La Comunitá Europea e il government procurement agreement del 1994

05.05.2003

1. La scelta liberalizzatrice del secondo dopoguerra e il settore degli appalti pubblici: il Government Procurement Agreement (GPA) del 1994.

Per un lungo periodo gli appalti pubblici, in ossequio ad esigenze di natura economica, politica e sociale, sono stati lasciati al di fuori da ogni regolamentazione internazionale, tendendo essi a costituire piuttosto una deroga alla normativa di carattere generale, introdotta a partire dal secondo dopoguerra e finalizzata all’apertura dei commerci internazionali.
Tuttavia, l’esistenza di una marcata tendenza protezionistica in tale settore, unita alla considerazione della rilevanza economica dello stesso fecero comprendere come una chiusura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza degli operatori stranieri avrebbe potuto compromettere, anche sensibilmente, la libertà degli scambi.
È sulla scia di queste constatazioni che fu avviato, tanto a livello comunitario che internazionale, un lento processo di liberalizzazione del settore degli appalti pubblici.
A livello internazionale, in particolare, l’ultima tappa di tale processo è rappresentata dal Government Procurement Agreement (GPA) del 1994, uno dei quattro accordi ‘plurilaterali’, e quindi vincolanti per le sole Parti firmatarie e non per tutti i membri dell’Organizzazione mondiale del commercio, ricompresi nel quarto allegato dell’accordo istitutivo dell’OMC. Sebbene la natura ‘plurilaterale’ del GPA abbia alimentato numerosi dubbi in merito alla sua effettiva incidenza sulla liberalizzazione del settore, tuttavia, non possono essere trascurati i più recenti tentativi di estendere la membership di tale Accordo per ampliarne il raggio d’azione.

2 Aspetti problematici relativi alla partecipazione della Comunità europea al GPA.

2.1 L’adattamento dell’ordinamento comunitario all’Accordo.
Di particolare rilevanza, sia per il decisivo contributo all’apertura del mercato mondiale degli appalti pubblici, sia per le delicate problematiche emerse nei rapporti fra i due ordinamenti, comunitario ed internazionale, risulta la partecipazione della Comunità europea al GPA.
In relazione a tale partecipazione, vengono in rilievo due principali profili di studio: il primo è quello relativo all’adattamento dell’ordinamento comunitario all’Accordo; il secondo, invece, concerne la sfera patologica ed, in particolare, le interazioni fra i due ordinamenti nel caso di violazione del GPA.
Immediata conseguenza della conclusione dell’Accordo da parte della Comunità fu, dunque, la necessità di adattare la disciplina comunitaria sugli appalti pubblici, antecedente al GPA, ai nuovi obblighi discendenti dall’Accordo stesso.
La realizzazione di tale coordinamento risultava ancor più urgente a causa della presenza, nel GPA, di disposizioni che, anche se in maniera lieve, tuttavia risultavano complessivamente più vantaggiose rispetto alle analoghe regole previste dalla disciplina comunitaria.
Nella pratica, un ente appaltante della Comunità che si fosse trovato ad affidare un appalto, coperto sia dalle direttive comunitarie antecedenti all’Accordo, sia da quest’ultimo, avrebbe dovuto applicare, nell’ambito di una stessa aggiudicazione, due regimi giuridici differenti: uno, più vantaggioso, per gli operatori stranieri provenienti dalle Parti del GPA; un altro, meno favorevole, per gli operatori economici della Comunità, poiché la condizione di questi ultimi sarebbe stata regolata non già dall’Accordo, ma unicamente dalle direttive comunitarie preesistenti.
Allo scopo di eliminare l’evidente pericolo di discriminazione, a discapito delle imprese comunitarie, sono state, quindi, adottate due direttive specifiche (1) che, ricorrendo al procedimento ‘ordinario’ di adattamento agli accordi internazionali, hanno introdotto, tramite la riformulazione di alcune disposizioni del GPA, modifiche mirate volte ad uniformare la disciplina comunitaria, precedente, alle norme dell’Accordo e a garantire, in questo modo, un’omogeneità di trattamento fra operatori comunitari e stranieri.

2.1.1 Le maggiori aree di modifica.
Come evidenziato in un parere, del 1995, del Comitato economico e sociale (2) , è possibile individuare alcuni principali settori di modifica, sui quali hanno operato tanto la direttiva 97/52/CE che la direttiva 98/4/CE. Il primo concerne le soglie di applicazione della disciplina. Un secondo concerne le disposizioni sulla trasparenza, ed un terzo nucleo, infine, prevede l’ammissibilità del dialogo tecnico fra ente appaltante ed operatore economico.
La prima area di intervento riguarda, dunque, le soglie, ovvero il valore minimo dei contratti d’appalto che determina il campo di applicazione oggettivo della disciplina.
In questo settore si riscontrava, infatti, una discrepanza fra quanto previsto nelle direttive comunitarie e quanto stabilito dal GPA, risultando le soglie fissate da quest’ultimo generalmente più basse di quelle comunitarie. Di conseguenza, il numero dei contratti d’appalto coperti dall’Accordo avrebbe superato quello dei contratti assoggettati, invece, alle direttive comunitarie, provocando l’insorgere di inevitabili discriminazioni a discapito delle imprese della Comunità. Per evitare questo rischio, le due direttive di adattamento hanno modificato le soglie previste dalla precedente normativa comunitaria, uniformandole a quelle stabilite, per le diverse categorie di appalto, dal GPA.
Un secondo fondamentale settore di intervento è quello relativo alle regole in materia di trasparenza delle procedure, considerata la centralità di tali norme per ogni disciplina sugli appalti pubblici. Un procedimento trasparente si distingue, infatti, per la presenza di regole chiare e di mezzi idonei a far controllare che tali regole siano state rispettate. Le più interessanti modifiche, al riguardo, hanno interessato l’obbligo di motivazione, che vincola le entità appaltanti e che costituisce una fondamentale espressione del più generale obbligo di trasparenza.
In particolare, mentre la disciplina comunitaria precedente stabiliva che ogni offerente che avesse presentato un’offerta selezionabile, ma non vincitrice, e che ne avesse fatto richiesta, fosse informato del nome dell’aggiudicatario, il GPA prevedeva, per la medesima fattispecie, delle disposizioni più garantistiche per gli operatori economici.
Si comprende, infatti, come la semplice comunicazione del nominativo non fosse sufficiente, per l’operatore escluso, al fine di valutare la legittimità delle operazioni di gara.
Sulla base dell’articolo XVIII del GPA, è stata quindi introdotta una fondamentale modifica in forza della quale si è stabilito che l’ente appaltante debba comunicare, oltre al nome dell’aggiudicatario, le caratteristiche ed i vantaggi dell’offerta selezionata, quali il prezzo, i tempi di esecuzione o le caratteristiche tecniche. È, infatti, solo attraverso la conoscenza di questi elementi che l’operatore escluso è in grado di controllare la corrispondenza fra i requisiti dell’offerta vincitrice e le caratteristiche richieste dall’entità appaltante per affidare il contratto, convincendosi, finalmente, della legittimità dell’aggiudicazione.
Viene, inoltre, reso più rigoroso l’obbligo della comunicazione, ai candidati od offerenti richiedenti, dei motivi per cui l’ente appaltante abbia deciso di rinunciare all’aggiudicazione o di ripetere la procedura. Mentre la vecchia dizione, non fissando alcun termine, lasciava vago tale obbligo, la nuova dizione, invece, stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici informino ‘quanto prima’ gli operatori, precisando che tale adempimento debba essere fatto per iscritto qualora si riceva una richiesta in tal senso.
Significativa risulta, inoltre, la previsione di un dialogo tecnico fra amministrazioni aggiudicatrici ed operatori economici.
Entrambe le direttive prevedono, infatti, la possibilità che le amministrazioni accettino consulenze che possano essere utilizzate nella preparazione delle specifiche tecniche per un determinato appalto. Condizione imprescindibile rimane, tuttavia, la neutralità di tali consulenze rispetto al regime della piena concorrenza fra gli operatori economici interessati all’appalto.

2.2 L’aspetto patologico dell’applicazione del GPA; l’esigenza di preservare il ruolo delle Istituzioni comunitarie nella gestione delle relazioni internazionali.
Considerato il problema dell’adattamento dell’ordinamento comunitario al GPA, il secondo nucleo tematico di grande interesse è quello relativo alla patologia dei rapporti, ovvero alle ipotesi di violazione della disciplina sugli appalti pubblici.
Sulla scorta del principio romanistico secondo il quale l’esistenza di un diritto sarebbe subordinata alla possibilità di far valere tale diritto in giudizio, prima a livello comunitario, poi a livello internazionale con il GPA, sono stati introdotti dei meccanismi specifici a garanzia della corretta applicazione della disciplina sostanziale. Sono stati, infatti, previsti dei mezzi di soluzione delle controversie, siano esse di natura interindividuale o interstatale.
In relazione a quest’ultima tipologia, probabilmente il caso più interessante potrebbe essere quello del ricorso di una Parte del GPA, diversa dalla Comunità, contro la stessa CE per una presunta violazione dell’Accordo. Questa ipotesi verrebbe regolata dall’articolo XXII del GPA, il quale, più precisamente, effettua un rinvio alle disposizioni del Dispute Settlement Understanding (DSU), l’Intesa sulla soluzione delle controversie del sistema OMC. Quest’ultima disciplina dettagliatamente l’ipotesi di controversia interstatale, statuendo che, per prima cosa, si debba esperire un tentativo di conciliazione e che, qualora questo fallisca, si possa ricorrere al Dispute Settlement Body (DSB), l’Organo di soluzione delle controversie dell’OMC, il quale, a sua volta, potrà formulare raccomandazioni o decisioni in merito al caso.
In particolare, nell’eventualità in cui uno Stato, destinatario di una decisione, non adempia, in modo corretto e completo, a tale volontà, viene riconosciuto all’Organo il potere di autorizzare la sospensione di concessioni e di altri obblighi risultanti dall’Accordo.
In relazione a questo tipo di controversie, occorre considerare che, dei tre casi presentatisi fino al momento attuale, nessuno ha coinvolto la Comunità europea in veste di parte convenuta. Tuttavia, secondo l’opinione prevalente in dottrina, la Comunità tenderebbe a ricercare soluzioni amichevoli per comporre le eventuali controversie insorte, ad esempio preferendo la fase delle consultazioni a quella del ricorso al DSB.
Del resto, la predilezione, da parte della CE, per i mezzi amichevoli di composizione era emersa anche nell’ambito dei negoziati dell’Uruguay Round per la riforma del sistema di soluzione delle controversie, dove, infatti, la posizione più ‘diplomatica’ della Comunità si era opposta a quella ‘legalista’ degli Stati Uniti.
La motivazione di tale atteggiamento, lungi dall’essere meramente giuridica, sembra piuttosto avere un’origine politica, consistendo essa nell’esigenza di preservare il ruolo delle Istituzioni comunitarie nella gestione delle relazioni internazionali.
L’assoggettamento alle decisioni di un organo esterno, quale il DSB, emanate al fine di sanzionare il non rispetto, da parte della CE, dell’Accordo, potrebbe, infatti, avere l’effetto di mettere in discussione la capacità delle Istituzioni di rispettare quegli impegni internazionali che loro stesse hanno assunto nel momento della conclusione del GPA.
Nella stessa direzione, verrebbe spiegato anche il rifiuto, da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee, di riconoscere l’efficacia diretta delle norme degli accordi OMC, e, potenzialmente, dello stesso GPA. Infatti, negando gli effetti diretti a tali disposizioni, si impedirebbe ai singoli di invocare direttamente davanti ai giudici nazionali le disposizioni dell’Accordo, per far giudicare alla Corte, in via indiretta, tramite un rinvio pregiudiziale, o in via diretta, tramite un’azione di annullamento, la compatibilità di un atto comunitario di diritto derivato rispetto all’Accordo stesso.
Da un punto di vista politico, la negazione dell’efficacia diretta risulta essenziale in quanto impedisce che il giudizio della Corte si intrometta e decreti, eventualmente, l’incompatibilità degli atti di diritto derivato emanati dal Consiglio o dalla Commissione.
Se, dunque, risulta indiscusso il riconoscimento dell’obbligatorietà degli accordi, dall’altra parte, tuttavia, emerge con forza l’intenzione della Comunità di preservare il ruolo centrale e forte delle Istituzioni, e in primo luogo della Commissione e del Consiglio, nel gestire le relazioni internazionali.
L’eventuale riconoscimento dell’efficacia diretta o anche l’assoggettamento dell’ordinamento comunitario alle decisioni di un organo esterno potrebbero, infatti, avere l’effetto di ‘privare gli organi legislativi o esecutivi della Comunità del margine di manovra di cui dispongono gli organi analoghi delle controparti commerciali della Comunità (3) ’.

(1) Si tratta delle direttive 97/52/CE (in G.U.C.E. 28.11.1997, L 328, pp. 1 e ss) e 98/4/CE (in G.U.C.E. 4.3.1998, L 101, pp. 1 e ss). La direttiva 97/52/CE modifica le direttive 92/50/CEE, 93/36/CEE e 93/37/CEE relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione rispettivamente degli appalti pubblici di servizi, degli appalti pubblici di forniture e degli appalti pubblici di lavori. La direttiva 98/4/CE modifica la direttiva 93/38/CEE che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e di quelli che operano nel settore delle telecomunicazioni.
(2) In G.U.C.E 2.10.1995, C 256, pp. 4 e ss.
(3) Sentenza Repubblica Portoghese contro Consiglio dell’Unione europea, sentenza 23 novembre 1999, C 149/96, in Raccolta 1999, pp. I-8395 e ss, punto 46.

di Viviana Sorgi