Rappresentanza e rappresentatività nel mondo del lavoro – Resoconto convegno

21.02.2003

Rappresentanza e rappresentatività nel mondo del lavoro

Roma, 13 febbraio 2003

Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’

Facoltà di Scienze Politiche

Seminario in occasione della premiazione dei vincitori
del concorso bandito dall’ARAN in memoria
del Prof. Massimo D’Antona.


a cura di Daniela Bolognino


Saluto e presentazione del seminario: Prof. Fulco Lanchester (Preside della Facoltà di Scienze     Politiche).
Relazione: Avv. Guido Fantoni (Presidente dell’ARAN), ‘L’esperienza  della normativa sulla rappresentanza e rappresentatività nel Pubblico Impiego’.
Tavola rotonda: Prof. Francesco Liso, Prof. Edoardo Ghera, Prof. Arturo Maresca, Prof. Mattia Persiani, Prof. Umberto Romagnoli, Prof. Tiziano Treu.

La  giornata è stata dedicata al ricordo del Prof. Massimo D’Antona, insigne giurista del lavoro, ucciso in circostanze tragiche. Faceva parte di quella schiera di riformisti saggi, i quali sono consapevoli che la riforma porta ad aspri conflitti ed a volte si conclude con scelte di compromesso. Aveva già capito che il diritto del lavoro aveva bisogno di una legittimazione sostanziale, piuttosto che di una legittimità formale.
Quando ci si chiede dove vada il diritto del lavoro oggi, non si può che constatare che la tradizione logico-acquisitiva si è convertita in quella del male minore e che la teoria del contenimento si è sostituita a quella della conquista. Queste linee di tendenza erano già affiorate anni addietro, ma oggi si è fatta più viva la percezione della loro potenza distruttiva (Romagnoli).

In un momento in cui il ricordo del Prof. D’Antona si fa ancora più vivo, in quanto calcano attualmente la scena i temi che lo hanno visto presente, sia nella vita che in cattedra (Lanchester), la scelta del tema non poteva che essere: ‘Rappresentanza e rappresentatività nel mondo del lavoro’,  sia per la sua grandissima rilevanza, che per l’apporto che il Prof. D’Antona ci ha lasciato (Fantoni).

I punti messi a fuoco durante la giornata sono stati:

– l’analisi del significato dei termini rappresentanza e rappresentatività;
– l’inattuazione dell’art. 39 cost;
– i vari ambiti in cui emerge il concetto di rappresentatività. In particolare la rappresentatività sindacale nell’ambito della concertazione;
– i problemi derivanti dalla rottura dell’unità sindacale;
– l’attività svolta dall’ARAN per favorire una rappresentanza effettiva;
– la possibilità di trasporre i criteri utilizzati per misurare la rappresentatività sindacale nel pubblico impiego,  nel settore privato.

Nel quadro del sistema sindacale ‘rappresentanza e rappresentatività’ assumono un preciso significato: rappresentanza quale meccanismo di imputazione; rappresentatività quale selezione di soggetti legittimati. Quest’ultima  è il frutto dello sviluppo del sistema di relazioni sindacali e si lega all’art. 39, comma 1, della Costituzione (Liso).
Con riferimento alla parola rappresentanza, questa attiene sia alla rappresentazione delle cose da parte del singolo, che alla conoscenza scientifica ed artistica.
Sul piano costituzionale, rappresentanza e rappresentazione sono  di tre tipi: uno giuridico (ci si riferisce alla disciplina del mandato); uno sociologico (ci si riferisce alla somiglianza esistenziale); uno politico (ci si riferisce al rapporto di fiducia  e di responsabilità politica).
Durante il periodo fascista la rappresentanza istituzionale fu il mezzo per giustificare l’eliminazione del metodo elettivo (Lanchester).
Con riferimento all’art. 39 della Costituzione si è acceso il dibattito fra i sostenitori dell’inattuazione  dell’articolo in questione e chi ha ritenuto, invece, che l’articolo abbia avuto attuazione.

Il Prof. Romagnoli è stato sostenitore della tesi per cui vi è stata un’attuazione dell’art. 39 cost.. I sindacati hanno sempre riconosciuto, quando si è rotta l’unità sindacale, il valore della connotazione volontaristico-associativa del sindacato; sono consapevoli che gli interessi, di cui sono portatori,  non sono mai stati solo interessi privati. Senza la libertà dei privati non si fanno conquiste sociali, ma la libertà dei privati non basta a difenderle (Romagnoli).
L’orientamento prevalente è stato però verso  l’inattuazione  dell’art. 39 cost.
In un primo momento, questa inattuazione è stata una scelta felice, perché ha favorito l’esprimersi di dinamiche positive per le relazioni sindacali. Il criterio della maggiore rappresentatività serviva a stemperare l’autoritatività delle confederazioni storicamente formatesi. Ma questo equilibrio ha cominciato ad alterarsi, entrando in crisi, quando è venuta meno l’unità sindacale e ci si è dunque posti il problema dell’efficacia soggettiva dei contratti (Liso).

Tornando alla nozione di rappresentatività, questa è una nozione  che si riferisce alla capacità delle rappresentanze sindacali di realizzare i propri obiettivi di tutela. È una nozione propria dell’autonomia collettiva.
La nozione di rappresentatività cambia a seconda degli ambiti considerati, quali:
– la titolarità ed esercizio delle libertà sindacali;
– la contrattazione collettiva (dove si presenta un problema di scelta dell’interlocutore);
– l’area della concertazione (dove la rappresentatività raggiunge il suo apice);
– l’esercizio del diritto di sciopero (dove l’individuazione delle organizzazioni maggiormente rappresentative è necessaria, non per individuare i titolari del diritto di sciopero, ma per regolare il conflitto) (Ghera).

Con specifico riferimento al problema della rappresentatività, in merito alla tematica della concertazione, si è ricordato che la Costituzione non prevede la concertazione (Persiani) (di opposta convinzione Romagnoli). La concertazione ha lo scopo di ottenere un consenso delle parti sociali nella politica economica scelta dal Governo, altrimenti tale politica sarebbe priva  di effettività.
In questo contesto il problema posto da rappresentanza e rappresentatività si presenta in termini diversi. La rappresentatività non è innestata nell’art. 39, comma 1, della Cost., ma è una soluzione politica di un problema tecnico. Il concetto di rappresentatività esprime una presunzione di rappresentanza, filtro per selezionare l’accesso alla contrattazione.
Dunque riferire il concetto di rappresentatività come filtro nella concertazione non ha senso. L’effettività della concertazione è garantita se i soggetti hanno una rappresentanza effettiva. Quindi, in questo ambito, rappresentanza e rappresentatività coincidono. Infatti l’Accordo del 3 luglio del 1993, è un accordo con applicazione effettiva, perché vi è stato il consenso di tutte le organizzazioni sindacali, e tale consenso è stato fermo. Non può certo dirsi la stessa cosa per il Patto per l’Italia, dove vi è stata una profonda scollatura sindacale (non è stato firmato dalla CGIL), questo patto è dunque privo di effettività.
Questa legittimazione delle forze sindacali, non è solo un fenomeno sociale, ma vi è anche una legittimazione avuta dalla Corte Costituzionale.  Si ricorda la sentenza n. 290/74 che ha legittimato lo sciopero politico. ‘Lo sciopero politico, che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale, ha il fine di tutelare gli interessi dei lavoratori, interessi che possono essere soddisfatti solo attraverso atti del Governo. Lo sciopero è il mezzo idoneo a perseguire questi fini e permette la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione giuridica ed economica del Paese'(Persiani).

Sulla base di tali premesse si pone il problema di stabilire se di ‘concertazione’ possa parlarsi solo quando vi sia la partecipazione di tutte la confederazioni sindacali  e, nel caso che ne manchi una,  sarebbe meglio utilizzare la dizione ‘dialogo sociale’.
La concertazione garantisce l’effettività,  cosa che non è garantita nel dialogo sociale.  Certo, tutte le forme di consultazione hanno la funzione di fornire al Governo elementi utili per la determinazione della sua politica sociale, ma il dialogo potrebbe non garantire l’effettività.
La concertazione sta fuori dal sistema costituzionale e rappresenta l’unanime consenso sindacale per garantire il consenso della Piazza.
Al contrario, il contratto collettivo si colloca nel sistema della Costituzione formale (art. 39 cost.). Proprio per tale collocazione, la sua effettività non dipende dalla stipulazione ad opera di tutte le organizzazioni sindacali. È irrilevante che una di esse abbia deciso di non firmarlo; il contratto collettivo è un vero e proprio contratto, ed è valido ed efficace, purché sia stato legittimamente stipulato, il che deriva dal fatto che tutti i sindacati siano stati in grado di svolgere  la proprie funzioni sindacali. Non conta dunque che vi sia la firma di tutti, non vige il principio unanimistico.  Sicché l’unanimità  è una condizione  di effettività solo nella concertazione, non nella contrattazione collettiva (Persiani).

Dissente da questa posizione il Prof. Romagnoli, che ritiene che la concertazione sia un metodo di formazione della volontà complementare rispetto allo sciopero politico.
Lo sciopero politico non è che una forma di partecipazione conflittuale. 
Se la concertazione ha preso il posto del conflitto, essa ne è il sostituto funzionale e dunque  si colloca all’interno della Costituzione (Romagnoli).
La concertazione non si pone in rapporto con la debolezza dei Governi, ma è un sintomo della malattia che ha colpito le democrazie rappresentative (che lo sono troppo poco). Ha però il pregio  di essere un correttivo e benché non sia riuscita  a curare la democrazia rappresentativa, ha favorito, in un clima di pace sociale, una evoluzione normativa, in cui se il diritto del lavoro di oggi non è quello che sarà domani, non è certo quello che era ieri (Romagnoli).

La concertazione – per il Prof. Treu – non rappresenta una debolezza del Governo, ma una degenerazione  del sistema di contrattazione. Tutti i Paesi europei hanno adottato una forma di concertazione: non a caso è il centro del modello democratico. Comunque si voglia intendere la concertazione, questa è una intesa tra Parti Sociali e Governo (Treu).
Si ricorda che nel 1998 si era fatta una minuziosa procedimentalizzazione della concertazione. Ma ora si presentano una serie di problemi a causa degli usi ed abusi della delega, che ha peggiorato la situazione (Treu).

Nelle relazioni sindacali ci sono stati due momenti che hanno provocato una alterazione del sistema:
– il venir meno della contrattazione acquisitiva;
– la frantumazione dell’unità sindacale (Maresca). (Particolarmente preoccupato dell’evolvere degli eventi il Prof. Treu, che ritiene che oggi ci troviamo nel momento di maggiore crisi dagli anni 50).

Con riferimento al primo punto, gli Attori della contrattazione sono riusciti  ad inglobare la contrattazione acquisitiva nella pratica della contrattazione sindacale. Il secondo punto è invece un fattore di forte destabilizzazione. Oggi la gestione delle situazioni di crisi vede i sindacati divisi (forse l’unica cosa che unisce è il no di fronte alle modifiche dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori). Gli effetti e le conseguenze di un contratto collettivo separato sarebbero molteplici e disastrosi; cambierebbero le regole, non tanto per quanto riguarda l’efficacia soggettiva, quanto per ciò che attiene alla parte obbligatoria del contratto,  con ripercussione, inoltre, sul secondo livello di contrattazione, cui potrebbero partecipare solo coloro che hanno sottoscritto i contratti collettivi nazionali (Maresca).

Nell’analizzare il sistema delineato dal legislatore, al fine di individuare la rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva nel Pubblico Impiego, si è rilevato che prendere in  considerazione il dato associativo ed il dato elettorale, ha permesso un accertamento dinamico ed ha dato una legittimazione ad organismi sindacali, che nel settore pubblico avevano provato sul campo la loro rappresentatività.
In questo quadro l’ARAN ha garantito che le aggregazioni sindacali, costituite per il superamento della soglia, non fossero fittizie. I controlli hanno evitato la frammentazione sostanziale successiva. Dunque, in un sistema caratterizzato dalla frammentazione sindacale, vi è oggi una reale selezione dei sindacati effettivamente dotati di rappresentatività. Ciò non significa che vi sia maggiore unità sindacale, ma solo che si evita l’affermarsi di logiche del tutto autoreferenziate, senza alcun legame con le esigenze dei lavoratori (Fantoni).

L’esperienza del settore pubblico è molto importante e non dovrebbe rimanere isolata, sicché ci si è chiesti se i criteri utilizzati per misurare la rappresentatività sindacale nel Pubblico Impiego, possano trasporsi nel settore privato.
Certo vi sono, tra settore pubblico e privato, delle differenze: nel settore pubblico vi è una istituzionalizzazione generalizzata delle rappresentanze sindacali, mentre il settore privato è caratterizzato dalla diffusione di piccole imprese. Vi sono inoltre comprovate resistenze da parte dei datori di lavoro e dei sindacati, oltre che risulta più difficile prevedere delle RSU comuni a più imprese, che potrebbero essere, oltre che differenti, anche in competizione (Fantoni).
La selezione degli accessi  potrebbe essere utile e necessaria anche nel settore privato, anzi si dovrebbe alzare la soglia (Treu). (Occorrerebbe selezionare anche nella concertazione e si fa riferimento non solo alla organizzazioni sindacali dei lavoratori, ma anche alle organizzazioni datoriali) (Treu).

Sul piano opposto vi è chi ritiene l’inapplicabilità della normativa utilizzata nel pubblico impiego, nel settore privato. Perché:
* l’obbligo a contrattare, proprio del Pubblico Impiego, collide con la libertà d’iniziativa  economica dei privati (Ghera);
* la disciplina del Pubblico Impiego pone un duplice sbarramento: l’uno riguarda la selezione dei sindacati ammessi alla contrattazione, l’altro il perfezionamento del contratto solo ove vi sia il 51% delle organizzazioni sindacali che firmino. Questo sistema porta il contratto collettivo distante dalla matrice di autonomia contrattuale che lo ha sempre caratterizzato;
* la rilettura dei principi fatta dalla Corte Costituzionale tende a rassicurare la libertà sindacale e  l’autonomia collettiva;
* l’individuazione di una soglia di rappresentatività potrebbe porre un limite all’esercizio del diritto di sciopero, che verrebbe incapsulato, senza accreditare quel sindacato al tavolo delle trattative (Maresca) (Sul punto non la pensa così il Prof. Treu, il quale non ritiene che l’affermazione della mancanza di una percentuale di rappresentatività possa tradursi nella mancanza del diritto di sciopero, come oggi inteso dal quadro costituzionale).


Daniela Bolognino