In ipotesi di danno al patrimonio sociale va esclusa la giurisdizione della Corte dei conti, dovendosi affermare la giurisdizione del giudice ordinario nel caso di responsabilità degli amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico. Tali società, infatti, non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.
Il Codice Civile dedica alla società per azioni a partecipazione pubblica solo alcune scarne disposizioni, oggi contenute essenzialmente nell’art. 2449 cc.. Siffatte disposizioni non valgono a configurare uno statuto speciale per dette società e comunque non investono il tema della responsabilità di detti organi, che resta quindi disciplinato dalle ordinarie norme previste dal Codice a questo riguardo, com’è confermato dalla immutata indicazione del secondo comma del citato art. 2449, a tenore del quale anche i componenti degli organi amministrativi e di controllo di nomina pubblica «hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall’assemblea».
La scelta della Pubblica Amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.
Dall’identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente perciò discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini – contemplati dagli artt. 2392 e segg. del c. c. – in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.
Ai fini dell’individuazione del giudice competente a pronunciarsi sugli atti di mala gestio da parte degli organi di società a partecipazione pubblica va approfondita la questione se il danno subito dal soggetto pubblico partecipante alla società sia diretto, o meramente riflesso, rispetto a quello arrecato al patrimonio sociale. Sul punto, i Giudici del Supremo consesso affermano come non si possa «prescindere dalla distinzione tra la posizione della società partecipata, cui eventualmente fa capo il rapporto di servizio instaurato con la pubblica amministrazione, e quella personale degli amministratori (nonché dei sindaci o degli organi di controllo della stessa società) i quali, ovviamente, non s’identificano con la società, sicché nulla consente di riferire loro, sic et simpliciter, il rapporto di servizio di cui la società medesima sia parte».
In tale linea di ragionamento, dunque, viene in rilevo la distinzione «tra la responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere nei confronti della società (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dagli artt. 2393 e segg. e, per le società a responsabilità limitata, dal primo, terzo, quarto e quinto comma dell’art. 2476 c.c.) e la responsabilità che essi possono assumere direttamente nei confronti di singoli soci o terzi (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dall’art. 2395 e, per le società a responsabilità limitata, dal sesto comma del citato art. 2476).
In riferimento a tale ultima ipotesi, è pacifico che la configurabilità dell’azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima, non incontra particolari ostacoli.
Tipico esempio di questa situazione è il danno all’immagine dell’ente pubblico in relazione al quale non viene in rilievo alcun dubbio circa la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti per la condanna di risarcimento del danno arrecato da atti di mala gestio compiuti da organi della società partecipata. Tale danno, infatti, anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso (Cass. civ., Sez. Unite, 02/04/2007, n. 8098).
Di contro, ad opposta conclusione si deve invece pervenire nel caso in cui l’azione sia proposta per reagire ad un danno cagionato al patrimonio della società.
In tali circostante, infatti, oltre a non essere «configurabile alcun rapporto di servizio tra l’ente pubblico partecipante e l’amministratore (o componente di un organo di controllo) della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall’atto di mala gestio» non sussiste neppure «…un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata società sia socio».
La ben nota distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale dell’una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l’illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell’ente: patrimonio che è e resta privato.
Se è certo vero che il danno sofferto dal patrimonio della società è per lo più destinato a ripercuotersi anche sui soci, incidendo negativamente sul valore o sulla redditività della loro quota di partecipazione, va altresì ricordato come «il sistema del diritto societario impone di tener ben distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo) da quelli che siano il mero riflesso di danni sofferti dalla società».
In tale linea di ragionamento, pertanto, va rilevato che «dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del socio e che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società, solo il socio stesso è legittimato a dolersi» mentre «dei danni sociali, invece, solo alla società compete il risarcimento, di modo che per il socio anche il ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è prodotto il suo pregiudizio» (in tal senso Cass. 5 agosto 2008, n. 21130; 3 aprile 2007, n. 8359; 27 giugno 1998, n. 6364; e 28 febbraio 1998, n. 2251)
Il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti: perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (appunto la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci – pubblici o privati – i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nell’unico patrimonio sociale.
L’esclusione della giurisdizione del giudice contabile per l’azione di risarcimento di danni cagionati al patrimonio della società partecipata da un ente pubblico non determina alcuna lacuna per la tutela dell’interesse pubblico connesso a tale detrimento patrimoniale.
Infatti, nell’attuale disciplina della società azionaria – ed in misura ancor maggiore in quella della società a responsabilità limitata – l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, in caso di mala gestio imputabile agli organi della società, non è più monopolio dell’assemblea e non è più, quindi, unicamente rimessa alla discrezionalità della maggioranza dei soci.
Una minoranza qualificata dei partecipanti alla società azionaria (art. 2393-bis c.c.) ed addirittura ciascun singolo socio della società a responsabilità limitata (art. 2476, terzo comma, c.c.) sono infatti legittimati ad esercitare tale azione (anche nel proprio interesse, ma a beneficio della società) eventualmente sopperendo all’inerzia della maggioranza.
Ne consegue che, trattandosi di società a partecipazione pubblica, il socio pubblico è di regola in grado di tutelare egli stesso i propri interessi sociali mediante l’esercizio delle suindicate azioni civili. Se ciò non faccia e se, in conseguenza di tale omissione, l’ente pubblico abbia a subire un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, «è sicuramente prospettabile l’azione del procuratore contabile nei confronti…di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia perciò pregiudicato il valore della partecipazione». Ed è ovvio che, con riguardo ad tale evenienza, sia «configurabile la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di chi, all’interno dell’ente pubblico partecipante, ometta di adottare, essendo chiamato a farlo, un comportamento volto all’esercizio da parte del socio – pubblica amministrazione – dell’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, con conseguente danno della società partecipata e, dunque, dell’ente pubblico partecipante».