Giornate di studio sulla Giustizia Amministrativa dedicate al Prof. Eugenio Cannada-Bartoli – Resoconto Convegno

28.06.2003

Giornate di studio sulla Giustizia Amministrativa
dedicate al Prof. Eugenio Cannada-Bartoli

Seminari sul tema
L’azione risarcitoria nel processo amministrativo

Apertura dei lavori e presentazione delle giornate di studio

Prof. Fabio Francario – Professore straordinario presso l’Università degli Studi di Siena

Le nuove normative in tema di processo amministrativo, in particolar modo il d.lgs. 80/1998 e la L. 205/2000, rischiano di oscurare le iniziali motivazioni della istituzione del Giudice Amministrativo ad opera della Legge Crispi del 1889. Con la istituzione della quarta sezione del Consiglio di Stato si volle dotare il cittadino di una tutela costitutiva di tipo caducatorio, volta ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti amministrativi viziati da incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. Ciò  al fine di ovviare alle limitatezze della mera tutela risarcitoria con la caducazione dell’atto. Oggi vi è il pericolo che il Giudice Amministrativo rincorra l’operato del collega Giudice Ordinario, vista la generalizzata estensione della tutela risarcitoria a favore del primo anche in sede di Giurisdizione Generale di Legittimità.

Prof.ssa Anna Maria Angiuli – Professore Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Bari

La recente sentenza delle Sezioni Unite 500/1999 ha sancito la risarcibilità del danno derivante dalla lesione dell’interesse legittimo pretensivo al culmine di un lungo travaglio che ha visto protagonisti dottrina e giurisprudenza. Essa apre nuovi orizzonti e nuovi problemi interpretativi: quali sono gli interessi risarcibili? Quali i comportamenti?
Fino ad un anno e mezzo fa non vi erano problemi nel ricostruire il modello di responsabilità della P.A. per i danni cagionati da attività provvedimentale, sulla falsariga dello schema di cui all’art. 2043 c.c.; l’utilizzo del modello della responsabilità aquiliana rispecchiava la posizione tradizionale della dottrina, con tutto le conseguenze in materia di onere della prova, termine prescrizionale e ammontare dei danni risarcibili.
Successivamente la dottrina ha incominciato ad indagare altri possibili modelli risarcitori che si basino, rispettivamente, sullo schema dell’art 1337 c.c., in tema di responsabilità precontrattuale,  sulla falsariga della responsabilità contrattuale o, infine, su modelli ibridi di responsabilità speciale o sui generis.
Questa molteplicità di ipotesi ricostruttive denota un’incertezza di fondo che si riverbera sulla effettività di tutela del cittadino, dal momento che una proliferazione di modelli risarcitori potrebbe annacquare le esigenze di protezione della sfera privatistica.
La riprova di questa situazione è data dal caso emblematico della mancata aggiudicazione di un appalto per difetto di approvazione del contratto da parte dell’organo di controllo: il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa non svela l’arcano del tipo di responsabilità da attribuire alla condotta della P.A. procedente.
Se da un lato la Corte di Cassazione ha ribadito di recente la natura extracontrattuale della responsabilità della P.A. nel caso di danno da attività provvedimentale, il Consiglio di Stato (si vedano, da ultimo, le sentenze 204/2003 e 1945/2003) oscilla tra più ipotesi di modelli risarcitori, quantunque non arrivi a sostenere che la P.A. debba rispondere a titolo di responsabilità oggettiva per mera illegittimità del provvedimento amministrativo.
Da queste ultime pronunzie si può evincere un’inversione di metodo: anziché sussumere la risarcibilità del danno della P.A. nello schema più confacente, si sceglie un modello risarcitorio più conveniente ai fini di volta in volta presi in esame dall’interprete, per limitare, alternativamente, il quantum risarcitorio o per ampliare lo spettro delle posizioni soggettive da tutelare.
Ad esempio, il modello della responsabilità extracontrattuale tutela maggiormente il creditore sotto il profilo della prevedibilità del danno e degli interessi moratori, mentre lo penalizza con un onere probatorio assai rigoroso sia in tema di nesso di causalità tra fatto illecito e danno sia sotto il profilo del quantum da risarcire; a tali elementi si somma il problema dell’elemento soggettivo. Da questa insoddisfazione nei confronti dell’art. 2043 c.c. certa dottrina si muove per approdare allo schema della responsabilità contrattuale o precontrattuale per violazione di obblighi di protezione, al fine di meglio garantire il privato.
Si assiste così ad una vera e propria ‘ interversione metodologica’: ciò fu paventato sin da una lontana tavola rotonda del 1981, dove si disse che uno dei possibili criteri di orientamento del Giudice risiedesse nella tutela delle finanze dello Stato.
Occorre partire dal dettato del codice civile: non si può equiparare la responsabilità contrattuale alla violazione degli obblighi procedimentali. Il procedimento è luogo eletto per l’emersione degli interessi secondari e per le posizioni soggettive da tutelare, ma appare eccessivo affermare che la lesione di tali posizioni conduca all’archetipo dell’art. 1218 c.c. Con ciò non si intende creare zone franche all’agire dei pubblici poteri, ma un conto sono i doveri, un altro gli obblighi; la violazione dei primi comporta la illegittimità dell’atto, e non necessariamente una pretesa al risarcimento ex art. 1218 c.c., anche se potrebbe profilarsi qualche eccezione, come nel caso dell’amministrazione per accordi, che offre spazi per una responsabilità di tipo contrattuale.

Intervento del Dott. Marco Lipari
Consigliere di Stato

Anche se vi sono più modelli risarcitori cui ricondurre la responsabilità della P.A., occorre premettere che le riforme del d.lgs. 80/1998 e della L. 205/2000 hanno solo valenza processuale e non sostanziale. Peraltro, le implicazioni di carattere sostanziale sottese alla nuova normativa meritano attenzione.
Si predilige il modello tradizionale che inquadra la responsabilità della P.A. per attività provvedimentale nell’orbita dell’art. 2043 c.c., secondo l’opinione tradizionale della dottrina sul punto, e si fa notare che vi è l’aspirazione ad un modello unitario di risarcimento del danno.
Occorre però chiedersi se i modelli civilistici di responsabilità siano così definiti tra di loro, onde poterne agevolmente effettuare un”actio finium regundorum’, o se invece i contorni appaiano più sfumati. Ad esempio, si assiste talvolta ad ipotesi di responsabilità concorrenti anche con riferimento ad un unico evento generatore di danno.
Alcuni si chiedono perché si debba distinguere tra responsabilità extracontrattuale e contrattuale, facendo notare come alcuni ordinamenti stranieri godono di una disciplina giuridica comune.
Tornando al nostro ordinamento, la scelta tra i modelli di cui agli artt. 1218 c.c. e 2043 c.c. assume importanza sotto diversi aspetti, tra cui l’onere della prova e il regime della prescrizione.
Per quanto riguarda il primo, occorre dire che sino alla sentenza 500/1999 della Corte di Cassazione la colpa della P.A. veniva considerata in re ipsa per mera illegittimità dell’atto adottato, con grandi vantaggi di ordine processuale per il privato danneggiato che avanzasse pretese risarcitorie.
Successivamente si è registrato un mutamento di tale impostazione, anche se, in concreto, le sentenze che hanno escluso la colpa in capo alla P.A. sono pochissime.
Si osserva, inoltre, che il nuovo art. 35 della L. 205/2000 incide solo sul quantum del profilo risarcitorio e non sull’an: ciò sembrerebbe in parte spiegare questa sostanziale continuità nella soluzione del problema accennato.
Quanto al termine prescrizionale, il problema si stempera alla luce della regola della pregiudiziale amministrativa: nella prassi il modello del ricorso prevede sempre, oltre che la richiesta dell’annullamento dell’atto, quella del risarcimento del danno, per cui dal punto di vista pratico diventa meno importante sapere se il termine è quinquennale o decennale.
Qual è il dies a quo ai fini della decorrenza del termine prescrizionale? Si dice che il termine dovrebbe decorrere dal momento dell’annullamento dell’atto, ma si possono esprimere perplessità a riguardo.
Comunque, se si opta per il modello aquiliano il termine di decorrenza della prescrizione è chiaramente quinquennale.
Tornando ai possibili modelli di responsabilità prospettati e al risarcimento in forma specifica, il risarcimento del danno appalesa una funzione complementare e sussidiaria rispetto alla tutela caducatoria dell’atto. Infatti, attribuisce benefici non ricavabili dall’annullamento dell’atto. Ciò in linea con un’idea di completamento di tutela non sempre riconducibile, però, al modello risarcitorio.
Alla tesi della responsabilità sui generis della P.A. accede la configurazione della responsabilità in capo alla P.A. in termini indennitari. Non si ha illecito, ma occorre solo ripristinare solo lo status quo ante leso, senza richiesta della prova della colpa. Peraltro, il quantum da risarcire è inferiore a quello risarcitorio. Questo modello risarcitorio non convince del tutto e deve essere considerato recessivo.
La tesi della responsabilità contrattuale sembra meno appropriata rispetto al modello aquiliano, fatti salvi i casi di attività vincolata (se si ritiene che ad attività di questo genere corrispondano sempre diritti soggettivi da parte dei privati e quindi l’esistenza di obblighi giuridici). Poiché non è sempre così, non potrà costantemente riscontrarsi lesione di obblighi in gradi di fondare l’azione ex art. 1218 c.c.

Intervento della Prof.ssa Gabriella Racca – Professore Associato presso l’Università degli Studi di Torino

L’indagine deve incentrarsi sull’oggetto del giudizio di responsabilità nel processo amministrativo. Quello relativo all’illegittimità dei provvedimenti amministrativi è diverso dall’oggetto di responsabilità per comportamenti illeciti. Il primo investe l’atto e si avvale degli strumenti dei chiarimenti, documenti e verificazioni, mentre il secondo investe tutto il comportamento della P.A. e si avvale delle prove previste dal codice di rito. Può anche verificarsi il caso di responsabilità della P.A. derivante da atto legittimo, in quanto la legittimità dell’atto differisce dall’illiceità del comportamento complessivamente inteso della P.A.
La sentenza del Consiglio di Stato 1457/2003 distingue nettamente queste due ipotesi.
Il caso riguardava l’annullamento d’ufficio di un contratto d’appalto di lavori pubblici per mancanza di copertura finanziaria dello stesso. Benché l’atto di autotutela fosse considerato di per sé legittimo, la P.A. procedente veniva condannata per l’eccessivo lasso di tempo trascorso (vanificante le possibilità di inficiare la procedura negoziale) e per l’avere, nelle more, lasciato il privato in sospeso e all’oscuro della procedura di autotutela volta alla caducazione del contratto.
Il recesso della P.A. è possibile ma deve essere lecito: chiaramente, sino all’approvazione  il privato non può vantare una pretesa al contratto, ma si richiede alla P.A. un comportamento improntato a buona fede.   
Qual è il rapporto tra giudizio di responsabilità e giudizio di legittimità nei confronti della condotta della P.A.? Si potrebbe ipotizzare una riunione degli stessi: ciò indurrebbe il giudice amministrativoad utilizzare i fatti del giudizio di responsabilità nel giudizio di legittimità e ad ampliare i vizi di legittimità, potenziando la figura dell’eccesso di potere e ampliando le relative figure sintomatiche. Allo stato attuale, però, il giudice amministrativo opera una distinzione netta tra i due giudizi.
Per quanto concerne il modello risarcitorio cui ricondurre la responsabilità della P.A., l’attività di quest’ultima consiste prevalentemente nella stipulazione di contratti e nella erogazione di prestazioni e servizi.
A rigor di logica la responsabilità dovrebbe essere di tipo precontrattuale, anche se la natura pubblicistica di una delle parti in gioco comporta delle peculiarità.
L’art. 97 della Costituzione attribuisce rilevanza non tanto agli atti giuridici ma agli obblighi di protezione. L’art. 28, invece, mette in luce la generale responsabilità dei pubblici funzionari. Queste due norme fondano la responsabilità della P.A. per violazione dei doveri di correttezza e la caratterizzano quale responsabilità da violazione di obblighi. La responsabilità precontrattuale non è sui generis, ma va ricondotta al modello dell’inadempimento contrattuale che fonda un giudizio ex art. 1218 c.c.
Assai criticabile è quella giurisprudenza che ha coniato il cosiddetto errore scusabile della P.A.: così si restringe l’ambito operativo del rispetto dei doveri di correttezza e degli obblighi in capo alla P.A.
Se si accoglie tale modello risarcitorio, il privato godrà di agevolazione sotto il profilo dell’onere della prova.
La P.A. dovrà provare che l’inadempimento non è imputabile alla propria sfera giuridica, mentre il privato dovrà provare il titolo e il fatto storico dell’inadempimento, oltre che l’ammontare dei danni risarcibili, secondo le regole ordinarie.
Siffatte conseguenze sono in sintonia con il criterio di ‘vicinitas ‘ della prova, criterio probatorio usato talvolta in giurisprudenza, secondo il quale l’onere della prova deve gravare sulla parte più in grado di provare un determinato fatto (ad esempio perché a conoscenza dei processi produttivi o meccanismi procedimentali).
Appare pertanto fondato l’assunto secondo cui l’onere della prova dell’inadempimento debba gravare sulla P.A.

Intervento del Prof. Diego Vaiano – Professore Straordinario presso l’Università della Tuscia – Viterbo

L’argomento in esame (natura della responsabilità della P.A.) espone gli interpreti al rischio poc’anzi richiamato, la cosiddetta ‘interversione metodologica’, laddove occorre invece rifarsi al dato testuale della legge.
Su chi incombe l’onere della prova? L’art. 2697 c.c. non lascia dubbi a riguardo.
Esso spetta all’attore; questa risposta è confortata dalla circostanza che il processo amministrativo di parti si basa sul principio dispositivo con metodo acquisitivo, nonché su una giurisdizione di tipo soggettivo.
L’art. 35, terzo comma, del d.lgs. 80/1998 estende i mezzi di prova del codice di rito alla giurisdizione esclusiva, ma non a quella di legittimità.
Questa distinzione potrebbe dare adito a dubbi di legittimità costituzionale, pur non registrandosi, sul punto, voci specifiche in dottrina e in giurisprudenza. Nella pratica si deve però segnalare il fatto che il giudice amministrativo non fa un utilizzo smodato di tali strumenti di prova, essendo abituato, tradizionalmente, ad un processo di tipo cartolare volto all’accertamento dei vizi dell’atto.
Il modello risarcitorio apparentemente più consono a descrivere il fenomeno giuridico della responsabilità della P.A. è quello di natura contrattuale, dal momento che tra P.A. e privato esiste una relazione giuridica soggettiva rilevante (ad esempio nel caso della richiesta dell’adozione di un provvedimento e della conseguente partecipazione procedimentale). Si ritiene che il privato non debba provare l’elemento soggettivo della P.A. ai fini dell’azione risarcitoria, a prescindere dal modello individuato e applicato dall’interprete.

Intervento del Prof. Alberto Zito – Professore straordinario presso l’Università degli Studi di Teramo

Una constatazione pacifica in materia di responsabilità della P.A. attiene all’esistenza di due orientamenti, uno pubblicistico e uno privatistico.
Quest’ultimo si biforca tra i sostenitori dell’art. 2043 c.c., in tema di responsabilità aquiliana, e quelli della responsabilità di natura contrattuale.
L’orientamento pubblicistico è proprio della giurisprudenza ed inquadra la responsabilità nel corretto esercizio del potere: il giudizio di responsabilità è logica prosecuzione dell’annullamento dell’atto illegittimo.
Prevale, peraltro, l’orientamento privatistico, anche se entrambi i filoni che lo compongono presentano delle forzature. Il modello extracontrattuale potrebbe essere criticato per la mancanza, a monte, di una vera e propria situazione giuridica soggettiva da tutelare facente capo al privato.
Se si sostiene, invece, la natura contrattuale della responsabilità della P.A., ci si confronta con la mancanza della prestazione oggetto dell’obbligazione nel caso di esercizio del potere discrezionale.
La dottrina coglie tali forzature e cerca di porvi rimedio.
Nel caso del modello aquiliano si può obiettare che spetta al procedimento, luogo di emersione di interessi, individuare quello prevalente all’esito della relativa ponderazione e valutazione (se l’interesse della P.A. o del privato).
D’altro canto, le critiche alla tesi della natura contrattuale possono essere facilmente superate considerando l’esistenza di obbligazioni di mezzi prescindenti da qualunque risultato dell’azione discrezionale della P.A. procedente.
Entrambe le tesi, improntate sugli artt. 1218 o 2043 c.c., attribuiscono rilevanza all’elemento soggettivo, e la Cassazione nella sentenza 500/1999 fa riferimento all’apparato dell’amministrazione, rendendone nebuloso il concetto.
Secondo altra opinione l’indagine sulla colpa della P.A. sarebbe imprescindibile, ma la colpa andrebbe ravvisata nella illegittimità dell’atto o comportamento della P.A.
Si ritiene di aderire a quella dottrina che sostiene l’irrilevanza dell’elemento soggettivo nella responsabilità della P.A., sulla base di tre argomentazioni:
1) occorre evitare la cosiddetta risoggettivizzazione della funzione amministrativa;
2) non si possono differenziare i casi di attività illegittima dei pubblici poteri a seconda dell’esistenza della colpa o meno in capo all’organo procedente ai fini dell’azione risarcitoria: ciò comporterebbe delle disparità di trattamento;
3) per quanto attiene alle ragioni di diritto positivo, nella Costituzione non vi è norma alcuna che attribuisca rilevanza all’elemento soggettivo ai fini della responsabilità della P.A.; l’art. 97 menziona la competenza degli organi, e l’art. 113 l’atto amministrativo. Queste norme attribuiscono rilevanza al momento iniziale e al momento finale dell’azione amministrativa e rafforzano l’assunto secondo cui l’attività giurisdizionale e l’attività amministrativa rilevano sul piano puramente oggettivo.
Da queste considerazioni si evince che la tutela del privato non può incontrare limiti nell’elemento soggettivo, anche se vanno individuati dei contenimenti alle ipotesi di responsabilità dei pubblici poteri.
Questo argine è dato proprio dalla pregiudiziale amministrativa, aggiungere il tassello ulteriore dell’elemento soggettivo sarebbe eccessivo.

Conclusioni del Prof. Riccardo Villata – Professore Ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano

Il tema è sicuramente caratterizzato dalla più volte richiamata ‘interversione metodologica’: per appurare la disciplina giuridica applicabile alla responsabilità della P.A. per danni da attività provvedimentale occorre chiarire, preliminarmente, la natura giuridica della suddetta responsabilità.
Il modello più confacente è quello aquiliano dell’art. 2043 c.c., sebbene meritino attenzione quelle posizioni dottrinali secondo cui il fondamento della responsabilità in esame è da individuarsi nel rispetto dei doveri di correttezza da parte dei pubblici poteri. Ciò è vero in certi ambiti, ma costruire un modello generale di responsabilità che faccia riferimento alla violazione di obblighi dà adito a molti dubbi. Non si condivide la teorica delle obbligazioni senza prestazioni, vera e propria contraddizione in termini, al fine di accogliere la tesi che inquadra la responsabilità della P.A. nell’ambito di quella precontrattuale ex art. 1337 c.c. (cui si riconosce, secondo autorevole dottrina, natura contrattuale).
Infine si sostiene l’irrilevanza della distinzione tra interessi legittimi pretesivi ed oppositivi ai fini della ricostruzione del modello di responsabilità civile della P.A. (da considerarsi, come testé precisato, di natura extracontrattuale).

Seconda Giornata

Intervento del Prof. Vincenzo Cerulli Irelli – Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi ‘La Sapienza’ – Roma

La trattazione del tema richiede due premesse:

1. l’azione risarcitoria costruita dalla L. 205/2000 è posta a tutela degli interessi legittimi. Abbracciando una concezione opposta a quella propugnata dalla Cassazione con la sentenza 500/1999, si è inteso dare pienezza attuativa all’art. 24 della Costituzione.
2. La nuova disciplina, se si escludono le ipotesi di nuova previsione della giurisdizione esclusiva, non ha inciso sul preesistente assetto del riparto giurisdizionale, nel senso che la tutela risarcitoria dei diritti soggettivi continua a rimanere in capo al giudice ordinario.
Venendo alla trattazione della pregiudiziale amministrativa, si ritiene che è scelta di diritto positivo attribuire o meno carattere autonomo all’azione di risarcimento rispetto a quella di annullamento del provvedimento illegittimo. Infatti se si pone mente alla recente riforma del diritto societario, qui si presenta un altro caso di coesistenza dell’utilizzo cumulativo o alternativo delle due azioni (annullamento e risarcimento).
Nell’ambito del diritto amministrativo, a differenza del caso del diritto societario, risultano penalizzanti le lacune di diritto positivo, che costringono gli operatori giuridici ad acrobazie interpretative. Tutte le posizioni sono, dunque, accettabili. In ordine agli interessi oppositivi, non c’è molto da dire. La scelta dell’ordinamento positivo sembrerebbe consolidata: laddove c’è un provvedimento amministrativo che produce effetti in una sfera giuridica soggettiva, la demolizione dello stesso è presupposto imprescindibile per l’esperimento dell’azione risarcitoria (Consiglio di Stato e Cassazione concordano in tal senso). Si è affermato più volte che il giudice ordinario può conoscere  principaliter (e non incidenter) dell’atto amministrativo soltanto nei limitatissimi casi in cui il sistema del riparto glielo consenta.
Qual è il giudice competente per il risarcimento del danno?. Nelle materie di giurisdizione esclusiva sicuramente il giudice amministrativo, mentre in tutti gli altri casi resta però fermo l’assetto tradizionale. Un esempio concreto può essere validamente rappresentato dal provvedimento di chiamata alla leva militare (compressivo di diritto costituzionalmente protetto, quello alla libertà personale). Una volta intervenuto, qualora illegittimo, il suo annullamento, l’azione risarcitoria si incardina dinanzi al giudice ordinario.
Nelle materie di giurisdizione esclusiva la tutela è dimidiata (manca il 3° grado di giurisdizione). La tutela assume dunque pienezza solo allorquando si attribuisca il contenzioso in materia di risarcimento di diritti soggettivi al giudice ordinario.
Con riguardo agli interessi pretensivi, sono apprezzabili le affermazioni del Presidente del Consiglio di Stato, che ammette il carattere pienamente evolutivo della giurisprudenza in questo settore.
Si possono delineare, quale base per la riflessione, quattro fattispecie:

1. provvedimento negativo espresso. Si potrebbe ipotizzare una soluzione analoga a quella caratterizzante l’interesse legittimo oppositivo: occorre dapprima annullare l’atto illegittimo, anche se il provvedimento negativo non produce effetti, e poi adire la tutela risarcitoria;

2. inerzia (l’Amministrazione non provvede). Ci si chiede se l’azione risarcitoria presupponga il giudizio sul silenzio. Si ritiene debba darsi al quesito risposra negativa, anche se sul punto c’è una vasta giurisprudenza dei T.A.R. e del Consiglio di Stato che prospetta la soluzione opposta. In questi casi non vi sono né atti né comportamenti da censurare, si può procedere direttamente con l’azione risarcitoria, mancando il sostrato stesso dell’intervento demolitorio;

3. provvedimento emesso in ritardo. Tali provvedimenti, comunque satisfattivi, non sarebbero impugnabili, per carenza dell’interesse ad agire. L’azione risarcitoria, in questa fattispecie, riveste piena autonomia;

4. provvedimenti adottati successivamente in seguito all’accertamento da parte del giudice di un obbligo di provvedere da parte della P.A.: l’amministrazione adotta il provvedimento riconoscendo il titolo ad ottenere il bene della vita. Questo caso è simile a quello prospettato sub 3), il soggetto può esperire direttamente l’azione risarcitoria: vi è giurisprudenza favorevole.

Intervento del Dott. Fabio Cintioli
Consigliere di Stato

Il tema della responsabilità collegata alla lesione di interesse legittimo ha carattere ambivalente, sostanziandosi di un’anima privatistica (sentenza n. 500/1999) e pubblicistica (d.lgs. 80/1998). I due aspetti consentono di configurare la problematica nella sua circolare complessità. Le tipologie di responsabilità sono molteplici. In questa sede si ritiene di concentrare l’attenzione sul danno causalmente riconducibile ad un provvedimento. In relazione all’interesse pretensivo, può parlarsi di ‘tutela demolitoria conformativa’ e, con terminologia più ardita, di ‘azione di adempimento’. Le due azioni (annullamento/risarcimento del danno) sono caratterizzate da diversi petita e causae petendi. La prima è sostenuta, infatti, da un interesse legittimo. Con riferimento alla seconda, la situazione soggettiva si concreta all’esito di una fattispecie complessa e solo ove siano riconosciuti l’esistenza del danno e l’ingiustizia dello stesso. Come già affermato dal Prof. Cerulli Irelli, i rapporti tra le due azioni configurano un problema di diritto positivo.
Un riferimento normativo però può essere rinvenuto  ai fini della soluzione del problema: ci si chiede se la norma sul termine di decadenza valga o meno per l’azione risarcitoria, e la risposta potrebbe essere positiva, anche con riferimento all’interesse pretensivo. Il termine di decadenza risponderebbe all’interesse dell’Amministrazione in termini positivi e preventivi, consentendole di valutare i costi della propria responsabilità.
Si pensi al nuovo art. 2377 c.c., prima del cui avvento, la dottrina dei commercialisti già affermava che il diritto al risarcimento del danno dovesse essere fatto valere entro il termine di decadenza (la dottrina tedesca attribuiva a tale azione carattere sussidiario). La lettura integrata degli  artt. 24, 97 e 113 della Cost. consente di cogliere un contemperamento che giustifica la permanenza del termine di decadenza (si possono richiamare anche i nuovi, sottovalutati dettami costituzionali in materia di giusto processo). Del resto anche la Corte Costituzionale ha avallato l’esistenza di termini decadenziali; in considerazione delle lacune del diritto positivo, l’interpretazione costituzionalmente orientata si rivela particolarmente utile.
La cosiddetta visione ‘attizia’ del silenzio, su cui il Presedente del Consiglio di Stato si è soffermato, non ha influenzato solo gli organi giurisdizionali, ma anche lo stesso legislatore. Orbene, se si postula che il termine di decadenza valga anche per l’azione di risarcimento del danno, come si coordinano le forme di tutela? La sentenza di accertamento dell’interesse pretensivo, emessa dal g.a., si compone di due capi:
1) accoglimento della domanda;
2) ‘intimazione’ all’Amministrazione a concedere il bene della vita o, in alternativa, il risarcimento del danno.
Il coordinamento tra le due azioni rappresenta un problema aperto. Ci sono casi in cui il giudice non può affermare la spettanza del bene della vita. Un esempio concreto puo’ essere rappresentato da una procedura concorsuale, che abbia visto il ricorrente illegittimamente escluso, già eseguita per metà dalla ditta aggiudicataria. In questo caso gli interessi dell’Amministrazione e del ricorrente non convergono, in quanto la P.A. preferirebbe optare per la parziale esecuzione dell’appalto, mentre il privato per il risarcimento del danno.
I criteri e le modalità atti a dirimere le complicate e  connesse questioni nel caso che si è prospettato potrebbero ricavarsi, ed essere utilmente mutuati, o dalla disciplina civilistica in materia di eccessiva onerosità per il debitore ex art. 2058 c.c., oppure  dall’art. 1519 quater c.c.

Intervento del Prof. Marcello Clarich – Professore Ordinario di Ordinario di Diritto Amministrativo presso la L.U.I.S.S. ‘Guido Carli’ – Roma

Il processo amministrativo non gode di una disciplina esaustiva e completa, il che rende assai arduo la soluzione dei problemi che sono oggi in discussione. Occorre premettere che la l. 205/2000 è una legge di carattere processuale dalla quale non dovrebbero evincersi conseguenze di carattere sostanziale; certo, anche la legge Crispi del 1889 aveva carattere processuale ma fu poi feconda di implicazioni di carattere sostanziale, come testimonia la nozione di interesse legittimo.
La costituzione assegna ampia discrezionalità al legislatore quanto alla individuazione dei  limiti esterni alla giurisdizione del giudice ordinario; la Consulta, nel caso di sanzioni nel pubblico impiego, salva una norma che pareva irrazionale e che si discosta dal normale criterio di riparto di giurisdizione.
Lo stesso dicasi per i limiti interni: ad esempio sono conformi a costituzione quei casi in cui il Legislatore prevede che in tema di appalti l’annullamento dell’atto illegittimo dà luogo esclusivamente ad una tutela di tipo risarcitorio con  esclusione della tutela cassatoria dell’atto? Anche il codice civile offre esempi di opzioni giurisdizional-processuali positivamente e selettivamente individuate dal legislatore che limitano i poteri del giudice ordinario: si pensi all’art. 1440, in materia di dolo incidente, che affida al g.o. l’azione risarcitoria, escludendo in modo selettivo quella di annullamento.
La discrezionalità del legislatore potrebbe investire anche la sfera dei rapporti tra privato e P.A. o deve permanere in questo ambito la classica ottica dell’interpretazione costituzionalmente orientata?
E’ pronosticabile una progressiva ‘laicizzazione’ dei predetti rapporti, cui potrebbe conseguire un rilevante ampliamento dello spettro d’azione del legislatore.
Qualche notazione va fatta in merito alla categoria dell’interesse legittimo, arricchitasi nel tempo di nuovi contenuti positivi, nonché di diverse sfumature e connotazioni.
Si potrebbe ironicamente osservare che, negli attuali assetti processuali, la nozione di interesse ‘occasionalmente protetto’si è capovolta, attagliandosi, piuttosto che all’interesse privato, oggetto di stabile e pregnante protezione, a quello pubblico.
L’utilità risarcitoria, configura una nuova modalità espressiva dell’interesse legittimo, che potrebbe assumere, de jure condendo, carattere autonomo.
Comunque, merita puntuale ripensamento la distinzione tra attività discrezionale e vincolata (che si agganciano, rsipettivamente, al diritto soggettivo e all’interesse legittimo quali corrispondenti situazioni giuridiche soggettive).
Differenze sostanziali si rilevano, poi, nelle modalità di concretizzazione dell’interesse legittimo in capo al privato: una cosa è, infatti, la spettanza de jure del bene della vita, altra l’illegittimità dell’atto che neghi il fondamento di tale spettanza.

Intervento del Prof. Lepoldo Mazzarolli – Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di Padova

Occorre partire dal dato testuale per risolvere i problemi oggetto del presente convegno. L’azione risarcitoria vede la sua disciplina generale nell’art. 35 comma 4 del D. lgs. 80/98, così come ridisegnato dalla L. 205/2000. Il T.A.R., a tenore di detta norma, conosce di tutte le questioni inerenti al risarcimento del danno e anche di tutte le altre eventuali pretese risarcitorie. Si evincerebbe da una lettura sistematica e integrata della legge in argomento, e in particolare da detta norma, che tutte le azioni risarcitorie, ivi comprese quelle di carattere consequenziale all’annullamento dell’atto, rientrano nell’alveo della giurisdizione amministrativa.
Dunque il g.a. conosce di tutte le controversie successive all’annullamento dell’atto, lato sensu intese: si verifica un trapasso di giurisdizione dal giudice ordinario a quello amministrativo quanto ai diritti patrimoniali conseguenziali. Il quinto comma dell’art. 35 in esame completa tale disegno, escludendo in capo al G.O. il risarcimento del danno conseguente all’annullamento dell’atto; questa norma toglie al G.O. ciò che il quarto comma attribuisce al G.A., non si tratta di un inutile doppione. Questa considerazione dovrebbe avallare la tesi che afferma l’esistenza della pregiudiziale amministrativa ai fini del risarcimento del danno.
Se si passa alla trattazione del problema degli interessi legittimi, ci si chiede se sia rilevante distinguere tra interessi pretesivi  e oppositivi. Questi ultimi trovano tutela con le sentenze costitutive di tipo demolitorio e caducatorio dell’atto, ma ciò si verifica pure con riferimento agli interessi legittimi pretesivi? In questi casi sembra che al cittadino debba spettare la possibilità di esperire l’azione di adempimento, concretandosi la tutela della sua posizione sostanziale nell’effetto conformativo della sentenza. Risulta infatti problematico garantirne un’efficace tutela mediante l’adozione di atti costitutivi.
Si conclude sottolineando il fatto che si deve distinguere l’azione di adempimento dal risarcimento in forma specifica: l’azione risarcitoria è un elemento aggiuntivo rispetto all’azione di adempimento, e colma spazi che l’azione di adempimento non può riempire. La confusione viene cagionata dal termine improprio di ‘reintegrazione in forma specifica’ menzionato nell’art. 35, comma quarto, del d.lgs. 80/1998.

Intervento del Prof. Antonio Romano Tassone – Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università della Calabria

La lettura della L. 205/2000 proposta dal Prof. Mazzarolli, peraltro magistrale, attribuisce carattere generale e onnicomprensivo ad una disciplina applicabile, in realtà, ad un ristretto arco di fattispecie.
L’ampia discrezionalità del legislatore, cui si riferisce il Prof. Clarich, apre delle prospettive interessanti, ma allo stato un po’ inconciliabili con un certo retroterra di valori caratterizzante il nostro ordinamento. La pregiudizialità dell’esito positivo dell’azione amministrativa rispetto alla possibilità di esperimento dell’azione risarcitoria si inserisce, comunque, in un contesto orientato verso la ‘dequotazione’ della giurisdizione amministrativa a favore di quella ordinaria.
La pregiudizialità amministrativa è fondamentalmente sorretta dal principio di certezza dell’amministrazione.
Può nascere, inoltre, dalla natura stessa dell’interesse legittimo, che dovrebbe intendersi, secondo questa chiave di lettura, nella sua accezione tradizionale. Gli interessi legittimi ‘classicamente’ intesi sono, però, in fase recessiva (il risarcimento si ricollega, sempre più spesso, alla lesione di diritti soggettivi e si origina, nella maggior parte dei casi, dalla situazione riassumibile col brocardo factum infectum fieri nequit). La prospettiva offerta dalla Cassazione in alcune recenti pronunce, favorevole ad una lettura in termini autoritari e retrivi del rapporto tra P.A. e amministrati non è, secondo il relatore, attenta alle istanze innovative evidenziate.

Intervento del Prof. Filippo Satta – Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi ‘La Sapienza’ – Roma

Le analisi fin qui condotte si incentrano sui rapporti tra azione di annullamento e di risarcimento del danno, con riflessioni talvolta specificamente mirate all’una o all’altra. Il discorso deve essere invece ricondotto a unità nel segno del principio di effettività della tutela giurisdizionale. Fino alla sentenza 500/1999, la tutela giurisdizionale è stata infatti dimidiata, risultandone elusa non solo la Costituzione (art. 24) ma anche l’ordinamento comunitario e i suoi principi informatori.
La disquisizione circa l’autonomia o meno delle predette azioni colloca in secondo piano la priorità assoluta: la garanzia, cioè, dell’integrità della tutela. Il relatore ripropone l’esempio del dott. Cintioli (annullamento dell’aggiudicazione): quest’ultima travolge il vincolo stesso in base al quale il contratto può concludersi. Quale la sorte dell’interesse pubblico? La tutela di quest’ultimo è affidata ad un apparato normativo spesso raffinato (si pensi alla possibilità di stipulare contratti a trattativa privata per motivi di necessità e urgenza, pur con i vincoli imposti dalla L. Finanziaria 2003). All’interesse opposto dovrebbero invece presiedere il succitato principio di effettività della tutela, nonché i principi di professionalità, proporzionalità e adeguatezza, alcuni dei quali di derivazione tedesca prima ancora che di matrice comunitaria.

Conclusione del Prof. Alberto Romano – Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi ‘La Sapienza’ – Roma

E’indubitabile che un vento di riforma abbia investito molti ambiti dell’attività amministrativa, con rilevanti spinte innovatrici. Un esempio per tutti: la materia dei servizi pubblici, dapprima improntata alla concezione del soggetto pubblico come miglior gestore possibile, ora tesa alla valorizzazione di nuovi attori e moduli gestionali. Con riguardo al tema ispiratore del convegno, due sono i nodi da sciogliere:

1) l’azione per il risarcimento discende da responsabilità contrattuale o extra contrattuale?
2) La pregiudizialità deve essere imprescindibilmente osservata?

I problemi sono aperti a causa degli scarni dati normativi di cui l’operatore dispone.
L’ultimo comma dell’art. 35 L. 205/2000 sembrerebbe limitare le possibilità di risarcimento ai soli casi di preventivo annullamento dell’atto illegittimo.
Peraltro, la sistemazione e integrazione sostanziali della materia spettano al legislatore e non al giudice. E’ vero, come opportunamente osservato, che la tutela dell’individuo precede, talvolta pregiudicandola, quella della collettività.
La pregiudizialità, comunque, non può ancora essere elusa.
Da ultimo, riagganciandosi alle notazioni del Prof. Cerulli Irelli in materia di silenzio dell’Amministrazione, si ritiene di smentire la natura problematica di quest’ultimo. Il sindacato del g.a. in merito a ciò che l’Amministrazione non ha fatto – e avrebbe dovuto fare – rientra infatti nel controllo della funzione.


Giacomo Rota