amministrativo e l’estensione delle discipline pubblicistiche. Sono tendenze connesse che non comportano una separazione netta di discipline ma una concorrenza di norme, in forza della quale l’attività privata viene funzionalizzata all’attività pubblica. Non vi è, di conseguenza, una PA che agisce solo in via autoritaria, con disciplina pubblicistica, o in via paritetica, con disciplina privatistica, ma con modelli misti, dove diritto privato e diritto pubblico si combinano.
L’azione della PA, in virtù dell’art. 97 Cost. è sempre finalizzata al conseguimento dell’interesse pubblico definito a livello normativo, scegliendo lo strumento negoziale più idoneo secondo il principio di legalità. Il principio di legalità, appunto, è costruito come strumento di garanzia verso il cattivo uso del potere amministrativo che impone alla PA di provvedere agli obiettivi perseguiti dalla legge tenendo conto di tutti i fattori che insistono sulla scelta finale. In questo modo non possono non verificarsi deroghe agli istituti di diritto comune: il principio della parità delle parti è derogato a favore della PA per la realizzazione dell’interesse pubblico che ne condiziona la disciplina, l’efficacia e l’esecuzione del contratto.

Il Consigliere di Stato G. Chinè ha approfondito le novità che riguardano il terzo decreto correttivo (d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152) in vigore dal prossimo 17 ottobre, il cui lavoro è cominciato a seguito di una procedura d’infrazione con la quale la Commissione europea ha contestato numerosi articoli del codice dei contratti pubblici evidenziando come parte della direttiva non fosse stata trasposta.
Si rileva in particolare come il terzo decreto correttivo sia non soltanto figlio della suddetta procedura d’infrazione per la mancata ovvero non corretta trasposizione delle direttive 2004/18 e 2004/17, ma anche il frutto della attuale emergenza economica. Paradigmatica è in relazione a quest’ultimo profilo, infatti, l’inserimento all’art. 133 del Codice del comma 1 bis, che riconosce la possibilità per la stazione appaltante di prevedere nel bando di gara che il pagamento dei materiali da costruzione avvenga dietro presentazione da parte dell’impresa esecutrice di fattura o di altro documento comprovanti il loro acquisto nella tipologia e quantità necessarie per l’esecuzione del contratto. Ciò implica un’anticipazione da parte dell’impresa esecutrice del pagamento per l’acquisto dei materiali che laddove previsto, andrebbe a sostituirsi al pagamento su stato avanzamento lavori.
Il decreto interviene poi sull’art. 49 del codice dei contratti disciplinante, come noto, l’istituto dell’avvalimento Viene in particolare modificato il comma 6 prevedendosi con riferimento ai soli lavori, che il concorrente possa avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione. Si fa notare come l’operatività dell’istituto de quo fosse stata già limitata rispetto al contenuto della normativa comunitaria, atteso che il prestito dei requisiti di capacità avrebbe potuto impedire il controllo antimafia.
Per i servizi e le forniture, invece, il concorrente potrà avvalersi di più imprese ausiliarie “fermo restando il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di cui all’art. 40, comma 3, lettera b), che hanno consentito il rilascio dell’attestazione in quella categoria”.
Il decreto legislativo inoltre, interviene nuovamente sulla finanza di progetto. Ed invero su tale istituto era già intervenuto lo scorso anno il legislatore col secondo decreto correttivo (d.lgs. 113/2007) eliminando il diritto di prelazione prima riconosciuto al promotore di finanza di progetto o di opera. Esercitando tale diritto infatti il promotore rivendicava a sé l’aggiudicazione della gara adeguando la propria offerta a quella del concorrente risultato vincitore.
Come è stato osservato il riconoscimento di tale diritto potestativo in capo al promotore di fatto limitava fortemente la propensione delle altre imprese a partecipare al rischio opportunità offerto dalla gara, con conseguente lesione del principio della concorrenza.
Il terzo decreto correttivo, stante la crisi che ha attraversato l’istituto del project financing all’indomani dell’eliminazione del diritto di prelazione, interviene introducendo in luogo di quest’ultimo forme di evidenza pubblica, a garanzia dell’effettività del principio di concorrenza.
Si sottolinea inoltre la modifica del comma 5 dell’art. 36 sui consorzi stabili. Viene in particolare espunto il divieto di partecipazione alla medesima procedura di affidamento prima previsto per consorzi e consorziati, fatta eccezione per quei consorziati per i quali in sede di offerta il consorzio dichiara di concorrere.
L’ultimo profilo attiene all’art. 253 del Codice relativo alla disciplina transitoria. Bisogna premettere che questa norma è stata contrastata dal Consiglio di Stato atteso che le imprese sia nei casi previsti all’art. 91 sia in caso di esecuzione di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro possono dimostrare di avere i requisiti richiesti scegliendo i migliori cinque anni dei dieci anni precedenti alla stipula del contratto.
Secondo il Consiglio di Stato questa norma sarebbe stata violativa del principio della concorrenza. Tuttavia stante la crisi del sistema edilizio, il Governo ha esteso la partecipazione a tutte le imprese.
L’art. 253 infine prevede che mentre entreranno subito in vigore le sanzioni previste dal regolamento esecutivo attuativo, per le altre disposizioni lo stesso entrerà in vigore entro centottanta giorni dalla pubblicazione.

Interviene il Consigliere di Stato R. Garofoli sulla vexata quaestio degli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione della gara sulla sorte del contratto stipulato.
Come è noto questa problematica involge anche e soprattutto i profili del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario ed amministrativo, di cui si sono occupate prima le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza del 28 dicembre 2007, n. 27169 e successivamente l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 9 del 30 luglio scorso.
Il Relatore osserva come preliminare alla soluzione delle questioni processuali sia l’esame dei profili sostanziali che seguono all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione.
Sul punto in giurisprudenza si sono alternate quattro tesi. Per esigenze di sinteticità espositiva ne vengono esaminate solamente due.
La prima tesi sostiene l’annullabilità del contratto ex art. 1441 c.c. Secondo questa tesi, particolarmente seguita dalla giurisprudenza della Cassazione, la procedura di evidenza pubblica è funzionale alla corretta formazione della sola volontà negoziale della Pubblica amministrazione; i relativi vizi, rilevanti come vizi del consenso, sono deducibili pertanto solo da quest’ultima ex art. 1441c.c. La ricaduta processuale di tale tesi è il radicamento della giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti soggettivi, a conoscere delle relative controversie di annullabilità del contratto a valle stipulato.
Tuttavia la procedura dell’evidenza pubblica prevista dalla normativa comunitaria anche nell’interpretazione fornitane dalla CGCE, non mira tanto a tutelare la corretta formazione della volontà del contraente pubblico, quanto piuttosto a garantire l’effettività del principio della concorrenza, della partecipazione e di non discriminazione tra le imprese.
Tanto premesso la tesi dell’annullabilità mal si concilia col dettato europeo. Essa inoltre presta il fianco ad altre critiche.
Innanzitutto in ossequio al disposto di cui all’art. 1441 c.c. riconosce la legittimazione relativa ad agire alla sola Pubblica amministrazione quando solitamente è la stessa amministrazione ad aver dato causa con la propria attività provvedimentale all’illegittimità della procedura di evidenza pubblica.
Inoltre questa tesi non offre adeguata tutela, ma anzi la frantuma, al secondo classificato in graduatoria il quale, titolare dell’interesse pretensivo all’aggiudicazione della gara in suo favore, dovrebbe dapprima ottenere l’annullamento dell’aggiudicazione a favore del primo classificato, esperendo la relativa azione davanti al giudice amministrativo; successivamente dovrebbe confidare nell’esercizio dell’azione di annullamento del contratto da parte della Pubblica amministrazione davanti al giudice ordinario per poi finalmente ottenere l’aggiudicazione del contratto da parte della medesima P.A.
Altra tesi presa in esame è quella che sostiene che per effetto dell’annullamento retroattivo dell’aggiudicazione non si pone un problema di patologia, sub specie di invalidità, del contratto quanto piuttosto di caducazione automatica dello stesso. Secondo questa tesi, avallata soprattutto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, tra la fase pubblicistica finalizzata all’aggiudicazione e quella privatistica della stipulazione del contratto intercorrerebbe un rapporto di presupposizione necessaria ancorché i due atti siano ontologicamente diversi. Ne consegue che con la caducazione del primo cade anche il secondo (simul stabunt simul cadent).
Secondo il Relatore questa tesi trova una conferma positiva all’art. 243 del Codice dei contratti pubblici laddove al comma 4 prevede solo con riferimento alle controversie relative ad infrastrutture ed insediamenti produttivi che “..l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato..”.
Ragionando a contrario per le altre controversie dovrebbe desumersi l’operatività del principio della caducazione automatica del contratto, la cui cognizione sarà devoluta, in ossequio al principio della concentrazione processuale, al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 244 del Codice.
Questa tesi ha il pregio di garantire e tutelare meglio la posizione giuridica soggettiva del secondo classificato in graduatoria, così evitandogli un defatigante duplice percorso giurisdizionale prima davanti al giudice amministrativo e successivamente davanti a quello ordinario.
Con la sentenza n. 27169 del 2007 le Sezioni Unite della Cassazione sostengono che, a prescindere dal profilo sostanziale e quindi dall’adesione all’una o all’altra tesi sopra riportata, la giurisdizione non cambia in quanto la pronuncia sul contratto non può che essere devoluta alla cognizione del giudice ordinario. A sostegno dell’assunto viene richiamata la nota sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale: ed invero a seguito dell’annullamento retroattivo dell’aggiudicazione la Pubblica amministrazione non esercita alcun potere in grado di degradare la posizione giuridica del privato in interesse legittimo. Il diritto soggettivo del secondo classificato non può allora che trovare tutela presso il giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti soggettivi.
Questa soluzione è stata condivisa recentemente dall’Adunanza Plenaria n. 9/2008 del Consiglio di Stato. Il Supremo Consesso ha stabilito che il secondo classificato, ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione, può conseguire il solo risarcimento per equivalente economico non anche quello in forma specifica che, incidendo sul contratto e, quindi, sui diritti soggettivi, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo.
L’Adunanza Plenaria tuttavia recupera la tutela del privato sostenendo che il bene della vita che non può ottenersi con la reintegrazione in forma specifica in sede di giudizio di annullamento, potrà essere raggiunto in sede di giudizio di ottemperanza al giudicato.
Spetterà quindi al privato la scelta tra adire il giudice ordinario ovvero, a fronte del perdurante inadempimento della P.A., esperire il giudizio di ottemperanza.
Tale soluzione, come evidenziato dal Relatore, non va esente da critiche. Ed invero finché il giudice ordinario non venga adito per la declaratoria – a seconda della tesi sostenuta – della nullità/annullabilità ovvero dell’inefficacia o della caducazione automatica del contratto di appalto, è indubbio che il contratto medesimo esplicherà pienamente i suoi effetti ex art. 1372 c.c. con la conseguenza che l’aggiudicatario, sebbene illegittimo, potrebbe richiederne l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.

Prof. Avv. R. Dipace, parlando dei contratti alternativi all’appalto per la realizzazione di opere pubbliche, ha definito questi istituti innovativi, incentrati sulla collaborazione tra soggetto pubblico e privato. L’art. 128 del Codice dei contratti prevede la programmazione delle opere pubbliche finanziabili con capitale privato in cui il soggetto privato diventa proponente dell’intervento, poi il leasing immobiliare, i contratti di partenariato pubblico-privato che costituiscono una nuova categoria contrattuale non solo per la realizzazione di opere ma anche di servizi, con finanziamento totale o parziale a carico dei privati e con conseguente allocazione dei rischi tra soggetto pubblico o privato a seconda dell’apporto finanziario. Questi nuovi contratti non sono utilizzabili sempre perché l’appalto funziona ancora. Si assiste, quindi, ad una naturale evoluzione dell’attività amministrativa in chiave di sussidiarietà.
Il Relatore si è soffermato a delineare i caratteri fondamentali del partenariato inserito all’interno del Codice dei contratti pubblici il quale ha recepito totalmente la definizione adottata dal Libro verde della Commissione 2004. I punti fondamentali sono: 1) la durata della collaborazione; 2) le modalità di finanziamento del soggetto privato; 3) il ruolo dell’operatore economico; 4) la ripartizione dei rischi tra soggetto pubblico e privato. Il contratto di partenariato prevede una ripartizione chiara dei ruoli secondo cui il soggetto pubblico definisce gli obiettivi e vigila i lavori, il privato, invece, sceglie i progetti. Accanto a forme tipizzate di partenariato possiamo individuare la possibilità della PA di porre in essere contratti atipici come procedure flessibili per coordinare i propri interessi, ma questo non a scapito della fase di evidenza pubblica che realizza un dialogo competitivo tra imprenditori e amministrazione. Questo modo di procedere e di costruire l’azione amministrativa porta vantaggi ad entrambe le parti in quanto la soluzione del progetto avviene in modo concordato e favorisce la deflazione del contenzioso. In conclusione, la Pubblica amministrazione non può più agire soltanto attraverso strumenti autoritativi.

Il Prof. Avv. G. Scoca ha concluso i lavori lasciando aperti alcuni punti: c’è una convergenza tra diritto privato e diritto pubblico? Bisogna distinguere tra disciplina e qualificazione: se c’è una convergenza, gli atti non possono essere qualificati come atti di diritto pubblico o di diritto privato. Il contratto d’appalto è un atto privato o pubblico? E’ privato ma si svolge secondo le regole di diritto pubblico. L’art. 1bis della l. 241/90 è una norma rappresentativa di questa convergenza, ma fa parte di quelle aperture ideologiche del legislatore, come il 21 septies che richiama una norma privatistica, ma priva di significato perché non esplicita gli elementi essenziali del provvedimento. L’importante è la funzione, ossia l’esercizio di un potere vincolato ad un fine; il provvedimento è legittimo se raggiunge il suo scopo. Richiamando l’autonomia privata, non c’è solo il limite del lecito, ma anche la totale funzionalizzazione dell’attività amministrativa. Quindi, non si può parlare di autonomia privata dell’amministrazione, almeno non nell’intenzione del codice civile.
Secondo il Professore, il contratto d’appalto non è un contratto ondeggiante tra pubblico e privato; ci sono due figure d’appalto: una, disciplinata dal codice civile, l’altra dal Codice dei contratti pubblici che crea una diversa definizione del contratto d’appalto, ma questo non ne esclude la natura di contratto di diritto privato. Per quanto riguarda la relativa disciplina, se consideriamo il punto d’origine dal 1994, numerosi interventi sono stati apportati. Il nodo importante è proprio la dimensione della disciplina che presenta numerosi articoli e disposizioni.
Ugualmente dicasi con riferimento alla figura della concessione. All’indomani dell’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, il nostro ordinamento conosce due figure di concessione: quella contrattuale prevista proprio dal Codice e quella classica provvedimentale.
Il Professore ha richiamato l’istituto del Project financing, spiegando come questo abbia perso il suo valore originario secondo cui il privato era promotore dell’iniziativa, al contrario, ora è l’amministrazione che definisce il progetto e la gara si sviluppa su tale progetto.
In relazione all’aggiudicazione e la sorte del contratto d’appalto, il Prof. Scoca aderisce alla tesi della concentrazione della giurisdizione, attribuendo la relativa controversia al giudice amministrativo.


Ileana Boccuzzi e Cecilia Cavaceppi