Giustificazione e verifica delle offerte anomale nei pubblici appalti di lavori dopo la sentenza 27 novembre 2001 della Corte di giustizia.

22.05.2002

Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento delle Politiche Comunitarie. Circolare 1 marzo 2002, n. 3945.

La normativa italiana vigente in materia di appalti di lavori pubblici dedica alla disciplina delle offerte anomale l’art.21 comma 1 bis, della Legge 109/94, con cui lo Stato italiano ha inteso recepire il precetto comunitario di cui all’art.30 della direttiva 93/37/CE.

In questo contesto normativo la prassi seguita da molte stazioni appaltanti italiane, è stata quella di

escludere come anormalmente basse quelle offerte che presentavano un ribasso superiore alla soglia di anomalia basando la propria valutazione esclusivamente sulla base delle giustificazioni fornite contemporaneamente alle offerte stesse e relative solo al 75% dell’importo posto a base d’asta, senza chiedere alle imprese interessate quelle precisazioni e senza concedere loro la facoltà di fornire ulteriori giustificazioni sugli aspetti della loro offerta sui quali era sorto un sospetto di anomalia.

Ebbene, come già ricordato in una precedente Segnalazione riportata su questa rivista con sentenza del 27.11.2002 la Corte di Giustizia aveva censurato un comportamento siffatto in quanto frutto di una interpretazione dell’art.21 comma 1 bis della Legge 109/94 difforme rispetto al dettato dell’art.30, n.4 della Direttiva 93/37/CE, il quale – sottolineava la Corte – presuppone necessariamente una procedura di verifica in contraddittorio delle offerte che sono state considerate anormalmente basse dall’amministrazione aggiudicatrice, imponendo a quest’ultima l’obbligo, dopo aver preso conoscenza di tutte le offerte e prima di decidere di aggiudicare l’appalto, di chiedere anzitutto per iscritto precisazioni sugli elementi dell’offerta sospettata di anomalia che abbiano certamente dato a luogo a dubbi e di valutare questa offerta in relazione alle giustificazioni fornite dall’offerente interessato in risposta a tale richiesta.

In particolare la Corte di Giustizia europea – cui la questione pregiudiziale era stata rimessa nel giudizio tra la Lombardini Spa e l’ANAS, Ente nazionale per le strade, ai sensi dell’art.177 del Trattato CE – con sentenza del 27 novembre 2001 C-285/99 e C- 286/99, evidenziava la incompatibilità della normativa italiana con quella comunitaria sotto due profili:

a) la possibilità dell’autorità aggiudicatrice di respingere come anormalmente bassa una offerta sulla base delle sole giustificazioni preventive senza che il concorrente, la cui offerta sia risultata anomala, abbia potuto far valere tutte le giustificazioni che ritiene appropriate;

b) la previsione di una elencazione tassativa dei tipi di giustificazione.

Più precisamente, la Corte sebbene abbia ritenuto compatibili con la direttiva l’obbligo di presentare giustificazioni a corredo dell’offerta (le cd. giustificazioni preliminari), ha ritenuto legittimo tale sistema a condizione che il definitivo giudizio di anomalia si formi e sia espresso dopo un ulteriore ed effettivo confronto con l’Impresa, in cui il concorrente è chiamato a far valere utilmente e in contraddittorio, il suo punto di vista su ciascuno degli elemtni di prezzo proposti.

Pertanto, in seguito alla richiamata pronuncia, comportamenti delle amministrazioni difformi dai principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria avrebbero dovuto esporre lo Stato italiano al rischio di provvedimenti di condanna.

Ciò nonostante la perseverante noncuranza dei collegi giudicanti italiani (cfr. sentenza TAR Lazio 11.04.2002 n.3130) ha probabilmente ispirato la Circolare in parola con la quale il Ministro per le Politiche Comunitarie interviene a ribadire la assoluta vincolatività delle decisioni della Corte di Giustizia pronunciate nell’ambito di una procedura pregiudiziale per l’interpretazione del diritto comunitario sia per i giudici che per le pubbliche amministrazioni: la pronuncia della Corte impone di disapplicare la normativa interna nelle parti in cui la stessa si presenta in contrasto con il diritto comunitario e comporta l’applicazione diretta delle prescrizioni europee in conformità al principio della primazia e dell’efficacia diretta delle norme comunitarie.

a cura di Dover Scalera