Secondo memorandum italiano sulla riforma della politica regionale di coesione comunitaria 2007-2013

27.01.2003

Il primo Memorandum dell?Italia sulla riforma della politica regionale di coesione comunitaria 2007-2013 è stato trasmesso alla Commissione europea il 22 giugno 2001. Questo secondo contributo ne approfondisce il contenuto sulla base di un confronto che, secondo il metodo europeo del partenariato, ha avuto luogo da allora fra Stato, Regioni, Enti locali e parti economiche e sociali. Viene così data attuazione all?impegno assunto dal Governo nella Dichiarazione presentata in occasione dell?emendamento governativo sul Titolo III, Capo V del disegno di legge finanziaria 2003.

Secondo memorandum italiano sulla riforma della politica regionale di coesione comunitaria 2007-2013

I.  Gli undici obiettivi della riforma

1. La politica regionale di coesione comunitaria deve essere finalizzata, attraverso una decisa riforma, ad accrescere la competitività dei territori dell?Unione che presentano una sottoutilizzazione delle proprie risorse, non a compensare con aiuti di Stato i divari di sviluppo. A tale scopo devono essere privilegiate le azioni che accrescono l?offerta di beni pubblici, specie delle regioni arretrate, migliorando le condizioni di contesto: interventi di infrastrutturazione materiale e immateriale e azioni di modernizzazione delle istituzioni pubbliche. Si può così evitare che le politiche regionali, comunitarie e nazionali, si risolvano in azioni aggressive fra paesi e regioni ?a colpi di sussidi? e si può invece favorire una crescita più elevata delle aree sottoutilizzate. 
Alla politica regionale di coesione comunitaria così precisata deve essere assicurata dignità costituzionale nel quadro della riforma dei Trattati e nelle conclusioni della Convenzione, come elemento fondamentale e imprescindibile delle finalità dell?Unione, e come tale suscettibile di orientare alle proprie priorità anche le altre politiche comunitarie. 
2. La politica regionale di coesione comunitaria ha in potenza la capacità di apportare un valore aggiunto rispetto alle singole politiche nazionali, non solo perché realizza un principio di solidarietà fra regioni di paesi diversi, che è proprio delle finalità dell?Unione, ma anche perché può consentire tre risultati: un coordinamento fra diverse strategie nazionali; una contaminazione e diffusione di metodi; una cogenza maggiore alle politiche di ogni singolo paese. L?Italia ritiene, tuttavia, che finora tali risultati siano stati solo in parte conseguiti e che sia oggi indispensabile una decisa riforma della governance della politica regionale di coesione comunitaria che dia effettiva attuazione ai principi base del metodo europeo. In primo luogo: semplificazione delle procedure; sussidiarietà e proporzionalità, con una attuazione appropriata degli articoli 5, 158 e 274 del Trattato dell?Unione. E poi: valutazione e coinvolgimento del settore privato; concentrazione territoriale e integrazione; partenariato istituzionale ed economico-sociale; premialità. L?attuazione di ognuno di questi principi richiede indirizzi forti e semplici che devono costituire l?essenza del confronto dei prossimi mesi.
3. Coerentemente con gli obiettivi del Trattato (art. 158), la politica regionale di coesione comunitaria è rivolta alle regioni d?Europa, non ai paesi.
4. Le regioni arretrate rappresentano il principale obiettivo della politica regionale di coesione comunitaria e devono ricevere maggiori risorse rispetto al passato, anche se la dotazione finanziaria complessiva non dovesse crescere in termini di PIL rispetto allo 0,45 per cento attuale. La quota sul totale delle risorse per le azioni strutturali riservata a tali regioni deve essere elevata di almeno cinque punti percentuali.
5. L?esigenza di evitare soluzioni arbitrarie suggerirebbe di mantenere invariato l?attuale criterio di ammissibilità al sostegno obiettivo 1, attualmente fissato nella soglia del 75 per cento del PIL pro capite medio comunitario espresso in parità dei poteri d?acquisto (PPA). L?Italia rileva tuttavia l?esistenza di gravi e crescenti problemi di significatività e di robustezza nel calcolo delle PPA e la necessità di dare loro soluzione; condivide inoltre il crescente favore manifestato – anche in sede comunitaria e di Consiglio europeo di Laeken – per l?abbandono di un approccio di misurazione unidimensionale e per l?utilizzo, assieme al reddito pro-capite, del tasso di occupazione.
6. Alle regioni ritenute ammissibili al sostegno obiettivo 1 deve essere garantito un volume di risorse pro-capite appropriato, proporzionale ai differenziali di prosperità e di disagio strutturale, nella cui misura trovi peso adeguato il tasso di occupazione (come proxy semplice e verificabile del grado di utilizzazione delle risorse).  
7. Nel disegno della futura politica regionale di coesione comunitaria si dovrà affrontare il tema dell?insularità, attraverso un?attenzione particolare agli interventi per le regioni arretrate insulari.
8. Alle regioni in uscita dall?obiettivo 1 deve essere offerto un adeguato sostegno transitorio (phasing-out), maggiorato nel caso di uscita a causa dell?effetto statistico.
9. La politica regionale di coesione comunitaria è necessaria anche nelle aree non arretrate. Alle Regioni deve essere affidata, in un quadro di riferimento nazionale, la responsabilità di individuare e perseguire le priorità più significative per i propri contesti territoriali nell?ambito di un menù di priorità (tematiche e territoriali) per la competitività regionale fissato dalla Commissione europea. Si eviterà così che una segmentazione dei fondi o una predeterminazione delle aree di intervento impedisca l?azione strategica unitaria delle Regioni. Regole generali, fissate a livello comunitario e nazionale assicureranno: una adeguata concentrazione delle risorse e degli interventi; la qualità di questi ultimi; la allocazione a ogni priorità di risorse adeguate.
10. Le attività di cooperazione devono essere rafforzate, attraverso l?inserimento nel mainstream delle azioni strutturali, sia nelle regioni arretrate sia nelle regioni non arretrate, e il loro potenziamento anche al di fuori dell?Unione allargata. Avvalendosi dell?esperienza accumulata nella realizzazione di tali iniziative, è necessario meglio distinguere gli obiettivi della cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Le attività di cooperazione devono concorrere all?equilibrio strategico-territoriale dell?Unione, valorizzando in particolare la centralità dell?area mediterranea e le relazioni con i Balcani. 
11.  La politica regionale di coesione comunitaria deve ulteriormente rafforzare il sostegno ai processi di modernizzazione delle istituzioni pubbliche. Il conseguimento di tale obiettivo assume rinnovata importanza per i nuovi Stati Membri, con particolare riguardo al rafforzamento delle proprie istituzioni di governo decentrate e alla costruzione di un moderno partenariato istituzionale fra queste e lo Stato centrale.  Nella fase di transizione che tali paesi affrontano, l?azione di modernizzazione potrà assicurare a ciascuno Stato Membro di assorbire un volume annuale di aiuto strutturale all?interno dell?attuale tetto del 4 per cento del PIL nazionale, che può quindi essere mantenuto.



II.  Gli undici obiettivi della riforma: schede analitiche

1. Finalità e riforma della politica regionale di coesione comunitaria
La politica regionale di coesione comunitaria deve essere finalizzata, attraverso una decisa riforma, ad accrescere la competitività dei territori dell?Unione che presentano una sottoutilizzazione delle proprie risorse, non a compensare con aiuti di Stato i divari di sviluppo. A tale scopo devono essere privilegiate le azioni che accrescono l?offerta di beni pubblici, specie delle regioni arretrate, migliorando le condizioni di contesto: interventi di infrastrutturazione materiale e immateriale e azioni di modernizzazione delle istituzioni pubbliche. Si può così evitare che le politiche regionali, comunitarie e nazionali, si risolvano in azioni aggressive fra paesi e regioni ?a colpi di sussidi? e si può invece favorire una crescita più elevata delle aree sottoutilizzate. 
Alla politica regionale di coesione comunitaria così precisata deve essere assicurata dignità costituzionale nel quadro della riforma dei Trattati e nelle conclusioni della Convenzione, come elemento fondamentale e imprescindibile delle finalità dell?Unione, e come tale suscettibile di orientare alle proprie priorità anche le altre politiche comunitarie.
Con l?allargamento entrano nell?Unione i paesi con i più alti tassi di crescita europei dell?ultimo quinquennio e con le migliori prospettive di sviluppo; allo stesso tempo, si determina un aumento dei divari regionali dell?Unione. Ciò accresce la necessità e l?opportunità di realizzare una riforma profonda della politica regionale di coesione comunitaria per il periodo 2007-2013. Alla  base della riforma vi è un chiarimento delle finalità di questa politica. 
E? noto che lo sviluppo socio-economico di un territorio è fortemente legato alla sua capacità di attrarre risorse mobili: capitali, imprese, lavoro specializzato. Questa capacità dipende a sua volta, in modo rilevante, dalla qualità dei servizi prodotti o favoriti dall?azione pubblica: comunicazioni, approvvigionamento di risorse, sicurezza, acqua ed energia, formazione e ricerca, accessibilità delle risorse naturali e culturali, etc. Quando la qualità di questi servizi in un dato territorio è modesta la redditività degli investimenti che lì si realizzano si riduce. 
Si ripropone allora l?alternativa fra una politica di contesto, che migliori l?offerta dei beni pubblici, o trasferimenti al capitale e al lavoro che compensino quei disservizi. 
Gli squilibri generati dalle politiche di agevolazione alle imprese sono stati evidenziati sia sul piano teorico che su quello pratico. L?Unione europea ha da tempo assunto una precisa posizione su questo punto, di recente confermata dalle conclusioni del Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002, nelle quali si ribadisce la necessità di ridurre ulteriormente il livello generale degli aiuti di Stato, con l?obiettivo di eliminare quelli che provocano i maggiori effetti di distorsione, e di riorientare gli aiuti verso obiettivi orizzontali di interesse comune. 
Vi sono casi in cui una politica di incentivi alle imprese è desiderabile. Si tratta di situazioni in cui gli incentivi rappresentano misure compensative di evidenti fallimenti di mercato: nel finanziamento delle imprese giovani o di piccole e medie imprese, in determinate collocazioni territoriali, nell?assicurare capitali per la ricerca e l?innovazione tecnologica. Gli incentivi possono anche essere di complemento ad azioni che mirano al miglioramento del contesto. Ma deve trattarsi di azioni mirate e circoscritte, poiché nella maggioranza dei casi il ricorso agli aiuti comporta alti rischi, soprattutto in un mercato integrato come quello europeo. 
I sussidi ? specie quelli alle imprese medio-grandi – distorcono la concorrenza internazionale nella misura in cui danno luogo a significativi spostamenti di rendite da un paese all?altro o da una regione all?altra. Le rent shifting wars che si determinano fra paesi producono meri trasferimenti di attività e lavoratori verso localizzazioni apparentemente più vantaggiose senza che si produca un miglioramento del benessere globale. 
Con l?allargamento dell?Unione europea a nuovi Stati Membri, caratterizzati da vantaggi localizzativi di breve-medio periodo in termini di legislazione ambientale, tutela sociale e del lavoro e livelli retributivi, possono crescere i rischi di una competizione distruttiva nella quale le politiche regionali comunitarie e nazionali dei nuovi e dei vecchi Stati Membri ? nel secondo caso, soprattutto delle aree contigue ai nuovi – vengano impropriamente usate per intensi interventi agevolativi privi di effetti positivi per lo sviluppo europeo. In un tale scenario, l?Italia, caratterizzata da un vasto sistema di piccole e medie imprese, si troverebbe costretta a pretendere misure particolari di compensazione in termini di più ampio accesso alle deroghe per aiuti di Stato a finalità regionale.
In alternativa, dunque, a questi utilizzi impropri, la politica regionale di coesione comunitaria deve essere mirata ad accrescere la competitività dei territori, a migliorarne l?accessibilità e la qualità della vita, e a ridurre la sottoutilizzazione delle risorse, specie delle regioni arretrate. Si tratta di agire sul capitale umano, sul capitale sociale e ambientale, sulle reti, sull?efficienza dei mercati e delle istituzioni, sugli investimenti in conoscenze e capacità innovativa. L?insieme di queste azioni configura una strategia di offerta di beni pubblici volta ad accelerare la crescita della produttività e, per questa via, ad attrarre gli investimenti privati. Si tratta non solo delle infrastrutture di supporto alle attività produttive (tipicamente, ma non esclusivamente, i sistemi di comunicazione, sia quelli fisici sia quelli offerti dalla società dell?informazione, al fine di garantire l?accessibilità delle regioni), ma anche di quelle che valorizzano la qualità e l?accoglienza dei territori, attraverso l?adeguata fornitura di beni e servizi pubblici ai cittadini, come la sicurezza, i servizi di rete, le scuole e la formazione, gli ospedali, gli impianti sportivi etc. Ruolo importante deve avere anche la valorizzazione delle risorse umane, naturali e culturali già disponibili sul territorio e che ne costituiscono la sua ricchezza, rendendole accessibili e accrescendo la conoscenza delle loro caratteristiche e delle loro potenzialità. La valorizzazione delle risorse umane ? attraverso il rafforzamento dei sistemi di istruzione, formazione e ricerca scientifica – coniugata a servizi di qualità e al ricorso a strumenti di flessibilità, adattabilità e di sviluppo delle pari opportunità, può concorrere a realizzare la Strategia europea per l?occupazione e il processo europeo di inclusione sociale.
Già per il 2000-2006 l?Italia ha impostato il programma per le aree arretrate incentrato sugli obiettivi della riqualificazione degli investimenti pubblici e della modernizzazione della pubblica amministrazione, facendo leva proprio sulla politica regionale di coesione comunitaria. 
Nella politica regionale di coesione comunitaria 2007-2013, relativa sia alle aree arretrate, sia alle altre aree, queste finalità dovranno trovare un più forte presidio negli indirizzi strategici, nelle linee-guida, nelle regole approvate dal Consiglio e dal Parlamento europeo: la garanzia che queste finalità saranno comuni ad altre regioni e altri paesi darà la capacità e la forza a ogni singola Regione e Stato Membro di selezionare e attuare al proprio interno interventi certamente più efficaci di quelli possibili attraverso le tradizionali politiche di agevolazione.Una politica regionale di coesione comunitaria così focalizzata potrà favorire la crescita di tutte le aree arretrate dell?Unione, segnatamente di quelle dei paesi dell?allargamento, e potrà al tempo stesso godere di un maggiore consenso anche da parte delle aree più sviluppate dell?Unione europea. La politica regionale di coesione comunitaria, coniugando finalità di equità ed efficienza, potrà così trovare dignità costituzionale nel nuovo disegno dei Trattati e potrà, in tal modo, orientare alle proprie priorità anche le altre politiche comunitarie, segnatamente la politica agricola (in particolare lo sviluppo rurale), quella delle grandi reti infrastrutturali, quella della concorrenza.

2. Valore aggiunto comunitario, sussidiarietà e governance 
La politica regionale di coesione comunitaria ha in potenza la capacità di apportare un valore aggiunto rispetto alle singole politiche nazionali, non solo perché realizza un principio di solidarietà fra regioni di paesi diversi, che è proprio delle finalità dell?Unione, ma anche perché può consentire tre risultati: un coordinamento fra diverse strategie nazionali; una contaminazione e diffusione di metodi; una cogenza maggiore alle politiche di ogni singolo paese. L?Italia ritiene, tuttavia, che finora tali risultati siano stati solo in parte conseguiti e che sia oggi indispensabile una decisa riforma della governance della politica regionale di coesione comunitaria che dia effettiva attuazione ai principi base del metodo europeo. In primo luogo: semplificazione delle procedure; sussidiarietà e proporzionalità, con una attuazione appropriata degli articoli 5, 158 e 274 del Trattato dell?Unione. E poi: valutazione e coinvolgimento del settore privato; concentrazione territoriale e integrazione; partenariato istituzionale ed economico-sociale; premialità. L?attuazione di ognuno di questi principi richiede indirizzi forti e semplici che devono costituire l?essenza del confronto dei prossimi mesi.
Il valore aggiunto della politica regionale di coesione comunitaria non è un assioma, ma dipende dal suo indirizzo e dalla sua concreta attuazione. L?adozione di un ?metodo comunitario?, fondato su regole comuni e sistemi di valutazione trasparenti, in un quadro di consenso e garanzia reciproca, può fornire valori che le politiche nazionali da sole non possono assicurare:

  • coordinamento tra le strategie nazionali e locali, così da assicurare che più ampi territori beneficino delle esternalità positive di politiche regionali specifiche, e in modo da ridurre i rischi di competizione distruttiva tra territori;
  • contaminazione e diffusione di pratiche progettuali e di sviluppo locale;
  • rafforzamento, attraverso il ?contratto? che ogni paese stabilisce con l?UE, della credibilità interna di ogni governo nell?effettiva realizzazione di politiche integrate e nel rispetto delle regole fissate.

Il valore aggiunto della politica di coesione può tuttavia manifestarsi solo se i vantaggi non sono annullati dal peso e dai costi delle procedure comunitarie, se vi è effettiva complementarietà delle azioni comunitarie rispetto a quelle nazionali e, più in generale, se il disegno istituzionale della politica è adeguato e in linea con i principi di proporzionalità e sussidiarietà che ispirano l?ordinamento comunitario. Così non è oggi. L?Italia esprime un giudizio non positivo sull?effettiva attuazione del ?metodo comunitario?.
Nella riforma della politica regionale di coesione comunitaria dovrà, pertanto, in primo luogo realizzarsi una effettiva semplificazione delle procedure imperniata sui seguenti punti:

  • riduzione della segmentazione delle regole e delle procedure che governano i fondi, più stretto coordinamento degli stessi e flessibilità accresciuta nel loro utilizzo (in questo senso l?approccio adottato dalle iniziative comunitarie ? che consentono la massima flessibilità nell?ammissibilità degli interventi ? è esemplare);
  • riduzione degli stadi e dei documenti del processo di programmazione e loro completa integrazione nella programmazione nazionale e regionale;
  • effettiva attuazione e verifica del principio di addizionalità, anche per assicurare la piena complementarità tra politiche regionali nazionali e comunitarie;
  • proporzionalità tra controllo e dimensione finanziaria degli interventi e miglioramento della comunicazione tra la Commissione e le Autorità nazionali e locali.

Una maggiore e diversa qualità degli interventi discende in primo luogo dal coinvolgimento degli attori appropriati. L?esigenza del rafforzamento del principio di sussidiarietà poggia sul riconoscimento che la conoscenza delle specificità dei contesti locali deve guidare le scelte strategiche per lo sviluppo dei territori. Questo ruolo spetta dunque alle Autorità regionali e locali, unitamente alle competenti parti economiche e sociali, che sono depositarie di tale conoscenza (cfr. punto 3). Al livello comunitario e nazionale spetta un compito ?alto? di coordinamento e indirizzo, a presidio del raggiungimento dei grandi obiettivi comunitari e a garanzia di una efficace utilizzazione delle risorse, eliminando dall?azione comunitaria qualsiasi invasività nei processi attuativi discendenti.
Un più efficiente e sinergico rapporto tra Commissione e Stati Membri, basato su una ripartizione chiara dei reciproci ruoli e responsabilità, è essenziale per garantire una efficace e sana gestione finanziaria del bilancio comunitario. Nel contesto della politica di coesione economica e sociale prevista dall?art. 158 del Trattato dell?Unione, il compito della Commissione previsto dall?art. 274 del Trattato stesso è elevato al livello della valutazione preventiva di efficacia dei programmi e di affidabilità dei sistemi di gestione, sulla cui base la Commissione emette le proprie decisioni e di cui può chiedere conto agli Stati membri nel corso dell?attuazione. 
Per contro, non può essere attribuita alla Commissione, in quanto funzionalmente e giuridicamente propria degli Stati Membri, la competenza sull?esecuzione delle misure e delle operazioni che sono contenute negli interventi approvati dalla Commissione, nonché la responsabilità correlata all?esercizio di tale competenza e allo svolgimento dei relativi controlli. Sono, pertanto, gli Stati Membri ? e in base all?ordinamento interno, a cascata, le Regione e gli altri enti pubblici competenti – a rispondere formalmente e sostanzialmente della sana gestione finanziaria dei finanziamenti ricevuti, in applicazione di un assetto di competenze e responsabilità che discende direttamente dai principi di proporzionalità e sussidiarietà sanciti dal Trattato e dalla finalità – fissata dall?art. 158 del Trattato – di riduzione dei divari regionali di sviluppo e di rafforzamento della coesione economica e sociale.
La realizzazione del valore aggiunto della politica regionale di coesione comunitaria richiede inoltre che la riforma affronti e dia  attuazione effettiva agli altri principi base del metodo europeo:

  • valutazione, nella convinzione che la qualità e l?efficacia degli investimenti pubblici realizzati con i fondi comunitari dipendano in modo cruciale dal rafforzamento, in ogni amministrazione centrale, regionale e locale, dei sistemi e delle strutture di valutazione, ancora troppo deboli e trascurate, nella sostanza, dagli indirizzi della Commissione;
  • coinvolgimento del settore privato, nel finanziamento e nella gestione degli interventi, segnatamente dei progetti infrastrutturali. Le conoscenze maturate a livello europeo sulla validità del partenariato pubblico-privato (public private partnership) e sull’identificazione dei settori che meglio si prestano al ricorso a tali metodologie dovranno essere messe a disposizione dei nuovi Stati Membri per dare maggiore diffusione a queste pratiche.
  • concentrazione territoriale, affidata alla scelta delle Autorità regionali e locali, alle quali sole spetta individuare dove l?intervento è indispensabile e può maggiormente contribuire ad aumentare la competitività territoriale;
  • integrazione, superando l?impostazione della compartimentazione settoriale, per fondo e per competenza amministrativa, che ha continuato a caratterizzare gli interventi nell?attuale fase: i progetti rivolti a migliorare specifici contesti territoriali richiedono azioni che coinvolgano una molteplicità di ambiti e di politiche;
  • partenariato  istituzionale, fra diversi livelli di governo e fra ambiti diversi dello stesso livello, e  sociale, con le rappresentanze degli interessi associati del lavoro, delle imprese, del terzo settore, preso atto della dispersione della conoscenza fra molteplici attori e della necessità che essi interagiscano durante la fase di programmazione e soprattutto durante l?intero processo di attuazione dello sviluppo locale. In particolare, al partenariato sociale ? che sollecita le amministrazioni pubbliche alla modernizzazione e a rispondere alle esigenze dei cittadini – dovranno essere assicurati strumenti e assistenza tecnica. Quanto al partenariato istituzionale, la Commissione dovrà prevedere forme adeguate di cooperazione e di scambio di metodi e buone pratiche fra Stati membri e Regioni che attuano la politica di coesione comunitaria;
  • premialità, poiché il rafforzamento qualitativo e la modernizzazione delle amministrazioni pubbliche, necessari ad attuare i precedenti principi, costituiscono una delle principali finalità della politica regionale di coesione comunitaria e la pre-condizione per il suo successo, e poiché essi richiedono il ricorso a meccanismi di incentivazione dei responsabili politici e amministrativi.

L?attuazione di una riforma lungo queste linee è inoltre indispensabile al fine di assicurare una maggiore efficacia dell?intervento nei nuovi Stati Membri, affrontando e superando più rapidamente gli ostacoli amministrativi e istituzionali che caratterizzano questi paesi (cfr. punto 11).

3. Unità territoriali di riferimento della politica regionale di coesione comunitaria
Coerentemente con gli obiettivi del Trattato (art. 158), la politica regionale di coesione comunitaria è rivolta alle regioni d?Europa, non ai paesi.
Al fine di valutare l?unità territoriale di riferimento delle politiche regionali è necessario distinguere la griglia utilizzata per individuare aree destinatarie di interventi da quella che invece identifica i soggetti istituzionali che decidono e gestiscono le stesse politiche.
Le delimitazioni amministrative di grande estensione – come gli Stati o aggregazioni di regioni – sono in generale inadeguate all?individuazione sia delle aree destinatarie di intervento sia degli stessi interventi da realizzare. Le specificità economiche e produttive, l?esistenza di opportunità di sviluppo o di risorse inutilizzate si manifestano infatti a livello territoriale di maglia più fine. Assumono qui rilievo partizioni geografiche relative all?organizzazione dei rapporti economici e sociali nel territorio, griglie territoriali definite con riferimento alle barriere alla mobilità esterna (di origine geografica, infrastrutturale, ma anche storica o sociale), aggregazioni istituzionali fra comuni o realtà amministrative diverse.
Non ci sono quindi dubbi che la politica regionale di coesione comunitaria, nel perseguire la propria finalità generale di accrescere la competitività dei territori dell?Unione riducendo la sottoutilizzazione delle risorse, debba essere rivolta non ai paesi nel loro complesso ma alle loro articolazioni territoriali.
In via pratica, la notevole difformità delle ripartizioni amministrative in uso nei diversi Stati Membri dell?Unione, la difficoltà di costruire aggregazioni comunali significative e riconosciute sul piano istituzionale e l?arbitrarietà di ogni zonizzazione automatica, suggeriscono di utilizzare il livello NUTS-2 (o regionale) come ambito di riferimento per l?identificazione sia delle aree arretrate, sia delle unità amministrative responsabili della programmazione degli interventi nelle aree non arretrate (cfr. punto 9).


4. Aree arretrate: quota delle risorse per le azioni strutturali
Le regioni arretrate rappresentano il principale obiettivo della politica regionale di coesione comunitaria e devono ricevere maggiori risorse rispetto al passato, anche se la dotazione finanziaria complessiva non dovesse crescere in termini di PIL rispetto allo 0,45 per cento attuale. La quota sul totale delle risorse per le azioni strutturali riservata a tali regioni deve essere elevata di almeno cinque punti percentuali.
La priorità accordata alle regioni in ritardo di sviluppo – unanimemente riconosciuta come premessa per la politica regionale di coesione comunitaria post-2006 – deve riflettersi nelle decisioni concernenti la ripartizione delle risorse finanziarie tra regioni arretrate e non. Attualmente, nella programmazione 2000-06, circa il 64 per cento  delle risorse per azioni strutturali (fondi strutturali e fondo di coesione) viene destinato agli interventi nelle regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo 1 e sostegno transitorio) dell?UE-15. Dopo l?allargamento da 15 a 25 paesi, la scelta – apparentemente ?neutrale? – di confermare l?attuale quota destinata alle regioni in ritardo provocherebbe effetti sostanzialmente iniqui nei riguardi delle regioni arretrate dell?UE-15.
Quasi tutte le regioni dei nuovi Stati Membri risulteranno infatti ammissibili all?Obiettivo 1. Ciò significa che, rispetto all?attuale situazione dell?UE-15, nell?UE allargata a 25 paesi dovrà essere accentuata la priorità da assegnare alle regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo 1 e sostegno transitorio) e, coerentemente, dovrà essere elevata la quota sul totale delle risorse per le azioni strutturali da riservare a tali regioni. Diversamente, ove venisse confermata la vigente ripartizione di risorse, sarebbero le regioni relativamente più povere dell?attuale UE-15 a sopportare tutto l?onere dell?aggiustamento conseguente all?allargamento dell?Unione, mentre quelle relativamente più ricche potrebbero addirittura trovarsi in una situazione migliore della fase pre-allargamento.
Un aumento di almeno cinque punti dell?attuale quota sul totale delle risorse per le azioni strutturali assegnata alle regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo 1 e sostegno transitorio) è dunque lo strumento idoneo a  ripartire le risorse in modo più efficiente ed equo tra regioni arretrate e non arretrate e realizzare l?aggiustamento necessario ad assecondare l?allargamento dell?UE.

5. Aree arretrate: ammissibilità al sostegno obiettivo 1 
L?esigenza di evitare soluzioni arbitrarie suggerirebbe di mantenere invariato l?attuale criterio di ammissibilità al sostegno obiettivo 1, attualmente fissato nella soglia del 75 per cento del PIL pro capite medio comunitario espresso in parità dei poteri d?acquisto (PPA). L?Italia rileva tuttavia l?esistenza di gravi e crescenti problemi di significatività e di robustezza nel calcolo delle PPA e la necessità di dare loro soluzione; condivide inoltre il crescente favore manifestato – anche in sede comunitaria e di Consiglio europeo di Laeken – per l?abbandono di un approccio di misurazione unidimensionale e per l?utilizzo, assieme al reddito pro-capite, del tasso di occupazione.
L?attuale criterio di ammissibilità al sostegno obiettivo 1 si basa sul PIL pro capite regionale espresso in parità dei potere di acquisto (PPA) degli ultimi tre anni disponibili, che deve essere inferiore al 75 per cento della media comunitaria.
Al fine di evitare soluzioni arbitrarie potrebbe essere opportuno mantenere l?attuale soglia di ammissibilità per le regioni arretrate. La migliore soluzione del cosiddetto ?effetto statistico? – per cui, sulla base di tale soglia, diverse regioni dell?UE-15 si troveranno a essere ritenute non ammissibili al sostegno obiettivo 1 solo a causa della flessione di reddito pro-capite medio europeo indotta dall?allargamento – è, peraltro, nell?adozione di un regime transitorio rafforzato (cfr. punto 8).
Restano, tuttavia, due seri limiti dell?attuale criterio di ammissibilità, che dovranno essere attentamente valutati prima dell?avvio dei negoziati: l?insufficienza dell?approccio unidimensionale – basato sul reddito pro-capite – nel valutare i livelli di sviluppo delle regioni e nell?allocare le risorse comunitarie; l?esistenza di crescenti problemi di significatività e di robustezza nel calcolo delle PPA.
Circa il primo profilo, la reductio ad unum dei dati relativi a ogni singola area, con l?utilizzo di un unico indicatore – il PIL pro capite – per misurare le condizioni di disagio strutturale, costituisce una procedura fortemente sconsigliata dall?Unione nell?ambito della strategia di Lisbona che raccomanda, al contrario, di considerare un ?paniere di dati? nell?analisi del fenomeno della coesione sociale e nella definizione delle policy. 
In particolare, nella lista definitiva approvata al Consiglio europeo di Laeken (dicembre 2001) dei sette indicatori dedicati alla coesione sociale, uno fa esplicito riferimento alla coesione regionale: il coefficiente di variazione del tasso di disoccupazione tra le regioni. Il Consiglio infatti non ha approvato l?indicatore del PIL pro capite regionale in PPA suggerito dalla Commissione. Recentemente la Comunicazione della Commissione del 16 ottobre 2002 sugli indicatori strutturali, oltre a riproporre un approfondimento circa l?uso del PIL pro-capite regionale espresso in PPA, ha recepito le indicazioni degli Stati Membri nei due Comitati del Consiglio Occupazione e ha modificato l?indicatore relativo alla coesione regionale con un indice di dispersione del tasso di occupazione regionale (coefficiente di variazione del tasso di occupazione a livello NUTS2).
Il tasso di occupazione soddisfa effettivamente alcune proprietà essenziali per una finalità di riparto finanziario. In particolare, a) l?indicatore ha una interpretazione non ambigua e accolta da tutti i paesi; b) la robustezza dell?indicatore è garantita dall?essere vicino, assai più del PIL, a dati originali; c) l?indicatore è disponibile tempestivamente e, a differenza del PIL regionale, non è in generale soggetto a revisioni anche assai cospicue. 
Per quanto riguarda il secondo profilo, l?utilizzo del PIL pro capite espresso in parità dei poteri d?acquisto presenta gravi e crescenti problemi di significatività e di robustezza statistica, anche con riguardo al livello nazionale. Considerato il peso che la correzione per le PPA assume per l?allocazione delle risorse comunitarie è indispensabile riflettere sui vantaggi e sui limiti del suo utilizzo. 
In un sistema internazionale di cambi non fissi, i confronti tra i livelli di sviluppo di diverse aree misurati in termini di PPA presentano vantaggi rispetto alle valutazioni basate sulla conversione mediante i tassi di cambio correnti. Le PPA consentono infatti di comparare gli aggregati di contabilità nazionale di diversi paesi, tenendo conto delle differenze nel livello medio dei prezzi, ed evitando le distorsioni indotte da fluttuazioni dei cambi dovute a fattori non direttamente attribuibili a variazioni nei prezzi relativi. Tuttavia i limiti del loro utilizzo nello specifico contesto europeo odierno sono notevoli. Tra questi:

  • I problemi di comparabilità e rappresentatività del paniere comune di beni e servizi preso a riferimento nel computo delle PPA si sono aggravati con l?estensione delle rilevazioni dei prezzi ai paesi candidati. La questione metodologica più delicata nel calcolo degli indici di PPA consiste nel contemperare l?esigenza di individuare per ciascun paese prodotti rappresentativi della sua struttura di consumi con quella di definire un paniere di beni e servizi comune tra quelli di tutti i paesi messi a confronto. Allargando il confronto a più paesi con gradi di sviluppo diversi la rappresentatività del paniere si riduce. L?attuale organizzazione delle indagini per gruppi di paesi accresce i problemi di comparabilità, ponendo il grave interrogativo di quale sarebbe l?impatto sulle stime PPA – e quindi sull?allocazione di risorse che ne deriva – di una modifica della composizione dei gruppi.
  • L?Eurostat ha riconosciuto (settembre 2002)  che l?introduzione del nuovo schema Sec95 (diversa nel tempo a secondo dei paesi) e la graduale estensione delle rilevazioni dei prezzi a nuovi paesi hanno seriamente inficiato la comparabilità dei dati nel tempo e persino i confronti tra aree in un determinato anno.
  • Pure tenendo conto delle diversità di finalità e di costruzione, la dimensione della divergenza tra andamento degli indicatori di PPA e andamento dell?indice armonizzato dei prezzi al consumo (HICP) elaborato dagli Stati Membri risulta, per diversi paesi, assai ampia e irragionevole a livello aggregato e assolutamente eccessiva per specifiche componenti dei consumi. Ciò richiede analisi e chiarimenti da parte di Eurostat.
  • Il quadro metodologico relativo alle rilevazioni dei prezzi in ciascun paese e per gruppi di paesi è poco omogeneo. La costruzione delle PPA non avviene ancora all’interno di un quadro delineato con precisione da un Regolamento comunitario. La trasparenza e la possibilità da parte degli Stati Membri di un controllo sui dati pubblicati dalla Commissione – attraverso la diffusione dei livelli dei prezzi nei diversi paesi per alcune voci elementari – sono limitate.

I limiti dell?utilizzo delle PPA sono stati recentemente analizzati dall?OCSE e dall?Eurostat. L?OCSE conclude : ?When countries are clustered around a very narrow range of outcomes, it may be misleading to use the per capita volume index based on PPPs to establish a strict order of ranking. Relatively minor differences in the measured per capita GDP can result in a different country order that may not be statistically or economically significant.?  Anche l?Eurostat osserva : ?Per capita GDP volume indices are not intended to rank countries strictly. In fact, they only provide an indication of the comparative order of magnitude of the per capita GDP volumes in one country in relation to others.?
Appare dunque evidente che non potrà essere fatto ricorso alle PPA senza un adeguato approfondimento di questi limiti e senza avere valutato con rigore le possibili soluzioni: a) utilizzo del PIL pro capite ai prezzi di mercato senza correzioni, almeno fra i paesi per i quali l?utilizzo di una moneta unica favorisce l?uniformità dei prezzi dei beni e servizi scambiati, e in larga misura vanifica il ricorso stesso alla correzione; b) aggiornamento degli indici delle PPA di un anno di riferimento con i tassi di inflazione relativi di un paniere armonizzato (es.: HICP, indici assai più verificabili) secondo la metodologia adottata dall?OCSE; c) costruzione di una nuova metodologia di calcolo degli indici PPA che integri informazioni spaziali e temporali.

6. Aree arretrate: assegnazione delle risorse pro capite alle regioni obiettivo 1
Alle regioni ritenute ammissibili al sostegno obiettivo 1 deve essere garantito un volume di risorse pro-capite appropriato, proporzionale ai differenziali di prosperità e di disagio strutturale, nella cui misura trovi peso adeguato il tasso di occupazione (come proxy semplice e verificabile del grado di utilizzazione delle risorse).  
Il metodo applicato dalla Commissione nella ripartizione delle risorse per l?obiettivo 1 nel ciclo di programmazione 2000-2006 presenta numerosi e seri limiti; in particolare:

  • il peso attribuito al grado di impiego della risorsa lavoro (colto dal tasso di disoccupazione) è irrisorio (con un effetto di solo lo 0,5 per cento del totale delle risorse dell?obiettivo 1);
  • il modo di tenere conto della ?prosperità nazionale? (colta dal prodotto nazionale lordo pro-capite) è tale da creare disparità di trattamento molto forti tra regioni e Paesi con livelli di sviluppo simili, per il solo fatto di essere separati da soglie arbitrarie prefissate.

Nella fissazione delle risorse pro-capite alle regioni ammissibili all?obiettivo 1 nel periodo 2007-2013 si dovrà assolutamente adottare una procedura che: a) tenga in elevato conto l?utilizzo della risorsa lavoro, colto dal tasso di occupazione o dal tasso di attività; b) adotti una procedura lineare e uniforme con un criterio trasparente di proporzionalità al valore dell?indice composito che sarà stato costruito.

7. Il problema dell?insularità nelle regioni arretrate
Nel disegno della futura politica regionale di coesione comunitaria si dovrà affrontare il tema dell?insularità, attraverso un?attenzione particolare agli interventi per le regioni arretrate insulari.
Nel disegno della futura politica regionale di coesione comunitaria si dovrà affrontare il tema dell?insularità nelle regioni arretrate. Esiste, infatti, un problema rilevante nelle regioni dell?Unione europea che, a una situazione di complessiva arretratezza, uniscono il disagio economico e sociale derivante dai gravi svantaggi geografici e naturali legati all?insularità. Tali regioni, come già riconosciuto nel Trattato (art.154, art.158, Dichiarazione allegata n.30), presentano una molteplicità di fattori di svantaggio strutturale nell?accessibilità alle reti nel settore dei trasporti, dell?energia, delle risorse idriche, delle telecomunicazioni, che complicano e ritardano la gestione efficace ed efficiente dei servizi ad esse connessi. Per ridurre progressivamente il peso di tali handicap e ristabilire eguaglianza nelle condizioni di partenza delle regioni, dovranno essere garantite azioni che accrescano ulteriormente l?offerta di beni pubblici finalizzata a migliorare le condizioni di contesto con interventi di infrastrutturazione materiale e immateriale, come indicato al punto 1 del presente Memorandum. 
Per affrontare questo problema: 
a) si potrà, per quanto riguarda l?obiettivo 1, tenere conto dell?insularità sia nella determinazione delle risorse pro capite sia nella modalità di ponderazione di PIL e tasso di occupazione di cui al punto 5;   
b) si dovrà, per quanto riguarda l?uscita dall?obiettivo 1, rafforzare il sostegno transitorio (phasing out).

8. Il problema dell?effetto statistico
Alle regioni in uscita dall?obiettivo 1 deve essere offerto un adeguato sostegno transitorio (phasing-out), maggiorato nel caso di uscita a causa dell?effetto statistico.
Il sostegno transitorio (phasing-out) alle regioni che non risultano più ammissibili agli aiuti comunitari è una misura riconosciuta dall?attuale regolamento generale relativo ai Fondi strutturali. Le conclusioni del Consiglio europeo di Berlino considerano il sostegno transitorio come ?necessaria contropartita a una maggiore concentrazione dei Fondi strutturali, in modo da non compromettere i risultati garantiti dagli aiuti strutturali nelle regioni dell?ex obiettivo 1?.
Tali ragioni saranno ancora più valide nella fase post-2006, in relazione alla maggiore concentrazione delle risorse nelle regioni arretrate che dovranno costituire la priorità degli interventi strutturali (cfr. punto 4). Tali ragioni sono rafforzate dal fatto che un certo numero di regioni dell?attuale UE-15 potrebbe perdere l?ammissibilità al sostegno comunitario a seguito della riduzione del livello di reddito pro capite medio conseguente all?allargamento dell?Unione europea (cosiddetto ?effetto statistico?). Si conferma pertanto l?idea già condivisa a Berlino di predisporre una ?necessaria contropartita? specie per le regioni che dovessero subire queste ultime conseguenze.
La gradazione dell?intensità di aiuto dovrà quindi essere stabilita in relazione al livello di reddito pro capite e del tasso di occupazione regionali, prevedendo una maggiorazione nel caso di ?effetto statistico?, e con attenzione alla dimensione dei divari di sviluppo interni alla regione.


9. Aree non arretrate: centralità regionale e menù di priorità 
La politica regionale di coesione comunitaria è necessaria anche nelle aree non arretrate. Alle Regioni deve essere affidata, in un quadro di riferimento nazionale, la responsabilità di individuare e perseguire le priorità più significative per i propri contesti territoriali nell?ambito di un menù di priorità (tematiche e territoriali) per la competitività regionale fissato dalla Commissione europea. Si eviterà così che una segmentazione dei fondi o una predeterminazione delle aree di intervento impedisca l?azione strategica unitaria delle Regioni. Regole generali, fissate a livello comunitario e nazionale assicureranno: una adeguata concentrazione delle risorse e degli interventi; la qualità di questi ultimi; la allocazione a ogni priorità di risorse adeguate.
Il livello mediamente elevato di benessere raggiunto dalle regioni non arretrate dell?UE non esclude affatto la necessità di indirizzare  a queste regioni gli interventi comunitari, destinandoli a temi e territori che sono rilevanti per accrescere la loro competitività . 
Al fine di rendere efficace tale intervento andranno evitate la frammentazione precostituita delle risorse in iniziative e obiettivi monofondo e monosettoriali, e la predeterminazione da parte dell?UE di limitazioni geografiche delle ?zone di intervento?.
E? condivisa la proposta avanzata dalla Commissione europea di articolare l?intervento nelle regioni non arretrate su un menù di priorità per la competitività regionale, che comprenda sia ?obiettivi orizzontali? (valorizzazione del capitale umano, sviluppo della nuova economia e della società della conoscenza, inserimento sociale e pari opportunità), sia ?obiettivi territoriali? (valorizzazione di aree urbane e rurali, sostegno di aree con handicap geografici o naturali – in particolare aree insulari e montane -, cooperazione). Tale proposta potrà essere resa più efficace da un?appropriata evoluzione della politica agricola comune in relazione agli obiettivi di coesione.
Per assicurare coerenza alla politica regionale di coesione comunitaria, spetta alla Commissione europea proporre il menù definitivo delle priorità di intervento. Una volta approvato dagli Stati Membri, il menù potrà essere utilizzato dalle Regioni, che hanno conoscenza delle specificità locali e capacità di selezionare le priorità su cui investire le risorse disponibili, valutandone il peso relativo all?interno della propria programmazione e individuando le aree di intervento. Per ogni priorità del menù, si potrà valutare la previsione di una quota percentuale minima di risorse a livello di Stato Membro.
La congruità e l?integrazione degli interventi  regionali saranno assicurate stabilendo, in un quadro di riferimento nazionale, principi generali e meccanismi di incentivazione e premialità atti a garantire qualità, efficienza ed efficacia. I problemi di squilibrio nello sviluppo sono diffusi e non possono essere circoscritti in modo automatico entro confini amministrativi o comunque predeterminati: l?intero territorio delle aree non arretrate dovrà essere, pertanto, potenzialmente ammissibile all?intervento comunitario. La concentrazione territoriale degli interventi, necessaria per assicurare efficacia e visibilità dei risultati, potrà essere garantita sulla base di regole generali fissate a livello comunitario e nazionale. Lo stesso dovrà avvenire per assicurare l?aderenza degli interventi ai principi del ?metodo europeo? richiamati al punto 2.
Per quanto riguarda l?allocazione delle risorse fra Stati Membri e fra Regioni, si dovrà tenere conto, oltre che della popolazione di riferimento, del grado di sviluppo socio-economico, della presenza di fattori di opportunità e di criticità relativi alle priorità di intervento e dell?ammontare di risorse di cui le Regioni disponevano nella fase precedente (anche per favorire una durata temporale adeguata degli interventi).

10. Cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale
Le attività di cooperazione devono essere rafforzate, attraverso l?inserimento nel mainstream delle azioni strutturali, sia nelle regioni arretrate sia nelle regioni non arretrate, e il loro potenziamento anche al di fuori dell?Unione allargata. Avvalendosi dell?esperienza accumulata nella realizzazione di tali iniziative, è necessario meglio distinguere gli obiettivi della cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Le attività di cooperazione devono concorrere all?equilibrio strategico-territoriale dell?Unione, valorizzando in particolare la centralità dell?area mediterranea e le relazioni con i Balcani.
Lo sviluppo delle regioni europee tende a essere sempre più influenzato dalle dinamiche esterne: confrontarsi con le regioni confinanti e con il contesto internazionale non è più semplicemente un?opportunità di scambio di esperienze e buone pratiche, ma costituisce un elemento chiave del successo delle politiche di sviluppo e coesione regionali e, quindi, una componente essenziale degli interventi di mainstream.
Il tema della cooperazione dovrà assumere, dunque, una nuova centralità sia all?interno delle regioni arretrate, sia fra le priorità del menù per le aree non arretrate di cui al punto 9. 
In relazione a tale obiettivo nei mesi prossimi dovranno trovare adeguato approfondimento le due seguenti linee di azione:

  • Integrazione delle azioni di supporto alla cooperazione nella programmazione ordinaria dei Fondi strutturali. L?inserimento nel mainstream, con la previsione di attività di cooperazione negli assi e nelle misure della programmazione regionale, assicurerebbe un più forte valore aggiunto a tale programmazione, costituendone la componente qualificante per molte regioni non arretrate. In tal modo, sarebbe possibile dare concreta realizzazione ai progetti di cooperazione e non alla sola progettazione degli stessi. L?effettiva realizzazione di azioni di cooperazione e l?adozione di un metodo di collaborazione fra Regioni dello stesso paese potrebbero essere favorite, sia nelle aree arretrate, sia nelle aree non arretrate, mediante meccanismi di incentivazione, premialità e riserva di fondi.
  • Potenziamento della cooperazione, oltre che all?interno dell?Unione allargata anche con le aree esterne, per il suo ruolo decisivo di fattore di sviluppo e di stabilità e per evitare ogni possibile penalizzazione delle aree periferiche europee.  
    La Commissione europea ha sinora sostenuto la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, ma sono emerse incongruenze e difficoltà. Occorrerebbe differenziare tali tipologie di cooperazione:
  • Dopo più di dieci anni di sperimentazione, la cooperazione transfrontaliera potrebbe divenire una modalità ordinaria di attuazione della politica per lo sviluppo locale, importante sia per le aree di frontiera interne all?UE, sia per quelle esterne, incluse quelle marittime. Una sua adeguata presenza all?interno dei programmi di mainstream sarebbe perciò particolarmente auspicabile e dovrebbe essere supportata con l?introduzione di strumenti giuridici efficaci.
  • La cooperazione transnazionale potrebbe essere meglio focalizzata verso lo sviluppo integrato di aree vaste. Per ottenere questo risultato, la scelta di specifici focus tematici potrebbe assicurare l?aggregazione di partenariati e territori significativi, attraverso strumenti atti a meglio sostenere lo sviluppo e la governance di tali aree. In tal modo, sarebbero favorite la permeabilità di buone pratiche fra le regioni degli Stati Membri e l?utilizzazione dello strumento della cooperazione per l?integrazione di politiche di mainstream tra regioni.
  • La cooperazione interregionale potrebbe essere finalizzata alla costruzione di reti immateriali a geometria variabile, convogliando le esigenze regionali verso grandi temi d?interesse comunitario. Lo sviluppo di tali reti andrebbe, peraltro, differenziato in funzione dell?area di cooperazione: all?interno dell?UE o nei grandi spazi di cooperazione esterna a Est e a Sud dell?Europa. La realizzazione di reti immateriali deve favorire la circolazione di metodi e buone pratiche per il miglioramento della capacità amministrativa dei partner della cooperazione (anche traendo insegnamento, in modo selettivo, dall?esperienza del programma PHARE). In futuro tale impostazione potrebbe essere estesa anche all?interno dell?Unione allargata.

Anche se la cooperazione in rete è divenuta un?attività consueta per le Amministrazioni regionali e locali, è opportuno non escludere che vi siano casi specifici in cui la Commissione europea debba direttamente promuovere tale attività, mediante iniziative comunitarie. Si potrà valutare ad esempio l?opportunità di sperimentare soluzioni in campo sociale in grado di accompagnare, con modalità innovative, la strategia europea per l?occupazione. Si potrà anche valutare  l?opportunità di accompagnare la realizzazione delle Reti europee di trasporto (TEN) con attività e progetti volti a realizzare condizioni di contesto adeguate a trasformare i corridoi infrastrutturali in corridoi di sviluppo.

In ogni caso la futura politica regionale di coesione comunitaria dovrà agire affinché le diverse attività di cooperazione concorrano attivamente al riequilibrio strategico-territoriale dell?Unione in sinergia con strumenti finanziari per la cooperazione esterna (MEDA, PHARE, CARDS, TACIS), in particolare:

  • ponendo in risalto la centralità dell?area mediterranea, anche in vista dell?avvio della zona di libero scambio, e dei Balcani;
  • riconoscendo la preminenza delle grandi infrastrutture, che possono contribuire a ridurre i divari in Europa, attraverso il rilancio delle Reti europee di trasporto e la rapida realizzazione degli assi stradali e soprattutto ferroviari che collegano l?Italia con i paesi dell?UE-27 e i Balcani, con particolare riferimento ai Corridoi 5 e 8.

A tal fine è necessario che, accanto all?inserimento delle iniziative di cooperazione negli obiettivi di mainstream, venga perseguito un efficace coordinamento tra le politiche comunitarie per la Coesione e quelle relative alle Relazioni esterne.

11. Modernizzazione delle istituzioni pubbliche e assorbimento dei fondi 
La politica regionale di coesione comunitaria deve ulteriormente rafforzare il sostegno ai processi di modernizzazione delle istituzioni pubbliche. Il conseguimento di tale obiettivo assume rinnovata importanza per i nuovi Stati Membri, con particolare riguardo al rafforzamento delle proprie istituzioni di governo decentrate e alla costruzione di un moderno partenariato istituzionale fra queste e lo Stato centrale.  Nella fase di transizione che tali paesi affrontano, l?azione di modernizzazione potrà assicurare a ciascuno Stato Membro di assorbire un volume annuale di aiuto strutturale all?interno dell?attuale tetto del 4 per cento del PIL nazionale, che può quindi essere mantenuto.
La futura politica regionale di coesione comunitaria dovrà ulteriormente rafforzare il sostegno alla modernizzazione delle istituzioni pubbliche. La crescita della capacità amministrativa nelle regioni in ritardo rappresenta una dimensione di fondamentale importanza del valore aggiunto della politica di coesione (cfr. punto 2). Quando lo sviluppo a cui tale politica è rivolta sarà stato conseguito (e conseguentemente sarà venuta meno l?ammissibilità al sostegno comunitario), l?eredità di lungo termine dell?utilizzazione dei Fondi strutturali starà proprio nel consolidamento di una capacità amministrativa di produzione e indirizzo di beni pubblici locali, che costituisce un ingrediente necessario del ?capitale sociale? delle regioni in crescita. 
L?Italia ha iniziato a sperimentare consapevolmente tale strada con il ciclo dei fondi 2000-2006. Il processo avviato si è rivelato efficace nel promuovere il miglioramento delle capacità amministrative e tecniche centrali e regionali, nel favorire un?attuazione pragmatica dei processi di decentramento, nel promuovere la liberalizzazione e il riassetto dei mercati dei servizi locali, nell?accrescere gli incentivi all?innovazione delle amministrazioni regionali e locali. . Il processo di modernizzazione amministrativa dovrà trovare nuovo sostegno nella prossima fase di programmazione 2007-13, grazie a una riforma della governance delineata al punto 2. 
L?azione di modernizzazione assume rilievo centrale nei nuovi Stati Membri, dove si concentra la principale sfida del nuovo ciclo di programmazione. Solo attraverso una crescita forte della capacità amministrativa regionale si potrà tenere alta la qualità della spesa attuata con le azioni strutturali. I nuovi Stati Membri potranno così puntare al miglioramento delle condizioni di contesto. Potranno anche ridurre il rischio ? che sempre caratterizza le politiche di sviluppo e che può associarsi all?uso del Fondo di coesione – di realizzare, da un lato, grandi opere pianificate  centralmente e non integrate con lo sviluppo dei territori, e dall?altro, diffusi micro-investimenti di carattere compensativo e tendenzialmente inefficaci.
La modernizzazione delle amministrazioni pubbliche e il connesso rafforzamento della trasparenza e delle basi valutative delle decisioni pubbliche, sono anche condizione per ridurre i comportamenti anticoncorrenziali e per allontanare le interferenze criminali che possono accompagnare l?attuazione degli investimenti pubblici e lo sviluppo.
Coerentemente con l?obiettivo della graduale crescita della capacità amministrativa nei nuovi Stati Membri, si potrà confermare l?attuale norma che fissa nel 4 per cento del PIL nazionale il limite al volume annuale di aiuto strutturale di cui uno Stato Membro può avvalersi. Mentre è necessario consentire ai nuovi Stati Membri di poter disporre di un ammontare consistente di risorse, da concentrare sulle numerose emergenze che si riscontrano in quei paesi, non si può sottovalutare che già attualmente, nella fase di pre-adesione, si sono presentate difficoltà per la capacità di assorbimento dei fondi disponibili. Tali difficoltà saranno amplificate dopo l?adesione (già nell?attuale fase di programmazione), quando i nuovi Stati Membri gestiranno un volume di risorse assai superiore, dovendo inoltre assicurare il cofinanziamento degli interventi e rispettare il principio dell?addizionalità. L?accelerazione della modernizzazione amministrativa potrà consentire di affrontare tale questione senza modifiche dell?attuale soglia di utilizzo.

a cura di Francesca Trodella