Giustizia Amministrativa, Giurisprudenza Costituzionale ed il c.d. diritto allo studio ed alla chance professionale. La Sentenza della Corte Costituzionale, 22-29 maggio 2002, n. 219.

25.09.2002

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Il fatto;
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le deduzioni del giudice a quo;
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le deduzioni della parte ricorrente;
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le memorie di parte privata;
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l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e la difesa erariale;
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il diritto ed i motivi guida della Sentenza.

1. Il fatto.

Il T.A.R. Umbria con ordinanza n°880 del 2001 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 4, del D.lgs. 17 agosto 1999, n°368 in riferimento agli artt. 3, 34, 35 e 76 della Costituzione, in relazione alla Legge delega n°128/1998. L’eccezione è stata posta durante il giudizio introdotto da un medico specializzato in radioterapia avverso l’Università degli studi di Perugia e del Ministero della ricerca scientifica e tecnologica, per l’annullamento del bando di concorso per l’ammissione alla Scuola di Specializzazione in chirurgia generale della facoltà di medicina e chirurgia di quell’Ateneo per l’anno accademico 2000/2001 nonché del provvedimento (ex art. 34, comma 4, del D.lgs. 17 agosto 1999, n°368) che lo escludeva dal concorso data la non concessione dell’accesso ai corsi di formazione specialistica a coloro che fossero già in possesso di un diploma di Specializzazione.

2. Le deduzioni del giudice a quo.

La norma dedotta secondo la quale l’accesso alla formazione specialistica dei laureati in medicina e chirurgia non è consentita ai titolari di specializzazione o di diploma di formazione specifica in medicina generale avrebbe lo “incomprensibile” effetto non solo di vietare ai suoi destinatari nuove conoscenze scientifiche (ed il connesso titolo accademico), ma anche di porre divieto alla libertà di mutare tipologia professionale giacché i medici non hanno la possibilità di mutare campo professionale per il quale non sono specializzati. Ergo, sarebbe leso il diritto alla c.d. chance del medico. Per altro verso, tale professionista non può neppure esercitare la professione di medico di base nell’S.S.N. poiché tale attività è riservata a coloro in possesso dello specifico diploma di formazione.

In particolare il T.A.R. ravvisa:

a) Violazione dell’art. 76 della Costituzione.

Oggetto e criteri di delega di cui alla Legge n°128/1998 (“Disposizioni per

l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità

Europee), sono determinati dal Legislatore con riferimento alla Direttiva 93/16, ma né

la Direttiva, né la Legge affrontano la questione del cumulo di specializzazioni: l’art. 34,

comma 4, del Decreto dedotto sarebbe quindi scelta autonoma del Legislatore di

governo. Nel silenzio delle Direttive comunitarie il Legislatore avrebbe avuto la facoltà

di dettare specificazioni restrittive, ma tale incisione così pesante sulla “libertà

individuale” sarebbe spettato, semmai, in mancanza di delega espressa, al Legislatore

ordinario non a quello delegato;

b) Violazione degli artt. 34 e 35 della Costituzione.

La norma inciderebbe sul “diritto allo studio” come diritto ad accedere secondo le proprie scelte ad un determinato corso di studi, nonché sul “diritto al lavoro” quale diritto a svolgere una determinata attività professionale;

c) Violazione dell’art. 3 della Costituzione.

La disposizione introduce una “discriminazione” tra laureati in medicina, a svantaggio di chi, fra di essi, possieda un diploma di specializzazione. Sarebbe ragionevole una selezione basata su idoneità e merito, non altrettanto potrebbe dirsi della discriminazione dei candidati a motivo esclusivo del possesso di una diversa specializzazione, titolo valutabile al massimo come merito (ex plurimis, Corte Costituzionale: sent. n° 383/1998).

Neppure, ad avviso del remittente, il divieto potrebbe rinvenire la sua ratio nella finalità di prevenire ‘l’accaparramento’ delle specializzazioni, in quanto una buona efficacia dissuasiva, in tal senso, avrebbe la previsione dell’impegno a tempo pieno, per tutta la durata dei corsi, con trattamento economico sicuramente inferiore rispetto a quello di cui godrebbe il medico già specializzato se mettesse a frutto la propria specializzazione. Ciò circoscriverebbe ad una ristretta minoranza di specializzati, seriamente motivati, il novero di coloro che scelgono di concorrere per una seconda specializzazione. Né, in conclusione, la disposizione sembrerebbe diretta a prevenire lo spreco di risorse pubbliche determinato ogni volta che taluno, acquisita a spese della collettività una specializzazione, non la utilizzi, per dedicarsi invece ad un nuovo e diverso corso di specializzazione. L’argomento, apparentemente suggestivo, porterebbe però, per coerenza, ad obbligare chiunque abbia conseguito mediante il sistema pubblico di istruzione, un titolo di studio, a metterlo a frutto esercitando la relativa attività professionale, cosa manifestamente impossibile sul piano pratico e su quello giuridico.

3. Le deduzioni della parte ricorrente.

Ad avviso della parte ricorrente, il “no” di cui alla normativa dedotta porrebbe freno alla interdisciplinarità, fattore particolarmente importante nel settore medico, lì dove la ricerca e le tecniche terapeutiche fanno progressi continui anche grazie alla particolare connessione fra ambiti specialistici affini. Per altro verso, l’art. 35 della Costituzione specifica che è interesse della Repubblica (e suo compito garantire) l’elevazione professionale dei lavoratori. Ergo, le limitazioni in parola non risponderebbero al c.d. principio di ragionevolezza. Per questa via, l’art. 35, comma 5 del medesimo Decreto apparirebbe notevolmente discriminatorio lì dove consente ai soli medici specializzati dipendenti del S.S.N. ed ai sanitari provenienti da altri da altri paesi U.E. di conseguire, nel range del 10% dei posti disponibili nelle Scuole, un ulteriore titolo di specializzazione. La ricorrente evidenzia, poi, richiamando la nota sentenza della Corte Costituzionale n°383/1998 sulla dibattuta tematica del numerus clausus delle iscrizioni ad alcune facoltà universitarie, la quale con riferimento al diritto allo studio (artt. 33 e 34 della Costituzione) ha affermato che l’intera materia, stante la sua delicatezza, non può essere regolata che da fonti di rango primario, costituendo principio generale, informatore dell’ordinamento democratico, quello secondo il quale ‘ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell’organo che trae da costoro la propria diretta investitura’ e che ‘la conclusione che ne deriva é che i criteri di accesso all’Università, e dunque anche la previsione del numero chiuso, non possono legittimamente risalire ad altre fonti, diverse da quella legislativa’. E’ evidente il richiamo al principio della riserva di legge che ispira l’intera disciplina dell’accesso ai corsi di istruzione universitaria, tra i quali devono necessariamente essere ricompresi anche le Scuole di specializzazione riservate ai titolari di diploma di laurea in medicina e chirurgia. Ogni limitazione in tema di accesso ai corsi di studio, quindi, non può che essere posta dalla Legge, che deve contenere le linee essenziali attraverso cui viene assicurato e garantito il diritto allo studio del medico che intende ottenere il diploma di specializzazione. Tra aspiranti all’iscrizione ad un corso di laurea e laureati in medicina che intendano approfondire le proprie conoscenze ad un livello superiore non sarebbe ammissibile alcun tipo di differenziazione in ordine alla fonte normativa in grado di disciplinarne diritti e obblighi. D’altro canto, la limitazione posta dalla norma impugnata, incide direttamente sul diritto di iniziativa economica, tutelato dall’art. 41 della Costituzione, collegato alla libertà riconosciuta ad ogni cittadino dagli artt. 2 e 4 della Costituzione, di scegliere la professione da svolgere quale strumento per lo sviluppo della propria personalità (ex plurimis, Corte Costituzionale: sent. n° 4/1962). Per questa via, dal divieto in analisi, deriverebbe un’ulteriore disparità di trattamento con riguardo a quanto stabilito dalle Direttive comunitarie n. 98/21 e n. 93/16 (aventi ad oggetto la libera circolazione dei medici ed il reciproco riconoscimento in ambito comunitario dei loro diplomi), poiché ai soli medici italiani in possesso di una specializzazione é interdetta la possibilità di essere ammessi ad un nuovo corso di studi attraverso il quale perfezionare ed approfondire le conoscenze per meglio inserirsi nel mondo del lavoro. Nella fattispecie in analisi, la ricorrente, specializzata in radiologia, aspira a conseguire una specializzazione costituente la prosecuzione razionale (per quanto concerne le tecniche operatorie alle quali già si dedica presso una struttura specializzata in oncologia) di studi già compiuti in precedenza, allo scopo di acquisire una professionalità nuova, a carattere interdisciplinare, richiesta per lo svolgimento dell’attività chirurgica in materia oncologica.

4. Le memorie di parte privata.

Nel corso di analogo giudizio promosso da altro medico, specializzato in medicina nucleare, per l’ammissione al concorso per la specializzazione in radiodiagnostica, indetto dalla stessa Università di Perugia, il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, ha sollevato la medesima questione di legittimità costituzionale. In prossimità dell’udienza ha depositato memoria la parte già costituita nel giudizio incidentale, insistendo nelle conclusioni rassegnate. La parte osserva, in ordine alla violazione dell’art. 76 della Costituzione, che l’indagine sull’eccesso di delega va condotta interpretando le regole che determinano i principi direttivi, tenendo in considerazione contesto normativo e finalità che ispirano la delega nonché le disposizioni emesse in esecuzione della delega, “scorrendole” nel significato compatibile con i criteri di cui alla stessa delega. Le Direttive comunitarie recepite dal Decreto dedotto hanno come fine l’agevolazione della circolazione dei medici all’interno della Comunità Europea e la prestazione libera dei servizi di medico, nonché il riconoscimento reciproco dei certificati e degli altri titoli inerenti alla formazione specialistica, e non disporrebbero null’altro, non prevedendo alcun limite nel senso introdotto dal Legislatore delegato in ordine all’acquisizione di più specializzazioni. Neppure nella Legge delega sarebbe riscontrabile alcuna indicazione in tal verso. Tale indicazione nemmeno potrebbe essere dedotta dalla ratio intrinseca della Legge, della Direttiva, o del connesso contesto normativo. Quanto alla efficacia del divieto sulla formazione professionale, viene rilevato come, in conseguenza dello sviluppo della ricerca, vengono continuamente istituite nuove Scuole di specializzazione, che spesso costituiscono evoluzione di una generica specializzazione. Chi ha conseguito quest’ultima in un’epoca in cui non esisteva quella più specifica, si vede inibita la possibilità di acquisire una professionalità particolare, richiesta dalla stessa evoluzione scientifica. Correlativamente, i vecchi specializzati nella branca ‘generica’ si vedrebbero penalizzati rispetto ai nuovi specializzati, in possesso di un titolo più specifico, ancorché provvisti di minore esperienza. La difesa della parte privata osserva, poi, che la disciplina della retribuzione di coloro che frequentano i corsi di specializzazione non ha alcuna rilevanza al fine della soluzione della questione in esame, che attiene meramente al c.d. diritto allo studio.

5. l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e la difesa erariale.

La difesa erariale, per parte sua, afferma che l’art. 34 del Decreto, inibendo l’accesso alla Scuola a coloro che sono già titolari di specializzazione medica, non farebbe altro che ribadire un principio già espresso con precedenti disposizioni di Legge a proposito del cumulo tra borse o assegni di studio: il necessario limite che il Legislatore deve tenere presente nell’intento di consentire ai meritevoli, ma privi di mezzi, il proseguimento degli studi, il che si risolve in definitiva nella “sensata” ripartizione delle risorse disponibili. La tutela di tale interesse di rilievo costituzionale non potrebbe dunque conciliarsi con un accesso indiscriminato alle Scuole. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ha rilevato che il divieto di conseguire più specializzazioni é finalizzato ad assicurare a tutti i cittadini la possibilità di accedere al mondo del lavoro, condizionata al possesso di una specializzazione o di un diploma di medicina generale. Esso è volto ad evitare che, nel regime del numerus clausus per le Scuole di specializzazione, vi siano, professionisti favoriti ai fini lavorativi in quanto in possesso di più specializzazioni, e laureati, “semplici” in medicina e chirurgia, penalizzati ai fini dell’inserimento nel mercato del lavoro. La analisi secondo cui il divieto in esame vincola definitivamente il medico alla prima scelta professionale non sarebbe priva di valore, ciò nondimeno, il Legislatore avrebbe ritenuto prevalente, nella valutazione dell’ interesse pubblico, quello di assicurare un posto di lavoro a tutti, su quello di coloro che ritengono di aver diritto a più possibilità lavorative. Per questi motivi, non sarebbe riscontrabile violazione degli artt. 3, 33 e 34 Cost. Per converso, proprio la mancata introduzione del divieto potrebbe configurare violazione delle norme costituzionali in tema di diritto di tutti i cittadini al lavoro. Neppure sussisterebbe violazione del diritto allo studio, in quanto la tutela costituzionale riguarderebbe l’istruzione inferiore, nonché la possibilità che lo Stato offre ai più meritevoli di raggiungere i gradi più alti degli studi. Per quanto concerne l’eccesso di delega, non sarebbe necessario constatare se la norma dedotta ha sostegno nella legislazione comunitaria, giacché il divieto in indagine rientrerebbe nelle determinazioni sociali ed economiche del Legislatore nazionale. Richiamando l’art. 2, lettera b, della Legge di delega n. 128 del 1998, il quale prevede che ‘per evitare disarmonia con le discipline vigenti per i singoli settori interessati alla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse’, la difesa erariale, constata che il Legislatore delegato é stato invitato a introdurre norme che rendano il Decreto conforme alle discipline vigenti per i singoli settori interessati. Su tale filone, sarebbe sostanziale il riferimento all’art. 6 della Legge n°398/1989, il quale, sancisce che “le borse di studio di cui alla presente Legge non possono essere cumulate con altre borse di studio a qualsiasi titolo conferite, tranne che con quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere utili ad integrare, con soggiorni all’estero, l’attività di formazione o di ricerca dei borsisti’, ed inoltre che ‘chi ha già usufruito di una borsa di studio non può usufruirne una seconda volta allo stesso titolo”.

6. Il diritto ed i motivi guida della Sentenza.

Con la sentenza in esame, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, comma 4, del D. Lgs. n° 368/1999 (Attuazione della Direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle Direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la Direttiva 93/16/CEE) ed inoltre ha dichiarato, ai sensi dell’art. 27, della Legge n° 87/1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del medesimo Decreto, nella parte in cui esclude dall’accesso al corso di formazione specifica in medicina generale i possessori di diploma di specializzazione di cui all’art. 20 del Decreto stesso, o di dottorato di ricerca. Pertanto nella sentenza, non viene in argomento, la legittimità della limitazione numerica degli accessi alle Scuole di specializzazione medica, risultante dall’art. 35 e dall’art. 25 del Decreto in esame, per quanto riguarda i corsi di formazione specifica in medicina generale. Tale divieto, come descritto è connesso alla disciplina comunitaria che richiede la disponibilità di strutture e risorse per adeguare la formazione alla qualità minima prescritta (per tutte: Corte Costituzionale, sentenza n°383/1998).

Nodo focale della questione in esame è la legittimità costituzionale del divieto imposto a chi sia già in possesso di un diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, di accedere alla formazione in vista del conseguimento di una ulteriore specializzazione. Il Legislatore di governo, nel dettare la nuova disciplina delle Scuole di specializzazione medica e dei corsi di formazione specifica in medicina generale, ha voluto stabilire un criterio di non cumulabilità in capo allo stesso medico di due o più di tali percorsi di formazione: il medico in possesso di un diploma di specializzazione non può accedere ad altra specializzazione né ai corsi di formazione specifica in medicina generale; il medico in possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale non può accedere alle specializzazioni. Nelle memorie della difesa, il divieto sarebbe volto ad evitare che lo stesso medico possa, sommando più diplomi di specializzazione, ‘accaparrarsi’ più di uno spazio di formazione a spese delle strutture a ciò deputate, a danno di altri laureati, il cui diritto a conseguire una opportunità di inserimento professionale potrebbe essere compromesso. A giudizio della Corte, tale intento non sarebbe privo di razionalità (giacché tendente a garantire gli interessi di coloro che non abbiano ancora avuto accesso ad una formazione medica specialistica ed a rendere “sensato” l’impiego delle risorse pubbliche). Per questa via, non sarebbe irrazionale che il Legislatore, riservasse quota parte dei posti disponibili ai medici non ancora in possesso di specializzazione o prevedesse, sulla scorta di quanto già prevedono rispettivamente, in relazione ad altre categorie di aspiranti, i commi 3 e 4 dell’art. 35 dello stesso Decreto, quote di posti cui ammettere in soprannumero candidati che siano già in possesso di altra specializzazione o dettasse regole specifiche (diverse da quelle previste per i non specialisti) per la disciplina della posizione degli aspiranti che già lavorino nell’esercizio di altra specializzazione.

La questio é se sia “costituzionale” (sia pure in vista dei descritti intenti) precludere a chi abbia già conseguito un diploma di specializzazione l’accesso ad un nuovo percorso formativo e ad un nuovo titolo di specializzazione costituente condizione necessaria per lo svolgimento di una determinata attività medica. E’ utile aver presente, a tale riguardo, che gli artt. 24 e 28 del D.P.R. n° 483/1997 e l’art. 5 del D.P.R. n° 484/1997 prevedono tra i requisiti fondamentali per l’accesso alle funzioni di dirigente medico nelle strutture del S.S.N., il possesso del diploma di specializzazione inerente all’attività svolta dalla struttura in cui il medico intende operare. D’altro canto, l’ art. 21 del D.lgs. n° 368/1999, prescrive, per l’esercizio dell’attività di medico di medicina generale nell’ambito del S.S.N., il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale. A giudizio della Suprema Corte, sotto questo profilo, un divieto di tale assolutezza e rigidità non può ritenersi compatibile con i principi costituzionali: il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai ‘gradi più alti degli studi’ (art. 34, comma 3, della Costituzione), per cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall’ordinamento. Il Legislatore, può regolare l’accesso agli studi, orientandolo, incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito (nell’ottica dell’utilità sociale). Il Legislatore non può, al contrario, sic et sempliciter impedire tale accesso sulla scorta di condizioni particolari degli aspiranti che assolutamente non sono riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito. A tanto si riallaccia il diritto a svolgere, sulla base del possesso di requisiti di idoneità, qualsiasi lavoro o professione, in un sistema che garantisce ex art. 35, comma 1, della Costituzione, la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e che consente a tutti i cittadini di svolgere, secondo le proprie possibilità e scelte, un ufficio che contribuisca ex art. 4, comma 2, della Costituzione, al progresso materiale e spirituale della società. Tutto ciò implica, quando l’accesso alla professione sia subordinato al superamento di un determinato percorso formativo, il diritto di accedere a quest’ultimo in condizioni di eguaglianza. Il diritto allo studio, al fine di procurare o di accrescere competenze (anche in funzione della c.d. mobilità sociale e della c.d. mobilità professionale), é per altro verso, mezzo primario perché sia garantita a tutti i consociati, la possibilità di sviluppare la propria personalità, ai sensi dei principi espressi negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione. L’accertamento della illegittimità del divieto di accedere ad una nuova specializzazione per chi sia già in possesso di altro diploma di specializzazione o di formazione specifica in medicina generale, comporta come effetto, l’estensione della dichiarazione di incostituzionalità, ai sensi dell’art. 27, della Legge n° 87/1953, alla norma avente ratio corrispondente (perciò affetta dallo stesso vizio) che dispone il divieto di accedere al corso di formazione specifica in medicina generale per coloro che siano in possesso di diploma di specializzazione o di dottorato di ricerca (art. 24, comma 1, del D. Lgs. n° 368/1999).

di Pietro Alessio Palumbo