Regulation, Banda Larga e Servizio Universale. Immobilismo o innovazione? (Napoli, 28 Maggio 2009) – Resoconto convegno

21.07.2009

Napoli, 28 Maggio 2009
Università degli Studi “Federico II”
Facoltà di Giurisprudenza

La Banda Larga nasce all’inizio del nuovo millennio come tecnologia in grado di consentire un accesso più veloce ad Internet; essa è diventata, nel corso degli anni, un’infrastruttura portante del sistema economico e sociale, determinando la nascita di nuove tipologie di servizi e modalità di fruizione e, conseguentemente, il sorgere di nuovi modelli di business.
La tematica dell’accesso alla banda larga pone però un problema che è innanzitutto di carattere politico, ovvero, mette i governi degli Stati di fronte alla questione di come comportarsi rispetto all’eventualità di una sua previsione come Servizio Universale da garantire agli utenti, o meglio, di quale politica adottare e quali forme di regolazione prevedere in relazione ad essa.
Di questo hanno discusso, lo scorso 28 maggio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Federico II” di Napoli, la prof.ssa Giovanna De Minico, docente di Diritto dell’Informazione e della Comunicazione, ed il prof. Giuseppe Guizzi, docente di Diritto Commerciale, promotori del Convegno “Regulation, Banda Larga e Servizio Universale. Immobilismo o Innovazione?”. Insieme a loro sono inoltre intervenuti, moderati dal prof. Massimo Villone, docente di Diritto Costituzionale, il prof. Luigi Paura, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Biomedica, Elettronica e delle Telecomunicazioni ed il prof. Alfredo Del Monte, Direttore del Master in Tutela della Concorrenza e della Regolamentazione. Ospite d’eccezione dell’Ateneo, il dott. Francesco Caio, consulente in Telecomunicazioni dei governi britannico ed italiano ed autore del rapporto contenente le valutazioni sulle possibili soluzioni suggerite al governo italiano con l’obiettivo di portare l’Italia verso la leadership europea nella banda larga.
Sulla base del rapporto Caio, si è trattato, in altre parole, di discutere sulla scelta italiana tra immobilismo ed innovazione economica: l’accesso alla banda larga comporta infatti, per un Paese, significative implicazioni sul piano economico-finanziario, ma anche su quello tecnologico ed infrastrutturale, specie se si guarda all’architettura stessa delle reti di nuova generazione.
Innanzitutto è possibile definire – come ha fatto la prof.ssa De Minico – il concetto di banda larga come “la possibilità di accesso veloce ad internet e, quindi, ai servizi digitalizzati della Pubblica Amministrazione”; in altre parole, essa rappresenta la possibilità di accedere, in una veste nuova, ad alcuni dei diritti di libertà del cittadino o, più semplicemente, di avere accesso ad una serie di servizi senza difficoltà di connessione.
Nel corso del suo intervento, la prof.ssa De Minico ha sottolineato come la banda larga costituisca una tematica che suscita l’interesse critico di profili professionali differenti: dai giuristi agli ingegneri, dai tecnici agli economisti. Tale premessa è fondamentale in quanto, per definire il processo di regolazione delle nuove Reti, è innanzitutto necessario comprendere le questioni tecniche che caratterizzano le Reti di nuova generazione, nonché i principali fattori atti a determinarne la domanda. Soffermando la propria attenzione sulle problematiche relative all’e-government, sotto il profilo del diritto pubblico, la prof.ssa De Minico ha posto tre importanti quesiti, riguardanti essenzialmente le questioni politiche che ruotano intorno al concetto di banda larga, e cioè: quale criterio intende adottare il decisore politico, sia nazionale che europeo, per determinare se la banda larga possa o meno considerarsi Servizio Universale? Qualora questo avvenisse, quale sarebbe la regulation adeguata? Ed, infine, quale potrebbe essere l’opzione gestoria più idonea?
La Rete dovrebbe non solo consentire una maggiore facilità di accesso ai servizi che fornisce, ma deve diventare un canale privilegiato di interazione tra cittadini e Pubblica Amministrazione. La banda larga, dunque, va incontro ad un bisogno essenziale del cittadino, che è quello di poter accedere a determinati servizi direttamente da casa propria, come può essere il richiedere una certificazione o il pagare una multa. Tale bisogno non può essere considerato meno essenziale di tanti altri, cui lo Stato già risponde attraverso una puntuale assunzione di responsabilità.
La banda larga infatti, come altri servizi, incontra una precisa domanda, che può essere interpretata come una vera e propria “istanza di informazione, di intrattenimento, di educazione” del cittadino europeo, ha sottolineato la prof.ssa De Minico, nonché un suo diritto ad essere informato ed ad accedere liberamente ai servizi digitalizzati della P.A., in conformità, peraltro, con quanto previsto in materia agli artt. 3, comma 2, 21 e 97 della nostra Carta costituzionale. Senza contare poi il fatto che, in alcuni specifici casi, tale bisogno può addirittura rappresentare un’urgenza quando i diritti sociali del cittadino vengono ad essere esercitati da categorie di persone con maggiori difficoltà d’accesso ad un determinato sistema di servizi: si pensi, ad esempio, a cittadini residenti in zone disagiate del Paese, portatori di handicap o persone anziane. In generale e, rispetto a tali categorie in maniera ancor più particolare, la banda larga rappresenta uno strumento fondamentale per l’accesso ai servizi; cioè uno strumento atto a garantire un rapporto di imparzialità tra i cittadini, che non crei distacco tra quelli che hanno accesso alla banda larga e quelli che invece non ce l’hanno, finalizzato ad azzerare la distanza tra inclusi ed esclusi.
La banda larga diventa così un mezzo teso a soddisfare un progetto sociale ambizioso di coesione ed equilibrio all’interno della società e di integrazione territoriale, progetto richiamato dagli artt. 154 e 158 del Trattato sull’Unione Europea ed ancor più rafforzato dagli recenti sviluppi del Trattato di Lisbona. Ciò dimostra il fatto che anche una parte dell’Unione Europea, in termini di principio, ha una posizione a favore della banda larga, come strumento che risponde a quello che la prof. De Minico ha definito “l’animo nobile dell’Europa” nei confronti della coesione sociale. Di fatto però, la coesione sociale e l’equilibrio territoriale costituiscono le stesse ragioni per cui alcune realtà economiche sono state isolate dalla lex mercatoria e rese servizi universali, dove, per Servizio Universale si intende “la prestazione che il servizio pubblico rende al cittadino a prescindere dalla sua collocazione geografica ed indipendentemente dalla capacità di spesa”. Il problema cruciale è che, nel processo di liberalizzazione dei servizi avviato, l’Unione Europea non ha incluso la banda larga nelle prestazioni di servizio universale previste dal pacchetto Direttive del 2002 e, probabilmente, ciò non avverrà neanche in futuro considerato che, nel processo di revisione di tale pacchetto, attualmente in fase conclusiva, la Commissione ha escluso drasticamente questa possibilità, in quanto non richiesta dalla maggioranza dei cittadini europei. Ciò accade in quanto tale decisione si fonda su un criterio basato sulla diffusività della domanda, vale a dire, sul fatto che un servizio viene incluso nella categoria di servizio universale solo se è richiesto dalla maggioranza dei cittadini. Va da sé che tale criterio non possa funzionare correttamente in relazione ad un bene, quale è la banda larga, che il cittadino utente non domanda in quanto non ne conosce appieno l’utilità, i vantaggi.
Di fronte a questa situazione, il ruolo dello Stato e, soprattutto, del soggetto europeo dovrebbe essere non quello di limitarsi a registrare una situazione di fatto, bensì quello di agire come soggetto con un ruolo attivo, che stimoli una domanda, facendo ricorso ad un criterio alternativo che guardi al bisogno sociale del cittadino.
In tale contesto, la soluzione auspicabile sarebbe quella di prevedere un intervento pubblico finalizzato a strutturare una Rete per poi affidarne, in una fase successiva, la gestione della capacità trasmissiva a dei soggetti privati.
Qualora la banda larga diventasse servizio universale, quale sarebbe la regolamentazione ad essa più idonea? La prof.ssa De Minico ha sostenuto la tesi per cui, per quanto si possa automaticamente riproporre la disciplina valida per il servizio universale, essa non potrà mai funzionare nel settore della banda larga, in quanto disciplina che sconta il grave “peccato originale” di aver finora derogato, in misura eccessiva, alla lex mercatoria. Sarà pertanto necessario proporre soluzioni innovative, che tengano conto essenzialmente di due necessità: l’obbligatorietà della prestazione e la competitività del mercato.
Alle valutazioni politiche sulla banda larga ben si ricollega il terzo punto messo a fuoco dalla prof.ssa De Minico, e cioè quello relativo alla definizione di chi gestirà le nuove Reti, se ci saranno. Le opzioni in gioco, a parere della De Minico sono due: una orientata nettamente al versante pubblico e l’altra al versante privato.
La prima consiste nel concepire lo Stato come investitore e proprietario della Rete: un gestore pubblico come garanzia di neutralità. Vantaggio di questa opzione sarebbe quello di, in un certo senso, disintegrare l’operatore integrato, o meglio, di non essere più in presenza di un soggetto che riveste i due ruoli di gestore di Reti e gestore di servizi, bensì un unico soggetto che gestisce la Rete. Un ulteriore vantaggio in termini di competitività è determinato dal fatto che, un soggetto che gestisce la Rete senza alcun interesse in termini di servizio, sarà portato a considerare tutte le domande di accesso alla Rete perfettamente sullo stesso piano, poiché non è in possesso di proprie opzioni commerciali disponibili sul mercato alle quali vendere la capacità trasmissiva. Tale soluzione è diametralmente opposta alla posizione attualmente sostenuta dalla Commissione Europea, nonché riproposta anche dal panorama giuridico italiano; il problema posto da tale soluzione è che una volta creato un gestore pubblico, in una posizione di neutralità rispetto alla gestione della Rete, occorrerà definirne i sistemi di accesso, il ruolo istituzionale attraverso il quale essa sarà gestita. In breve, si tratta di un problema di definizione di un sistema di governance adeguato, di scelta rispetto a quale organo parlamentare conferire dei precisi poteri d’indirizzo. Oltre a tale interrogativo, cui è indubbiamente difficile dare una risposta in questo momento, si aggiunge l’aspetto negativo costituito dall’ovvia considerazione che gli altri operatori difficilmente investiranno in una Rete gestita dallo Stato.
In base alla soluzione privatistica, invece, tutti gli operatori di Reti si uniscono per la creazione del sistema: ma quale dovrà essere il ruolo da attribuire allo Stato in questo caso? A parere della prof. De Minico, allo Stato andrebbe attribuito un ruolo centrale, che funga da architetto del sistema in un quadro in cui a tutti gli altri operatori gestori della Rete venga attribuito lo stesso peso, al fine di garantire tra di essi una politica di equilibrio.
La politica della Rete è dunque vista, in quest’ottica, come una politica di equilibrio, che non consenta di trasferire, all’interno della società privata così creata, gli stessi rapporti di forza che esistono oggi nel contratto d’accesso tra Telecom e gli altri operatori; non avrebbe infatti alcun senso unire gli operatori in un’unica società di gestione se il loro rapporto continuasse ad essere governato da una logica capitalistica. In tal modo, si tratterebbe di seguire, in un certo senso, una logica “procapite” a scapito di una logica palesemente “capitalistica”: ciò consentirebbe di realizzare una Rete a disposizione di tutti gli operatori, garanzia di pluralità e vantaggi economici.
Il governo italiano non sembra però andare in questa direzione: il piano e-gov 2012 del Ministro Brunetta potrebbe rappresentare un ottimo presupposto ma, al momento, nessun finanziamento è stato stanziato per favorire la diffusione della connessione veloce, ed i soldi previsti in finanziaria a favore della banda larga sono stati utilizzati per compensare le perdite derivanti dall’abolizione dell’Ici. Non c’è, allo stato attuale, un programma effettivo, né per la banda larga né per le Reti di nuova generazione; motivo per cui, la prof.ssa De Minico ha prospettato l’unica strada percorribile, e cioè quella di affidarsi ai soggetti privati che, inevitabilmente, investiranno solo nelle zone remunerative e che, anziché ridurre il “divario digitale” – come lei lo ha definito – tra Nord e Sud, finiranno con l’incrementarlo.
La discussione non può non ricondurre ad una questione di scelte politiche, che induce a domandarsi il perché il nostro Paese abbia preferito una strategia di contenimento dell’innovazione alla sfida della coesione sociale e dell’integrazione territoriale.
La denuncia della prof.ssa De Minico ha riguardato dunque la mancanza di una “policy pubblica” sulla Rete ed induce a chiedersi: “chi si avvantaggerà? A chi giova tanto immobilismo e quando ripasserà questo treno veloce per la competitività internazionale?”.

Da un punto di vista dell’accesso ai mercati, a parere del prof. Giuseppe Guizzi, la banda larga pone un problema fondamentale, che è essenzialmente un problema d’impresa, cioè quello di sviluppare una struttura fruibile a tutti, ma che tuttavia prevede dei costi di investimento che non risultano recuperabili.
È dunque attraverso una questione di sostenibilità dei costi che si spiegherebbe, per il prof. Guizzi, la difficoltà di concepire un intervento diretto dello Stato nella creazione di una Rete unica di nuova generazione; d’altra parte, egli ha escluso anche la possibilità che ogni singolo operatore privato possa creare una Rete propria: soluzione che, dal canto suo, porrebbe anche un problema di eco sostenibilità, insito nella creazione stessa di più infrastrutture sul territorio. Sotto questo aspetto, al contrario, una gestione statale della rete presenterebbe un elevato livello di compatibilità ambientale.
La scelta del modello pubblicista, a parere del prof. Guizzi, comporterebbe da un lato, un problema di governance legato al fatto che lo Stato rappresenterebbe il maggiore azionista della nuova Rete, dall’altro, tale modello costituirebbe una valida soluzione ai fini di ristabilire un equilibrio dei poteri d’impresa. Il freno a tale opzione gestoria è però rappresentato dalla difficoltà di immaginare che i gestori privati possano cedere alle pretese dell’apparato statale.
Diversa la soluzione prospettata dal prof. Guizzi: una rete comune, cogestita da più imprese e governata attraverso appositi meccanismi di governance che ne consentano a tutti l’accesso. È chiaro che i principi su cui fondare tali meccanismi possono essere vari, come ad esempio quello per cui a maggiore investimento corrisponda maggiore controllo ma, soprattutto, tali principi dovranno essere frutto di una scelta politica ben precisa. In un ottica di indirizzo, che vada oltre il confine territoriale di ogni singolo Stato, l’Unione Europea si sta adoperando per una soluzione che possa fungere da compromesso a tale situazione, attraverso una rivalutazione del ruolo dello Stato negli aiuti alle imprese.

Estremamente tecnico e puntuale l’intervento del Prof. Luigi Paura, il quale si è concentrato sugli aspetti strettamente tecnologici legati al concetto ed alle potenzialità della banda larga. Rileva anzitutto che non esiste una definizione univoca di banda larga: ve ne è una scientifica ed una più varia e diffusa, dinamica, che identifica la banda larga in una Rete di accesso, come “l’attitudine che può avere una connessione di poter erogare dei servizi multimediali e servizi con un contenuto significativo di interattività”. La sfida del futuro, dal punto di vista tecnologico, è rappresentata dal fatto che il sistema di Reti di accesso di prossima generazione dovrà concepire una Rete unica, o meglio, un sistema di Reti integrate che interagiscano tra loro.

Sul legame esistente tra servizio universale e banda larga ed, in particolare, sulla possibilità di ricomprendere quest’ultima nel “pacchetto” del servizio universale si è soffermato, nel corso del suo intervento, il prof. Del Monte. Partendo dall’assunto che quello delle comunicazioni è sempre stato un settore in cui i servizi sono venduti ad un prezzo più basso, il problema della banda larga individuato da Del Monte sta nel decidere se essa debba essere definita ed identificata in un preciso pacchetto di servizi da fornire a prezzo più basso.
Le considerazioni di Del Monte rivelano, in realtà, un certo scetticismo rispetto alla possibile equiparazione della banda larga al servizio universale, vista come una mancata soluzione al problema effettivo, che non si risolve attraverso un’estensione della banda larga a servizio universale: l’estensione della banda larga al Paese, implementarne la penetrazione sul territorio italiano, deve essere uno specifico obiettivo di politica economica del governo, da realizzarsi attraverso l’individuazione di appositi meccanismi di finanziamento che non creino distorsioni sul mercato.
Di fatto, l’Italia non è oggi tra i leaders della Rete a banda larga. Ha un tasso di diffusione e crescita che è tra i più bassi d’Europa (dal rapporto Caio emerge che soltanto il 20% della popolazione italiana risulta coperto dalla banda larga) e che è senz’altro legato ad una serie di fattori di carattere socio demografico, ad una livello basso di diffusione del computer all’interno delle famiglie italiane.

Da una riflessione sulla necessità e, quindi, sulla forte ricerca a livello europeo, di competenze nel settore delle nuove tecnologie ha preso le mosse l’intervento del dott. Francesco Caio.
Il panorama internazionale, ha sottolineato il dott. Caio, è difatti oggi caratterizzato da un aumento significativo della domanda, proveniente sia dal mondo istituzionale che dal settore privato, di quel segmento occupazionale che ben si connette all’interesse generale dimostrato dai governi in questo ambito: è infatti indubbio che Internet e le tecnologie costituiscano un fattore rivoluzionario rispetto all’economia ed alle dinamiche sociali di un Paese. Se si guarda al cambiamento del sistema produttivo italiano, ci si accorge che nel nostro Paese ci sono oggi più di 20 milioni di cittadini che ogni giorno interagiscono con dei servizi Internet per necessità. In altre parole, Internet ha subìto una trasformazione da strumento divertente a strumento non solo utile, ma quasi indispensabile: ciò costituisce un fattore determinante “di qualità di vita dei cittadini e di competitività delle imprese” che il governo non può ignorare. La radice dell’interesse politico per questo settore sta dunque nell’essere coscienti dell’impatto che questa infrastruttura ha sui cittadini. “E’ evidente, secondo me, che siamo ai vagiti di una nuova industria”, ha affermato il dott. Caio, invitando a riflettere non solo sulla definizione di “sovranità digitale” ma soprattutto sul ruolo che deve assumere lo Stato in questo sistema e sui suoi nuovi confini che, sicuramente, sono diventati parziali rispetto a questi nuovi meccanismi di scambio.
Diventa fondamentale definire un nuovo compito, nuove responsabilità, da architetti del sistema istituzionale ed amministrativo, che tengano conto della mutata realtà che riguarda il rapporto che si instaura tra singoli cittadini, gruppi sociali ed imprese, quando “il costo della transazione va fondamentalmente a zero”.
Rispetto alle strategie di intervento dei governi in questo settore, il dott. Caio ha affrontato i temi della necessità di stabilire nuove regole per il mondo digitale partendo dalla riforma della Pubblica Amministrazione fino ad arrivare alla questione dell’ universalità del servizio in banda larga e dell’effettivo problema delle infrastrutture. In riferimento alla necessaria digitalizzazione dei servizi forniti al cittadino, il programma e-gov 2012, messo a punto dal Ministro Brunetta, rappresenta una spinta significativa per promuovere la diffusione della banda larga ed incrementare l’utilizzo dei servizi on line. Esso contiene infatti una serie di iniziative finalizzate alla digitalizzazione ed alla messa in rete dei processi amministrativi a vantaggio del cittadino. Per quanto riguarda l’universalità del servizio in banda larga, bisogna invece sottolineare come la possibilità di garantirlo sia strettamente connessa alla rilevanza che il continuo diffondersi di nuovi strumenti digitali (si pensi a tv e cellulare) che incorporano la connessione a banda larga avrà sulla popolazione. Lo sviluppo dei terminali, cui stiamo assistendo negli ultimi anni, porterà ad eliminare l’intermediazione del pc, che Caio ha definito “la versione jurassica” di Internet, e determinerà un aumento della domanda dei servizi in banda larga. Per quanto riguarda le infrastrutture, vi è poi da affrontare il problema di come gestire le dinamiche tra Reti esistenti e nuova Rete, e cioè in che modo organizzare l’apparato statale in vista del digitale. Per fare ciò, sarà innanzitutto necessario avere ben presenti le forze in gioco, definire l’obiettivo da raggiungere nell’agenda politica del governo e individuare gli strumenti necessari a soddisfarlo. Rispetto a queste tematiche occorrerà innanzitutto organizzare l’apparato statale in vista del passaggio alle infrastrutture digitali di nuovissima generazione.
In questo contesto il Rapporto Caio al governo rappresenta per l’autore stesso l’intenzione del governo di comunicare non tanto il Rapporto stesso, quanto una serie di iniziative in esso contenute che rispettano i passaggi fondamentali di fissare gli obiettivi, verificare i piani dei gestori privati e poi determinare l’intervento da porre in essere: perché solo una visione globale ed un chiaro indirizzo politico possono risolvere tali problematiche.
Per concludere, emerge, da più parti, la questione del ruolo da attribuire al soggetto pubblico nel processo di accostamento al digitale. Considerato che si parla di informazioni integrate, chi le gestisce non dovrà essere governato da una logica egoistica, ma proiettato verso il fine di recare vantaggio a tutti i cittadini; pertanto, una soluzione intermedia potrebbe essere rappresentata dalla previsione di uno strumento privatistico che agisca sulla base di un disegno predisposto ex ante da parte dello Stato, e cioè da un soggetto pubblico privo di un interesse di carattere individualistico.
Il processo di accesso ai servizi della Rete sarà graduale ma, si può dire che sia oggi in fase di accelerazione: libero mercato e iniziativa privata sono senz’altro fondamentali perché questo processo si sviluppi, ma riconoscendo pur sempre di essere all’interno di un contesto in cui è lo Stato, il soggetto pubblico, ad essere architetto del sistema.
Internet veloce costituisce oggi, per ogni società, un’opportunità irrinunciabile per conservare un ruolo determinante nell’economia, motivo per cui la più grande ambizione deve essere, in questo momento, quella di attribuire alla banda larga una posizione centrale nell’agenda politica del governo: far sì che essa diventi una variabile chiave della competitività del territorio capace di attrarre investimenti e capitale umano, nonché garanzia per il futuro dei diritti sociali dei cittadini.

Anna Elisa D'Agostino