La responsabilita’ contabile dei dipendenti e degli amministratori pubblici

24.10.2005

L’art. 93 del Dlg. 18/8/2000 n.267 (responsabilità patrimoniale ) espressamente prevede che per gli amministratori e per il personale degli Enti locali si osservino le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato .
Il secondo comma del suddetto decreto legislativo stabilisce che il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali , nonché coloro che si ingeriscano negli incarichi attribuiti a detti agenti , debbano rendere il conto della loro gestione e siano soggetti alla giurisdizione della Corte dei Conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti.
La ratio della normativa succitata risponde all’esigenza di corrispondere ai principi di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione dettati dall’art.97 della Costituzione ed a quelli di imputazione di responsabilità di cui all’art.28 della medesima Carta Costituzionale.
In materia di responsabilità contabile propria degli amministratori , degli impiegati e di chi maneggia denaro pubblico il nostro ordinamento dispone che chiunque si ingerisca nel maneggio dello stesso, è considerato per questo solo fatto agente contabile ed è sottoposto alla giurisdizione speciale della Corte dei Conti nell’ipotesi in cui operi senza legale autorizzazione .
Quella contabile è fondamentalmente una responsabilità che proviene dal maneggio di danaro pubblico qualora vi sia stato un uso illegittimo dello stesso che abbia prodotto un danno erariale , in presenza dell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave oltre che del danno concreto ed attuale creato alla Pubblica Amministrazione, non necessariamente patrimoniale (es. danno ambientale, all’immagine ) e del nesso di causalità tra azione ed evento dannoso.
La Corte Costituzionale con sentenza del 1998 n.371 ha ritenuto legittimo , sotto un profilo costituzionale, l’art.1 della legge n.20 del 1994, nella parte in cui ritiene l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave , essenziale ai fini dell’addebito della responsabilità contabile .
Qualora venga accertata ,a carico dell’agente, una responsabilità amministrativa, alla presenza degli elementi suindicati e di una condotta contraria alle leggi ed ai regolamenti, l’agente risponde con il personale patrimonio al fine di rifondere i danni cagionati alla Pubblica Amministrazione.
L’azione di responsabilità si prescrive in cinque anni dalla commissione del fatto ; la responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province è personale e non si estende agli eredi salvo il caso in cui vi sia stato illecito arricchimento del dante causa e conseguente illecito arricchimento degli eredi stessi.
L’art. 82 del R.D. n.2440 del 1923 prevede, infatti, il divieto di solidarietà passiva, se non in presenza di dolo o di illecito arricchimento.
La legge dispone una responsabilità in proprio ed in solido degli amministratori in tutte le ipotesi in cui essi ordinino spese non autorizzate in bilancio o non delineate nei modi o nelle forme di legge oppure nelle ipotesi in cui ne contraggano l’impegno o diano esecuzione a provvedimenti non deliberati ed approvati nei modi di legge.
Gli amministratori o gli impiegati dei Comuni, delle Province o dei Consorzi nonché delle istituzioni amministrative , sono responsabili dei danni arrecati , con dolo o colpa grave all’Ente o ai terzi verso i quali l’Ente stesso debba rispondere sulla base di una responsabilità diretta per immedesimazione organica.
L’entità del contributo causale alla determinazione del danno erariale è direttamente proporzionale al grado di responsabilità dell’agente contabile.
Se il fatto dannoso sia avvenuto per dolo o colpa grave di piu’ amministratori o di piu’ impiegati , essi sono tenuti , in solido al risarcimento. Tuttavia se le colpe dei responsabili non sono di egual misura, potrà porsi a carico di tutti o di alcuni di essi una parte proporzionale al danno arrecato; qualora il fatto dannoso sia stato commesso dall’impiegato nell’esercizio delle attribuzioni esclusivamente inerenti all’ufficio dallo stesso ricoperto, i superiori gerarchici e gli amministratori non rispondono dell’atto stesso, purchè la destinazione dell’ufficio sia avvenuta con la piena osservanza delle prescrizioni di legge e di regolamenti e non vi sia colpa grave nell’esercizio del dovere di vigilanza.
L’accertamento della responsabilità contabile compete alla Sezione Giurisdizionale della Corte della Conti , secondo quanto anche previsto dall’art.103 co 2 della Costituzione, ed il giudizio viene ad instaurarsi non appena l’agente, nei termini prefissati, depositi il rendiconto della sua gestione contabile.
Nei casi di deficienza accertata dall’ Amministrazione o di danni arrecati all’erario per fatto o per omissione imputabili a colpa o negligenza dei contabili o dei funzionari ed agenti contemplati dalla legge, la Corte può pronunciarsi tanto contro di essi quanto contro i loro fideiussori .
L’art. 50 del R.D. n. 2440 del 1923 prevede che, se nell’esame del conto, la Corte osservi che siano ad alcuno imputabili delitti contro la P.A. o contro la fede pubblica, e quindi venga riscontrata la lesione di un interesse penalmente rilevante, la stessa dovrà riferire alla competente autorità , per il promovimento dell’azione penale al fine di instaurare un giudizio penale di accertamento del delitto ( delitto contro la P.A. o contro la pubblica fede ) che sarà comunque dipendente dal giudizio contabile.
Non necessariamente l’inizio di un procedimento penale di responsabilità presuppone il concludersi del giudizio contabile; il giudice ordinario può, infatti, essere adito quando tale giudizio è ancora in corso.
Il giudice penale si troverà , quindi , ad affrontare una questione cosiddetta pregiudiziale , poiché la decisione sull’esistenza del reato dipenderà dalla risoluzione della controversia del giudice della contabilità; in tal caso il giudice penale potrà conoscere direttamente la questione ma, per la fondamentale esigenza di evitare il conflitto di giudicati ,potrà sospendere il giudizio penale e rimettere tale risoluzione al giudice competente assegnando un termine. Tale termine può essere prorogato solo una volta e, qualora nel periodo prorogato la controversia non venga definita, il giudice penale ha il potere di revocare la sospensione e decidere su ogni elemento dell’impugnazione.

di Cinzia Carrieri