L’approccio economico-aziendale alla gestione della Pubblica Amministrazione – Resoconto Convegno

12.12.2001

L’approccio economico-aziendale alla gestione della Pubblica Amministrazione

Universita’ degli Studi Di Ancona

Facolta’ di Economia

Ancona, 12 dicembre 2001

Di Francesca Di Lascio


Il prof. Del Bene ritiene utile aprire la propria relazione fornendo alcune premesse riguardo alla nascita ed all’evoluzione dell’economia aziendale. In particolare, si sottolinea che, già dal momento in cui si è giunti all’identificazione del nucleo intorno cui si è sviluppata detta disciplina, è parso evidente come la stessa materia possa essere concepita quale scienza che, oltre a progredire per deduzione, trova sviluppo anche attraverso l’intuizione.

Pertanto, pur trovando fondamento in studi di logica basati sulla letteratura di settore, l’approccio all’economica aziendale rende necessario avvalersi anche della verifica contabile, che permette di accertare se i principi generali di carattere normativo, nonché quelli più strettamente applicativi individuati in sede dottrinaria, possano trovare effettiva applicazione al caso concreto.

Per quanto riguarda il settore pubblico, si deve considerare che la suddetta concezione dell’economia aziendale ha finora trovato un’applicazione molto limitata.

La riforma avviata nel 1992, infatti, pur facendo seguito all’emanazione della legge 142/90, era fondata unicamente su una serie di principi generali che, per loro natura, si sono resi inapplicabili in assenza di appositi decreti attuativi. Diversamente, la riforma operata nel settore sanitario ha introdotto da subito e con forza alcuni principi propri dell’economia aziendale, soprattutto attraverso l’introduzione a livello nazionale del primo sistema informativo contabile per gli Enti locali. Ciò ha permesso di fare spazio all’idea che le strutture sanitarie non potessero prescindere dall’avere quale obiettivo primario il risparmio sui costi di gestione.

Ma, per quanto apparentemente innovative, la modalità di ricezione di dette norme nel settore pubblico è stata generalmente restrittiva e questo ha impedito che i principi economici sottesi alla scienza in questione trovassero un’applicazione ottimale.

Gli operatori, inoltre, hanno spesso interpretato in modo distorto i principi considerati, valutandoli esclusivamente nell’ottica di una riduzione dei costi e di un aumento degli utili. Quest’atteggiamento è stato causato, sopratutto, dal timore che le innovazioni introdotte si potessero tradurre in controlli invasivi dell’attività.

Il prof. Del Bene passa poi ad approfondire alcuni dei concetti posti alla base dell’economia aziendale e ricorda che, secondo Zappa, lo studioso che per primo ha precisato i fondamenti della disciplina in questione, questa può essere identificata come la scienza che studia le manifestazioni di vita e le condizioni di esistenza dell’azienda.

L’autore sosteneva, inoltre, che fosse possibile suddividere ricondurre l’economia aziendale in tre dottrine minori ovvero:
1) la gestione, che indaga il manifestarsi dei fatti aziendali ovvero delle decisioni ed operazioni attinenti alla vita ed alla ricchezza, poste in essere relazione ai fattori produttivi di cui dispone l’azienda ;
2) la rilevazione, analizza le operazioni proprie della gestione, al fine di manifestarne dal punto di vista informativo gli aspetti più caratteristici. Questa dottrina è diretta, quindi, all’osservazione e all’induzione quantitativa dei fatti aziendali;
3) l’organizzazione, che studia gli organismi della struttura aziendale (organi, ordinamento, coordinazione), analizzandone la configurazione in rapporto al raggiungimento dei fini.

Con specifico riferimento alla rilevazione, il prof. Del Bene osserva come, nel passato, detta operazione si riferisse prevalentemente alla ragioneria, mentre oggi il concetto è mutato sotto il profilo qualitativo. Non si tratta più, infatti, di operare soltanto una mera rilevazione contabile, ma piuttosto una di tipo extracontabile.

Attualmente, in effetti, è estremamente difficoltoso parlare di sistemi informativi senza fare riferimento a specifici indicatori poiché, per la maggior parte dei casi, i fatti sono analizzati allo scopo di metterne in evidenza gli aspetti utili allo sviluppo di un monitoraggio puntuale del livello di ricchezza. Non si deve dimenticare, infatti, che l’azione di rilevazione è pur sempre finalizzata allo studio dell’impresa nella generalità della sua struttura e del raggiungimento dei fini prefissati.

Lo svolgimento della gestione, invece, rende inevitabile la suddivisione del lavoro da svolgere tra gli individui che fanno parte della gestione medesima. In tal caso, quindi, diviene di grande importanza operare attribuzioni chiare delle attività svolte dai singoli organi, soprattutto con riguardo alle posizioni di coordinamento generale delle strutture.

Per quanto riguarda l’organizzazione, il prof. Del Bene ne precisa la finalità, che è di misurare, dal punto di vista strutturale e dinamico, il modo in cui l’azienda lavora. In tal senso, è evidente che ‘organizzare’ significa anche riuscire a coordinare in misura ottimale i diversi fattori produttivi (mezzi strutturali, beni di consumo servizi del personale), affinché l’azienda possa funzionare nella maniera più efficace.

Il prof. Del Bene si domanda, tuttavia, fino a che punto e in che modo sia possibile applicare nel settore pubblico le tre dottrine in cui Zappa ha suddiviso l’economia aziendale.

In proposito, di deve considerare che la costruzione scientifica elaborata dall’autore risale al 1926 ovvero ad un periodo in cui la prevalenza delle aziende presenti nel nostro Stato era di carattere privato. Si trattava, in particolare, di imprese prevalentemente manifatturiere, anche se cominciava a nascere un sistema aziendale diverso da quello dell’800 in cui la prevalenza delle aziende era di carattere domestico-patrimoniale.

Date queste premesse, la volontà di Zappa di associare il concetto di ‘azienda’ a quello di ‘pubblico’, sembra dar vita ad un contrasto insanabile. Per questo motivo, è innanzitutto opportuno identificare con precisione cosa dovesse intendersi per azienda.

La definizione che ha trovato maggior fortuna tra la dottrina è quella che considera l’azienda come l’unità economica in cui si realizzano i fenomeni della produzione, della distribuzione e del consumo e nella quale è necessario siano presenti l’ordine sistematico, quello combinatorio e quello di composizione. Il fine è, invece, quello di raggiungere l’equilibrio economico durevole ed evolutivo.

L’esistenza di un’azienda è, perciò, subordinata all’esistenza di tre tipologie di ordini, il primo dei quali è quello sistematico che si attua quando le operazioni svolte sono collegate ad altre operazioni che precedono, che seguono e ad operazioni che si svolgono contemporaneamente in parti diverse nell’organizzazione d’impresa. In altre parole, ogni operazione deve avere un legame dal punto di vista del tempo e dello spazio con le altre svolte all’interno dell’azienda.

L’ordine combinatorio fa, invece, riferimento al modo con cui i fattori produttivi ‘comunicano’ fra di loro e si fonda sulla necessità che tra questi si crei una combinazione, intesa quale coerenza interna. Si tratta cioè di realizzare una combinazione produttiva tra i fattori che compongono l’azienda.

Infine, l’ordine di composizione rappresenta il rapporto che l’azienda instaura con l’ambiente esterno, che ne condiziona l’attività attraverso forze positive e negative tali. Detto equilibrio, che realizza il contemperamento delle forze esterne, consente di fronteggiare le difficoltà e di sfruttare le opportunità e coincide, quindi, con l’equilibrio economico durevole dell’utile, fine ultimo della realtà aziendale.

Secondo il prof. Del Bene, l’accezione considerata di azienda implica in maniera netta che questa esista o meno a seconda della contemporanea presenza dei tre ordini indicati. Rispetto a quest’impostazione, Zappa ha fatto un importante passaggio evolutivo.

Lo studioso ha sostenuto, infatti, che esistono tre differenti tipologie di aziende:
1) l’impresa, ossia azienda di produzione, il cui fine primario è il soddisfacimento dei bisogni umani che, tuttavia, è fine indiretto e viene perseguito in maniera mediata attraverso il raggiungimento dell’equilibrio economico;
2) l’azienda di erogazione, il cui fine primario e diretto è dato dal soddisfacimento dei bisogni umani;
3) l’azienda composta, in cui si svolge in parte attività produttiva diretta e in parte attività di erogazione.

Secondo Giannesi, altro autorevole studioso della materia, la teoria delle tre categorie indicate da Zappa non è sostenibile poiché il soddisfacimento dei bisogni umani non può essere il fine ultimo dell’azienda. Se così fosse, infatti, non sarebbe possibile distinguere questo fenomeno da qualsiasi altra situazione in cui un individuo pone in essere un’attività volta a soddisfare i propri bisogni.

Per questo Giannesi parla di azienda o di fenomeno aziendale e identifica il primo elemento come fenomeno unitario e oggetto di studio avente il fine dell’equilibrio economico, che è il rapporto positivo tra ricavi e costi sostenuti dall’azienda, verificato in un periodo temporale sufficientemente lungo.

L’approccio considerato effettua una mediazione tra le posizioni di coloro che vedono nell’equilibrio economico un fine e coloro che vi rinvengono un mezzo, perché consente di affermare che il raggiungimento dell’equilibrio medesimo si verifica ogni qualvolta vengono remunerati adeguatamente i fattori produttivi e il soggetto economico ha a garanzia di un compenso ritenuto soddisfacente.

Inoltre, essendo l’azienda un fenomeno di lungo periodo, l’equilibrio economico deve essere possibilmente evolutivo. Deve cioè garantire lo sviluppo dell’unità aziendale ed essere verificato in un arco temporale sufficientemente lungo che permetta di rappresentare quella che, in realtà, non è una situazione statica ma una situazione tendenziale, in cui la garanzia dello sviluppo autonomo aziendale è possibile solo se le risorse create superano quelle sfruttate.

Premesse le suddette definizioni, si deve cercare di comprendere quando un’azienda può essere definita ‘pubblica’.

Secondo la dottrina prevalente, è pubblica l’azienda in cui il soggetto economico ha natura pubblica. Questa definizione è il risultato di sintesi di diverse impostazioni teoriche, alcune delle quali hanno identificato l’azienda pubblica come quella in cui il soggetto giuridico, oltre ad avere natura pubblica, gestisse un servizio qualificabile come ‘pubblico’ perché rivolto a gran parte collettività.

L’orientamento considerato ha, tuttavia, alcune critiche e, in particolare, si è fatto l’esempio di un’azienda che controllata dall’IRI, definita pubblica perché di proprietà interposta di un ente pubblico statale e indipendentemente dal fatto di avere la forma della società per azioni.

Ma anche attribuire la natura pubblica ad un’azienda in quanto gestore di un servizio che interessa gran parte della collettività è un orientamento criticabile. Infatti, non necessariamente un servizio che interessa gran parte della collettività è qualificabile come servizio pubblico.

Nel corso del tempo si è, quindi, evoluta un’altra impostazione che ha trovato fondamento nella progressiva assunzione di determinati servizi che lo Stato ha operato attraverso le autonomie territoriali. Il processo di dismissione delle attività attualmente in corso dimostra, infatti, come l’intervento statale, dopo una prima fase di avanzamento, si poi progressivamente diminuito nella gestione di servizi volti al soddisfacimento degli interessi della collettività.

Fondare la definizione del servizio pubblico con riferimento al soggetto economico è, pertanto, sembrato il criterio più corretto per poter dare una definizione di azienda pubblica ossia di proprietà di un’amministrazione pubblica, indipendentemente dal fatto che questa eserciti o meno un controllo diretto. Diretta conseguenza di ciò è che le scelte operate devono essere improntate nell’osservanza di criteri propri del soggetto economico gestore senza per questo trascurare il raggiungimento delle finalità che devono essere perseguite dal soggetto pubblico. Il prof. Del Bene ricorda, tuttavia, come dette finalità si presentino profondamente diverse da quelle che persegue l’operatore privato.

Ciò non vuol dire, però, che non sia possibile rinvenire dei principi comuni al funzionamento ed all’organizzazione alle due tipologie aziendali. Zappa, in particolare, riconosce e classifica i seguenti:
1) l’autonomia, per la quale l’azienda si presenta come un fenomeno staccato dai soggetti che la controllano e la gestiscono in un determinato arco temporale;
2) l’economicità, che è condizione fondamentale di esistenza dell’azienda, consiste nell’adeguata remunerazione dei fattori di produzione, tale da avere più ricchezza creata di quella distrutta;
3) l’unità sistematica, che si ricollega al concetto di azienda come fenomeno unitario, si riferisce al fatto che l’azienda non perde la sua natura anche se si presenta come il coordinamento di elementi differenti quali un gruppo di aziende;
4) la permanenza, per la quale l’azienda si pone come fenomeno di lungo periodo, a causa, non solo delle proprie specifiche caratteristiche, ma anche degli investimenti effettuati e della verifica richiesta in tal senso dall’economicità. Nella fase di avviamento dell’azienda, infatti, gli investimenti effettuati possono rendere necessario attendere un periodo congruo prima di consentire una valutazione effettiva del rendimento sperato.

Il prof. Del Bene ritiene, inoltre, che l’introduzione della logica aziendale nel settore pubblico debba tener conto anche di fattori aggiuntivi rispetto a quelli elencati.

Ci si riferisce, in particolare, alla peculiare configurazione che nell’ambito indicato assumono i sistemi informativo-contabili. Da principio, infatti, lo scopo della contabilità finanziaria era di fornire una garanzia alla collettività rispetto alla destinazione delle risorse attraverso la corretta esecuzione formale delle procedure di entrata e di uscita ma, in realtà, questa non ha mai permesso di valutarne le modalità di utilizzazione concreta.

Oggi, invece, sono previsti sistemi informativi contabili che rivelano l’aspetto economico della produzione e, in particolare, chiariscono come avviene la spesa individuando l’ammontare del pagamento e il costo determinato dal consumo effettuato in termini di valore. I sistemi informativi sono, inoltre, stati accresciuti della nuova dimensione legata all’utilizzo dei principi di efficacia e qualità.

In secondo luogo, rileva il concetto dell’organizzazione che, laddove esista un’effettiva autonomia del soggetto istituzionale, deve essere sfruttata quale fattore da modulare in maniera flessibile secondo le esigenze tipiche dell’attività amministrativa svolta.

Un ulteriore principio è quello della responsabilità dirigenziale, per la quale i dirigenti sono tenuti a rispondere sul raggiungimento dei risultati loro assegnati. In tal senso, è evidente che il rispetto di una determinata procedura non rappresenta più una garanzia ma, al contrario, occorre che il raggiungimento del risultato sia soggetto a meccanismi di premio e di incentivazione.

Ai fattori considerati, vanno aggiunti altri due elementi, cui si accenna solamente, ovvero i modelli di governance e le logiche e gli strumenti di management.

Le considerazioni svolte finora sono applicabili alla generalità delle amministrazioni pubbliche ma assumono un rilievo specifico se applicate agli Enti locali.

Quello indicato è, infatti, il settore che ha ricevuto una maggiore e più approfondita regolazione normativa mediante la quale è stato possibile, tra l’altro, introdurre strumenti volti a chiarire la differenza tra i concetti di costo e di spesa.

Il prof. Del Bene osserva come questi due termini rappresentino nel linguaggio comune dei sinonimi mentre, invece, il costo è ciò che si paga per avere qualcosa e la spesa corrisponde al consumo che della stessa cosa si effettua in termini di valore. La differenza è sostanziale, anche se nella realtà molto spesso le due misure coincidono. Pertanto, sistemi informativi che misurano l’aspetto economico della gestione consentono di misurare anche quello sostanziale che indica se l’azienda ha prodotto ricchezza o meno.

La materia è stata regolata in misura compiuta prima dalla legge n.142/90, che ha disciplinato molto degli aspetti legati all’organizzazione degli Enti locali, introducendo anche il fondamentale principio di autonomia organizzativa. La nozione è stata poi ripresa sia dal decreto legislativo n.286/99, sia dal recente Testo Unico (d.lgs. n.267/00), in cui si prevede anche che l’organizzazione sia impostata secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità.

Alla luce dei provvedimenti considerati, quindi, le amministrazioni pubbliche non sono più legate a sistemi di organizzazione rigidi modificabili solo attraverso altre norme, ma si ammette la possibilità che l’organizzazione sia ‘ritagliata’ secondo le peculiari esigenze dell’attività svolta.

Per quanto riguarda, invece, la responsabilità dei dirigenti, il prof. Del Bene ribadisce come, oltre alla responsabilità professionale e penale, gli stessi siano ora soggetti anche ad una responsabilità intesa come raggiungimento di un risultato. Si tratta cioè di un evidente mutamento di funzioni che dal controllo burocratico evolve in direzione del controllo di gestione.

Assume, quindi, rilievo non solo il raggiungimento dello scopo ma anche la modalità con cui lo stesso è raggiunto e il rispetto delle procedure non è più garanzia automatica di buon esito professionale. Ovviamente, da ciò discende che la responsabilità deve essere bilanciata da un’effettiva autonomia gestionale.

Quanto alla valutazione, mentre prima questa si fondava sulla valutazione dei risultati e sull’assegnazione di un’indennità di posizione, l’indicazione attuale è quella privilegiare l’indennità di risultato spostando sempre di più la percentuale relativa al rendimento dei risultati rispetto al parametro statico della posizione.

Alcune notazioni sono, poi, riservate alla modalità di gestione dei servizi e delle attività amministrative negli Enti locali.

In proposito, il prof. Del Bene sottolinea come vi sia una tendenza generale ad esternalizzare, enucleando sempre di più i servizi gestiti dagli enti attraverso l’istituzione di aziende con forme giuridiche autonome. A livello normativo, detta possibilità, già prevista dalla legge n.142/90, è stata ribadita dal decreto legislativo n.267/00.

Finora, gli Enti locali hanno dato l’impressione di voler sfruttare in particolare la facoltà di privatizzare in senso pieno e sostanziale e quella di attribuire una connotazione giuridica di tipo privatistico a servizi prima gestiti in economia, operando mediante società per azioni a partecipazione maggioritaria o minoritaria.

In quest’ultimo caso, il soggetto gestore diventa un gruppo di aziende cui è demandata o delegata la gestione dei servizi. Ciò consente di acquisire maggiori capitali, coinvolgendo azionisti privati, ma anche di acquisire maggiori finanziamenti da parte di istituti pubblici.

La maggior parte dei cambiamenti descritti trova evidentemente fondamento in un approccio che può essere definito ‘manageriale’. Detta impostazione di base è il frutto di una lunga evoluzione degli studi, specialmente di carattere anglosassone, che teorizzava la necessità di gestire le aziende in base a due livelli decisionali, uno dei quali è funzionale alla definizione di strategie cui l’altro è tenuto a dare attuazione.

In particolare, secondo il prof. Del Bene, le funzioni manageriali che consentono di sostenere un tale sistema sono la pianificazione, l’organizzazione e il controllo:
1) la pianificazione identifica gli obiettivi di luogo o di breve periodo, siano essi generali o particolari, nonché le modalità per raggiungerli;
2) l’organizzazione suddivide il lavoro tra i diversi soggetti e definisce l’autorità e le responsabilità in modo da orientare l’azione nel modo voluto dall’unità economica;
3) il controllo verifica il raggiungimento degli obiettivi per comprendere quali siano le cause degli scostamenti, la rispondenza dell’attività ai bisogni ed il livello di efficienza particolare e complessiva.

Lo svolgimento delle funzioni descritte avviene mediante l’utilizzo di strumenti specifici primo fra tutti la pianificazione a lungo termine, che sintetizza e rende formali gli obiettivi nonché le diverse modalità di raggiungimento degli stessi. Nel breve termine, le stesse attività sono, invece, formalizzate in un documento che si chiama budget.

Per quanto riguarda più specificamente l’organizzazione, gli strumenti di riferimento sono rappresentati dalla struttura organizzativa e dal meccanismo operativo.

Il primo fattore è abbastanza intuitivo e serve a descrivere la suddivisione delle funzioni all’interno della struttura aziendale. Si tratta di quello che solitamente viene definito organigramma. Il meccanismo operativo serve, invece, a descrivere il funzionamento della struttura organizzativa, con particolare attenzione al profilo delle responsabilità.

Il prof. Del Bene ritiene, tuttavia, che uno dei problemi maggiori nel processo di aziendalizzazione del settore pubblico sia che molta parte delle norme di riforma abbia prestato eccessiva attenzione agli strumenti per cui, nel predisporre i mezzi per svolgere le funzioni, si è attribuito agli stessi un valore finalistico. Attivare le funzioni manageriali non significa, infatti, fare un budget o istituire un sistema di contabilità analitica, poiché quelli citati sono solo gli strumenti mediante cui la funzione stessa trova attuazione.

È, quindi, necessario ed inevitabile che l’inserimento di funzioni manageriali sia accompagnato dallo sviluppo di un’adeguata cultura di sostegno all’utilizzo degli strumenti sottesi alle funzioni medesime. Esiste, inoltre, la necessità di capire come vengono utilizzate le risorse messe a disposizione dei manager, al fine di verificare se esistono o meno sono possibilità di miglioramento e ciò è possibile solo avvalendosi di un’efficace procedura di controllo della spesa

Spesso, infatti, il budget tende ad aumentare di anno in anno, mentre dovrebbe mirare a ridurre i costi e diminuire i consumi. Ma i consumi diminuiscono, solo se cambia alla base il modo di lavorare. Si dovrebbe, quindi, partire dalla gestione e non dalle risorse, che sono soltanto la manifestazione delle operazioni di gestione.

Un ultimo elemento di criticità da considerare è l’identificazione che solitamente avviene tra controllo di gestione e di controllo ispettivo.

Il prof. Del Bene ricorda, in merito, come il primo dei due corrisponda al controllo dei responsabili sulla gestione e cioè ad una verifica circa il modo di lavorare, il che è molto differente dal controllo burocratico in cui interessa solo il rispetto della procedura che è stata data.

Ma la burocrazia, seppure deve esistere laddove un’amministrazione pubblica debba erogare servizi di garanzia per i cittadini, non offre risultati positivi quando è applicata a servizi volti a soddisfare delle esigenze. In questo caso, infatti, rispettare la procedura non è più sufficiente poiché non è vero che se ogni cittadino rispetta ciò che il linguaggio burocratico stabilisce vede automaticamente soddisfatto il proprio bisogno.

Con il passaggio al controllo di gestione, invece, assume rilevanza fondamentale il raggiungimento di un risultato non in quanto tale ma in quanto funzionale a realizzare la soddisfazione dell’utente.

Francesca Di Lascio