L’attività di vigilanza privata e la vigilanza abusiva. Normativa e profili interpretativi

28.09.2005

L’attività di vigilanza svolta da soggetti privati è assoggettata alla disciplina di cui agli artt. 133 e 134 del T.U.L.P.S.
Ai sensi dell’art.133 del T.U.L.P.S gli Enti pubblici, gli Enti collettivi e i privati possono destinare Guardie Particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari ed immobiliari.
Possono anche , con l’autorizzazione del Prefetto , associarsi per la nomina delle Guardie da destinare alla vigilanza o custodia in Comune delle proprietà stesse .
Le Guardie Particolari Giurate , la cui nomina da parte di privati o di Enti deve essere approvata dal Prefetto, previa verifica del possesso dei requisiti di cui all’art.138 del T.U.L.P.S., hanno il compito di vigilare e custodire proprietà mobiliari o immobiliari
Ai sensi dell’art. 249 del R.D. 6/5/1940 ( Regolamento per l’esecuzione del T.U.L.P.S.) , chi intende destinare Guardie Particolari Giurate alla custodia dei propri beni mobili od immobili, deve farne dichiarazione al Prefetto indicando le generalità dei Guardiani e dei beni da custodire; per ottenere l’autorizzazione ad associarsi per la nomina delle Guardie , gli Enti od i proprietari devono produrre al Prefetto , in doppio esemplare , anche l’atto scritto , da cui risultino le generalità e le firme dei consociati , la durata della consociazione , nonché le forme di aggregazione , di sostituzione e di recesso dei soci .
Ai sensi dell’art.134 del T.U.L.P.S. senza licenza del Prefetto è vietato ad Enti o privati di prestare opera di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati.
La licenza prefettizia , avente natura di licenza di p.s., viene rilasciata al titolare dell’istituto
“ intuitu personae “ previa verifica della sussistenza di particolari requisiti soggettivi di idoneità.
L’art. 257 del succitato Regolamento di esecuzione, precisa che ogni variazione o modificazione nel funzionamento dell’Istituto deve essere autorizzata dal Prefetto.
L’attività di vigilanza privata , affidata ad istituti muniti di apposita licenza, riveste natura imprenditoriale ed è esercitata a fine di lucro; essa può avere ad oggetto esclusivamente beni immobili o mobili e non può riguardare l’integrità fisica delle persone , la cui salvaguardia è di esclusiva competenza delle Forze dell’Ordine, istituzionalmente preposte alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Detta attività è costantemente monitorata dal Questore della Provincia nel cui territorio si svolge il servizio, il quale ne approva le modalità di svolgimento sia sotto il profilo della legittimità che della funzionalità; al questore è altresì riconosciuto il potere di sospendere la Guardia Giurata in caso di inosservanza della normativa salvo i casi più gravi in cui viene disposta dal Prefetto la revoca dell’autorizzazione.
L’art.136 del T.U.L.P.S prevede che la licenza possa essere ricusata a chi non dimostri di possedere capacità tecnica ai servizi che intende esercitare e possa altresì essere negata in considerazione del numero e dell’importanza degli Istituti già esistenti; l’autorizzazione può essere negata o revocata per ragioni di Sicurezza pubblica o di Ordine pubblico.
Dalla lettura di dette norme si evince chiaramente una notevole discrezionalità riconosciuta all’Autorità prefettizia nel valutare il rilascio o il diniego della licenza agli Istituti di vigilanza e che la concessione di tale provvedimento costituisce condicio sine qua non per l’esercizio di qualsiasi attività di vigilanza privata svolta in cooperazione con le Forze dell’Ordine.
La Suprema Corte di Cassazione Terza Sezione Penale con sentenza n.01963/2002 del 17/10/2002, ha definitivamente chiarito che, per svolgere qualsiasi forma di vigilanza ( armata o non armata ), sia da ritenersi imprescindibile l’autorizzazione del Prefetto e che quindi, qualsiasi attività di vigilanza svolta da soggetti privati debba essere assoggettata alla disciplina di cui agli artt. 133 e134 del T.U.L.P.S.
In tal senso si è espressa parte della giurisprudenza. ( Cass. Pen.n.1274 del 4/4/1998; Cass.Pen. n. 191 del 4/3/2000; C.di S. n.1023 del 12/8/96 )
Tuttavia, nonostante la succitata sentenza n. 01963/2002 del 17/10/2002 , è opportuno evidenziare che, quanto stabilito in punto di diritto dalla terza Sezione Penale del Supremo Collegio, non costituisce l’espressione di una consolidata giurisprudenza in materia in quanto, la problematica se occorra l’autorizzazione prefettizia per l’esercizio di attività di vigilanza privata da parte di soggetti non armati ,è ancora oggetto di dibattito nello scenario giurisprudenziale.
Parte della giurisprudenza è infatti orientata in senso contrario alla tesi sostenuta dalla Cassazione Penale ( sentenza del C.d.S. n.1835 del 3/4/2002 , sentenza del T.A.R. Campania n.1612 dell’11/4/2001 e del T.A.R. Puglia n.1313 del 12/3/2003 )
Rimane la circostanza che l’esercizio di un’attività da parte di istituti non autorizzati certamente turba il corretto andamento del mercato della vigilanza in cui operano i soggetti privati e lascia irrisolto il problema di individuare i mezzi concreti per evitare il verificarsi oltre che il perpetuarsi di tali situazioni di vigilanza abusiva.
Un percorso giuridico efficace potrebbe trarsi dalla natura del reato di “ vigilanza abusiva “ ex art. 140 del T.U.L.P.S.
Il suddetto articolo , che prevede l’irrogazione di sanzioni di natura penale( arresto fino a due anni) oltre che di natura pecuniaria ( ammenda da lire quattrocentomila a lire unmilioneduecentomila) nei confronti dei contravventori delle disposizioni di cui agli artt.133 e seguenti del T.U.L.P.S , non richiede, ai fini della sua applicazione, una particolare quantità di operazioni compiute in assenza di autorizzazione prefettizia ; pertanto, si è ritenuto, che anche una sola operazione compiuta antecedentemente al rilascio della licenza, possa concretizzare l’infrazione contravvenzionale su citata.
La mancanza di una univoca giurisprudenza in materia, ha posto dei problemi interpretativi circa la configurazione giuridica da attribuire alla condotta dei “clienti” dell’istituto non autorizzato ; questi ultimi potrebbero essere identificati quali ipotetici destinatari dell’azione penale, in qualità di concorrenti necessari dei vigilanti non autorizzati , qualora si volesse configurare la violazione dell’art..140 del T.U.L.P.S. quale ipotesi di reato a “concorso necessario”che , sotto il profilo oggettivo, richiede la condotta di una pluralità di persone teleologicamente diretta a porre in essere un evento difforme dalla legge.
Tuttavia, anche a voler ritenere che la vigilanza abusiva possa rientrare nell’ambito dell’istituto a concorso necessario, parte della giurisprudenza ha invece escluso l’attribuzione di responsabilità in capo al cliente dell’istituto non autorizzato, sul presupposto che non esiste normativa che, nel caso di specie, contempli la punibilità a carico del concorrente “estraneo”.( Cass. Pen. 1^ Sez. 30/4/91; Cass. Penale,1^ Sez. 14/3/89 )
Senza ombra di dubbio si deve ritenere che la succitata sentenza della Corte di Cassazione 3^ Sez. Penale n.01963/2002 del 17/10/2002 ha voluto rimarcare l’imprescindibilità dell’autorizzazione prefettizia all’esercizio di un’attività di vigilanza privata ,che presuppone una analitica valutazione della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dei destinatari della stessa , in relazione al delicato compito che i predetti andranno a svolgere.
Ciò non toglie che , al fine di scoraggiare il fenomeno in questione, anche a fronte di reiterazione di attività non autorizzate, sia possibile segnalare all’Autorità Giudiziaria competente dette violazioni chiedendo l’applicazione dell’art.321 c.p.p. oltre che dell’art.240 c.p. al fine di ottenere il sequestro preventivo e la confisca di tutti gli strumenti utilizzati per l’esercizio dell’attività di vigilanza abusiva.

di Cinzia Carrieri