Criteri e parametri di riferimento per il rilascio delle licenze prefettizie agli istituti di vigilanza privata secondo la normativa del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza

02.12.2005

Gli Istituti di vigilanza privata sono Enti che svolgono attività di vigilanza e di custodia di proprietà mobiliari od immobiliari per conto di privati.
Detta attività, svolta in cooperazione con le Forze dell’Ordine ed a fine di lucro, è disciplinata dall’art. 134 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza approvato con R.D. del 18/6/1931 n. 773 che vieta, ad Enti o privati, di prestare opera di vigilanza o di custodia di proprietà mobiliari o immobiliari, in assenza di licenza del Prefetto e prescrive i requisiti necessari affinché si abbia la garanzia che tali funzioni siano affidate, nell’interesse della sicurezza pubblica, a soggetti ritenuti idonei dall’Autorità prefettizia.
La licenza in argomento, secondo la prevalente giurisprudenza, è necessaria, non solo nell’ipotesi in cui venga svolta attività in via continuativa e stabile, ma anche se in forma saltuaria o occasionale.
Circa la natura giuridica di detta attività, si è molto discusso in dottrina se la stessa rivesta natura pubblicistica o privatistica. Secondo alcuni l’analogia con l’attività svolta dalle Forze dell’Ordine, farebbe propendere per una natura pubblicistica; altri invece, facendo leva sull’aspetto imprenditoriale e lucrativo dell’organizzazione degli Istituti in questione, ne sostengono la natura privatistica.
Decisive appaiono, in materia, le sentenze della Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 1959 del 22/6/1971 e della Seconda Sezione n. 1174 del 14/4/1972, secondo cui gli Istituti di vigilanza sono aziende commerciali che esercitano un servizio a fine di lucro.
Il rilascio della licenza prefettizia, è subordinato al possesso di determinati requisiti soggettivi e tecnico-professionali da parte di colui il quale ne faccia richiesta e che intenda assumere la titolarità dell’Ente, oltre che dalla sussistenza di determinati elementi previsti dall’art. 136 del T.U.L.P.S. succitato, tra i quali la necessità di garantire un livello di vigilanza ulteriore rispetto a quello già assicurato istituzionalmente dalle Forze dell’ordine.
In particolare ai sensi del succitato articolo 136 del T.U.L.P.S , la licenza può essere ricusata a colui il quale non dimostri di possedere capacità tecnica ai servizi che intende esercitare , può essere negata o revocata per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico e può essere altresì negata in considerazione del numero e della importanza degli Istituti già esistenti ed operanti sul territorio oggetto di richiesta.
Appare evidente che tale disposizione conferisce al Prefetto un notevole margine di discrezionalità circa la sufficienza o meno degli istituti gia autorizzati a cooperare con le Forze dell’ordine in un determinato contesto territoriale, in considerazione dell’esigenza di garantire, a tutela del pubblico interesse, un adeguato livello di sicurezza della proprietà privata.
Il Ministero dell’Interno ha, tuttavia, individuato alcuni parametri a cui fare riferimento per poter valutare l’accoglimento o meno delle nuove istanze di vigilanza; tali parametri sono riconducibili all’entità della popolazione residente, al numero ed all’importanza delle imprese e degli insediamenti produttivi operanti nella zona oggetto di richiesta, oltre alle particolari ragioni connesse alla situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica del territorio, connesse altresì all’andamento della criminalità locale con particolare riguardo ai furti perpetrati contro il patrimonio.
Altro parametro di valutazione è quello relativo al numero ed alla importanza degli Istituti preesistenti e già autorizzati ad operare nel medesimo contesto territoriale.
A tal riguardo, per consolidata giurisprudenza amministrativa, “i provvedimenti di diniego dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza privata di cui all’art. 134 T.U. 18 giugno 1931 n. 773, non possono essere giustificati solo in base alla sufficienza del numero degli Istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza esistenti, ma devono dare ragione di come l’interesse pubblico sarebbe danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, a giustificazione del restringimento della sfera di libertà costituzionalmente garantita, e ciò soprattutto perché la concorrenza può alimentare le migliori condizioni di fruibilità del servizio ed una più idonea e razionale organizzazione e gestione delle risorse”. (C.d.S., Sez. IV, 27 settembre 1991, n.773 e 3 dicembre 1996 n. 1271; di recente C.d.S., Sez. IV, 26 novembre 2001 n. 5938).
Secondo tale giurisprudenza, “il diniego di autorizzazione per un nuovo istituto privato di vigilanza, non può legittimamente fondarsi su un mero giudizio di non necessità di un ulteriore istituto,perché la motivazione va piuttosto condotta in termini di giudizio di eccessività e di negatività di una nuova autorizzazione sotto il profilo del turbamento che potrebbe derivare all’ordine pubblico da un eccesso di concorrenza” (C.d.S., Sez. IV, 28 Ottobre 1997 n. 1643).
Anche la giurisprudenza amministrativa di primo grado si è attestata su analoghe posizioni (T.A.R. Toscana, sez.I, 18 settembre 2001 n. 1378; T.R.G.A. Trentino Alto Adige – Trento, 13 giugno 2001 n. 403; T.A.R. Lombardia, Brescia, 3 maggio 2001 n. 310; T.A.R. Liguria, sez. II, 26 aprile 2001 n. 501; T.A.R. Toscana, sez. I, 8 maggio 2001 n. 799) secondo cui: “i provvedimenti di diniego dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza privata, non possono essere motivati solo in relazione al numero e all’importanza degli Istituti esistenti, ma debbono dare ragione di come il rilascio di un’ulteriore autorizzazione creerebbe una situazione di sovraffollamento del mercato dell’offerta tale da mettere in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica”.
Con altre pronunce amministrative di primo grado (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 12 marzo 2001 n. 1080; 21 febbraio 2001 n. 831; 16 novembre 2000 n. 4229; T.A.R Calabria, Reggio Calabria, 23 novembre 2000 n. 1959; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 18 luglio 2000 n. 2858) è stata evidenziata la necessità che, nel provvedimento emesso dall’Autorità prefettizia, vengano espressamente specificate le motivazioni , a sostegno del diniego al rilascio di nuove autorizzazioni, ed in particolare vengano indicati, in modo chiaro, i parametri quantitativi e qualitativi che fanno ritenere adeguata l’attività di vigilanza privata svolta da istituti già operanti nell’ambito territoriale oggetto di richiesta, le ragioni di ordine e sicurezza pubblica che, dal rilascio di nuove licenze ne verrebbero pregiudicate oltre che gli indici valutativi dai quali desumere l’incapacità tecnica allo svolgimento dei servizi che il richiedente intende esercitare.
Un provvedimento che non contenga tali motivazioni potrebbe essere valutato, da parte dell’Autorità Giurisdizionale competente, in caso di ricorso, come inadeguato e carente di motivazione in quanto reso sulla base di un mero giudizio di sufficienza.
Parte della giurisprudenza, ha altresì affermato, che non rientra nei pubblici poteri dello specifico settore, la valutazione del possibile turbamento del regime di concorrenza derivante dall’abbassamento delle tariffe, e che quindi, la valutazione se la nuova licenza possa determinare una eccessiva concorrenza rispetto alle esigenze desumibili dalla relativa domanda ,deve essere svolta unicamente alla stregua delle ripercussioni negative sull’efficienza e sicurezza del servizio di vigilanza ai danni dell’interesse pubblico, e non anche in relazione alla protezione delle imprese già operanti sul mercato. (T.A.R. Emilia Romagna , Bologna, sez. I, 22 gennaio 2000 n. 62).
Detto orientamento è da ritenersi consolidato alla luce di numerose pronunce giurisprudenziali sull’argomento; in particolare il T.A.R. Emilia Romagna, con sentenza della I sezione , datata 19 aprile 2001 n. 333, si è espresso nel senso che “ in sede di rilascio delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività di vigilanza privata, il Prefetto non deve valutare il settore della vigilanza globalmente inteso , ma la situazione di concorrenzialità in relazione alla specifica attività che il richiedente intende ottenere”.
Lo stesso T.A.R. Lazio, con sentenza della sez. I ter, del 16 marzo 2001 n. 2036, ha ritenuto che “le autorizzazioni di polizia relative alla gestione di un istituto di vigilanza privata, incidono sulla libertà di iniziativa economica privata garantita dall’art. 41 della Costituzione , per cui la relativa attività deve essere di regola autorizzata , a meno che non venga ravvisato contrasto con l’interesse pubblico, da comprovarsi attraverso la puntuale comparazione tra l’andamento e la qualità del servizio da un lato, e le necessità accertate all’interno dell’atto”.
Con sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 30 novembre 2001 n. 7676 , si è sostenuto che “l’enunciazione dei criteri astratti ai quali, secondo le istruzioni impartite con circolari ministeriali, devono ispirare le proprie valutazioni i Prefetti chiamati a provvedere su istanza in materia di autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza, non è sufficiente a legittimare i singoli atti di diniego, i quali, intanto possono dirsi idoneamente motivati, in quanto, tramite riferimento specifico ai dati concreti pertinenti alla situazione locale ed ai parametri di valutazione che l’Autorità ritenga di seguire, rendano plausibile la convinzione che il rilascio di una nuova licenza recherebbe pregiudizio all’ordine ed alla sicurezza pubblica; pertanto è necessario che il Prefetto, nel caso in cui ritenga che il settore sia saturo, dia conto delle ragioni che, a fronte di nuove istanze di autorizzazione, lo inducono a ravvisare il pericolo di un eccesso di concorrenza dannoso per l’interesse pubblico”.
Da ultimo, è opportuno citare l’orientamento seguito dal T.A.R. Puglia Bari che, con sentenza della sezione II n. 2186 /02 datata 26/4/2002, ha ritenuto che “… la possibilità di un conflitto tra istituti è circostanza inerente alle regole stesse del mercato ed è evenienza fisiologica che non può essere eliminata ed evitata comprimendo la libertà di iniziativa economica e che l’eventualità di licenziamenti (prospettata anch’essa come motivo di turbamento per l’ordine pubblico) per un verso andrebbe adeguatamente comprovata (e non solo tautologicamente asserita in astratto) alla stregua di un’analisi oggettiva delle condizioni di mercato occupazionale (potendo ovviarsi ad essa con il conseguimento di conoscenze di gestione ed una più radicale e produttiva organizzazione delle risorse diverse da quelle umane), per l’altro, è suscettibile di provocare, semmai, un aumento dell’occupazione se accompagnato , nello svolgimento dell’attività, da nuovi sistemi tecnologici ed un ampliamento della gamma dei servizi offerti”.

di Cinzia Carrieri