Comunicato n. 22 dell’Autorita’ di Vigilanza sui LL.PP. del 18 gennaio 2002: “ancora chiarimenti alle soa in ordine alle modalità con cui procedere all’attestazione delle imprese”

30.01.2002

Nonostante i numerosi interventi chiarificatori dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici, non diminuiscono le difficoltà per le SOA nello svolgimento della loro attività di attestazione delle imprese che operano nel settore degli appalti pubblici, come dimostra la necessità sentita dall’ Autority di emettere un nuovo comunicato che desse seguito ad ulteriori quesiti posti in ordine alle modalità di attestazione.
Ebbene, l’Autority, chiamata ad intervenire in merito ai riflessi che l’assimilazione operata dal regime fiscale tra collaboratori assunti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e collaboratori dipendenti avrebbe potuto avere ai fini della dimostrazione del requisito di cui all’art. 18, comma 7, del D.P.R. n. 34/2000 (composizione dello staff tecnico), ha chiarito che tale assimilazione non può agire ai fini della dimostrazione del suddetto requisito “dato che la finalità della norma è quella di riconoscere, ai fini della redazione del progetto, solo ad imprese strutturate stabilmente una specifica abilitazione”.
L’Autorità di Vigilanza prosegue – rispondendo così ad altro quesito – sostenendo che la previsione di favore accordata alle imprese individuali e alle società di persone di considerare, ai fini della dimostrazione del requisito di cui all’art. 18, comma 10, del D.P.R. n. 34/2000, moltiplicata per cinque volte la retribuzione convenzionale INAIL del titolare o dei soci, non risulta estensibile ai collaboratori familiari delle imprese familiari, considerato che la stessa risulta essere espressamente riferita al titolare o ai soci dei su riportati tipi societari e, tra l’altro, “l’impresa familiare non configura, in nessun caso, un’ipotesi di società di persone rimanendo invece ferma la sua natura di impresa individuale”.
Un ulteriore quesito sottoposto all’attenzione dell’Autorità riguarda le modalità grazie alle quali dovrà procedersi alla valutazione dei lavori eseguiti in proprio dall’impresa, qualora questi ultimi non siano ancora conclusi alla data di stipula del contratto di attestazione. Ebbene, sul punto, l’Autority si è espressa affermando che ” i lavori eseguiti in proprio, non conclusi alla data di stipula del contratto di attestazione possono essere valutati sulla base di prescrizioni o indici ufficiali; gli importi presuntivamente calcolati potranno essere riscontrati sulla base della certificazione rilasciata dal direttore dei lavori e delle fatture, relative alla quantità di materiali acquistati, di importo proporzionale al quantitativo di lavori eseguiti.
Analogamente anche gli importi relativi a lavori di ristrutturazione potranno essere calcolati riferendosi ai parametri del CNT, CTP, CTS, per l’edilizia abitativa, eventualmente moltiplicati per 1,3 o 0,70 qualora si tratti rispettivamente di edilizia commerciale o industriale, opportunamente riscontrati dall’esame dell’anzidetta documentazione.”
Un nuovo intervento dell’Autorità è stato, inoltre, richiesto dalle SOA affinché quest’ultima si pronunciasse in merito alla possibilità di stipulare un contratto di rinnovo parziale dell’attestazione rilasciata, lasciando invariate le qualificazioni già riconosciute e le rispettive scadenze, per l’attestazione in nuove categorie, previa verifica dei requisiti riferiti al quinquennio antecedente la data del contratto di rinnovo parziale. La risposta dell’Autority parte dalla considerazione dell’articolo 15, comma 5 e 7, del D.P.R. n. 34/2000 che espressamente non prevedono un frazionamento o una “parzializzazione” dell’attestazione e, quindi, conclude negando categoricamente la possibilità di firmare un contratto per la qualificazione in nuove categorie conservando quelle già acquisite.
L’Autorità nel comunicato in esame, peraltro, fa osservare – rispondendo sempre ad un altro quesito postole – che non è possibile per una società controllata avvalersi del direttore tecnico dipendente della società controllante, in quanto ciò violerebbe senz’altro il requisito previsto dall’articolo 26, comma 3, del D.P.R. n. 34/2000 che prevede specificamente che ” I soggetti designati nell’incarico di direttore tecnico non possono rivestire analogo incarico per conto di altre imprese qualificate; essi producono una dichiarazione di unicità di incarico.”: è evidente, infatti, che nell’ipotesi sottoposta all’esame dell’Autorità non vi sarebbe il requisito necessario del distacco.
Particolare attenzione – nel comunicato n. 22/2002 – è stata data anche alla richiesta di chiarimenti, proveniente da alcune SOA e riguardante la possibilità di considerare soddisfatto il requisito della adeguata capacità finanziaria di imprese che al momento della chiusura del bilancio, verificata la presenza di un passivo, abbiano contestualmente deciso di ripianare totalmente il disavanzo riscontrato, provvedendo al versamento delle somme mancanti.
Ebbene, l’Autority ha – negando tale possibilità – richiamato l’attenzione sulla necessità che il requisito di cui all’art. 18, comma 2, lett. c), del D.P.R. n. 34/2000 sia “rispettato alla data del 31 dicembre, data che costituisce il momento di chiusura del bilancio”.
Il comunicato in esame, tra l’altro, ha fornito all’Autority l’occasione di illustrare in modo compiuto le modalità con cui le SOA dovranno procedere ad attestare le imprese appartenenti e non all’Unione Europea.
Per le imprese appartenenti all’Unione Europea, già il D.P.R. n. 34/2000 all’art. 3, comma 7, testualmente precisa che ” la qualificazione di cui al presente regolamento non è condizione obbligatoria per la partecipazione alle gare di appalto di lavori pubblici, nonché per l’affidamento dei relativi subappalti. Ai sensi dell’articolo 8, comma 11-bis, della legge per le imprese stabilite in altri Stati aderenti all’Unione europea l’esistenza dei requisiti prescritti per la partecipazione delle imprese italiane alle gare d’appalto è accertata in base alla documentazione prodotta secondo le normative vigenti nei rispettivi paesi. La qualificazione è comunque consentita, alle stesse condizioni richieste per le imprese italiane, anche alle imprese stabilite negli Stati aderenti all’Unione europea.”.
L’Autority, tuttavia, interviene a puntualizzare, innanzitutto, che le imprese di cui sopra allorché intendano comunque acquisire l’attestazione di qualificazione potranno avere la propria sede in uno Stato UE senza la necessità di assumere la “residenza” in Italia oppure di trasferirvi la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’attività (ex art. 25 della legge 218/1995), o di istituire una sede secondaria con rappresentanza stabile (ex art. 2506 c.c.), ed, inoltre, chiarisce che è possibile – sempre per le stesse imprese stabilite negli Stati aderenti all’Unione europea – documentare alla SOA i requisiti di ordine generale e quelli di ordine speciale, necessari per l’attestazione richiesta, con le stesse modalità e con la medesima documentazione che è ammessa per la qualificazione “in gara” – e, quindi, attraverso la documentazione rilasciata secondo le normative vigenti nei rispettivi paesi -.
Tali documenti sono, in particolare, ricavabili – per quanto attiene i requisiti di ordine generale – dall’art. 24, commi 2 e 3 della direttiva 93/37/CEE, mentre per i requisiti di ordine speciale rilevano i bilanci (depositati presso il registro professionale dello Stato di stabilimento), la documentazione scolastica e/o professionale del direttore tecnico ed i certificati concernenti i lavori eseguiti dall’impresa, ex art. 26 e 27 della direttiva 93/37/CEE.
Le imprese extracomunitarie, non rientrando nelle ipotesi tassativamente individuate dall’art. 3, comma 6 e 7, del regolamento di qualificazione, – secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 3, del D.P.R. n. 34/2000 -, devono possedere necessariamente l’attestazione di qualificazione rilasciata a norma del D.P.R. n. 34/2000.
Ebbene, al riguardo, l’Autorità sottolinea che queste imprese, al fine di ottenere l’attestazione, possono assumere indifferentemente o la residenza in Italia trasferendo la sede dell’amministrazione oppure l’oggetto principale dell’attività (ex art. 25 della legge), o ancora istituire in Italia una sede secondaria con rappresentanza stabile (ex art. 2506).
Al contrario, non è ritenuta sufficiente l’apertura di una semplice unità locale che non abbia le caratteristiche della sede secondaria.
E’ da richiamare, infine, l’attenzione sull’intervento dell’Autorità in merito ad una ipotesi particolare sottoposta alla sua attenzione: il caso in questione riguarda le modalità per ottenere la certificazione dei lavori eseguiti all’estero ed, in particolare, in paesi dove non esiste il Consolato Italiano o non si sia in grado di individuare un tecnico di fiducia dello stesso.
Sul punto, l’Autority afferma che “per i lavori eseguiti all’estero, per i quali il Consolato italiano dovrebbe procedere al rilascio della certificazione dei lavori, valgono le seguenti disposizioni:
– il tecnico di fiducia del consolato può essere il tecnico che ha diretto i lavori, a meno che non vi siano ragioni ostative;
– il valore attribuito al visto del Consolato è limitato a certificare la data e la veridicità delle firme sul documento;
– il certificato, può essere in lingua diversa da quella italiana, ma tradotto con traduzione giurata;
– il tecnico di fiducia può essere di nazionalità diversa da quella italiana;
– la retribuzione del tecnico deve essere a carico dell’impresa che richiede la certificazione, sul presupposto che non vi sono ragioni per porre l’onere in capo al Ministero degli Esteri;
– ove non esiste nel Paese né Consolato Italiano, né Ambasciata Italiana, l’Autorità, su richiesta dell’impresa che richiede la certificazione, richiederà al Ministero degli Esteri la sede diplomatica alternativa.”

a cura di Fulvia Giacco