Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 14 – Annullamento dell’aggiudicazione e responsabilità patrimoniale dell’Amministrazione

07.04.2010

La decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 14, offre lo spunto per una breve panoramica sullo “stato dell’arte” della giurisprudenza amministrativa in tema di identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità per lesione di interessi legittimi, nonché in materia di criteri per la determinazione del pregiudizio sofferto dalla parte privata, con specifico riferimento alla c.d. “perdita di chance”.

La vicenda controversa riguardava l’impugnazione da parte di una impresa del bando di gara all’interno del quale erano stati fissati dei requisiti soggettivi per a partecipazione eccessivamente restrittivi e, quindi, in contrasto con i generali canoni di ragionevolezza e proporzionalità. Nelle more della definizione del giudizio, peraltro, il contratto era stato affidato ed integralmente eseguito.

Il Consiglio di Stato, una volta accertata la fondatezza della pretesa azionata in primo grado dalla ricorrente, deve necessariamente valutare la domanda di risarcimento per equivalente, essendo ormai preclusa in punto di fatto la tutela in forma specifica, stante l’avvenuta esecuzione dei lavori.

Preliminarmente, la Sez. IV riafferma l’ormai prevalente orientamento (in questo senso si vedano Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2008 n. 5124; Sez. IV, 29 luglio 2008 n. 3723; Sez. VI, 19 giugno 2008 n. 3059; 23 giugno 2006 n. 3981; 9 novembre 2006 n. 6607; 9 marzo 2007 n. 1114; IV, 6 luglio 2004 n. 5012; 10 agosto 2004 n. 5500) secondo il quale la responsabilità della pubblica Amministrazione per attività illegittima va inquadrata nell’alveo della responsabilità aquiliana, in considerazione della maggiore corrispondenza degli elementi costitutivi di tale istituto con quelli che vengono definiti i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e della forma della loro tutela (anche processuale).

In questa prospettiva, il Consiglio di Stato affronta il profilo della prova dell’elemento soggettivo, in passato oggetto di oscillazioni giurisprudenziale relativamente alla necessità (o meno) per la parte privata di provare la sussistenza (almeno) della colpa in capo all’Amministrazione pubblica, non essendo sufficiente il solo accertamento della illegittimità dell’atto impugnato.

La Sez. IV aderisce all’orientamento maggioritario secondo il quale non è addossato uno specifico onere probatorio: anche in assenza di una espressa previsione normativa dal quale far discendere la presunzione iuris et de iure circa la prova della colpa dell’Amministrazione, il Consiglio di Stato ritiene sufficiente fare ricorso alle comuni regole di esperienza ed alla presunzione semplice ex art. 2727 c.c.. desumibili dalla singola controversia per ritenere provato tale profilo.

Per converso, è l’Amministrazione a dovere fornire precisi indici rivelatori di un errore scusabile, idoneo come tale ad escludere la colpa. In questo senso, possono rilevare circostanze come il contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione di una norma, la non chiara formulazione di norme recentemente introdotte, la notevole complessità dei fatti oggetto di causa, l’influenza determinante di condotte di soggetti terzi, l’invalidità derivata per effetto di una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma presupposta all’atto impugnato. Sotto questo ultimo profilo, ed in considerazione delle possibili ragioni valide a costituire errore scusabile, non manca di rilevare la Sez. IV come in molti casi tale ordine di valutazioni resti assorbita nel (presupposto) giudizio sulla interpretazione ed applicazione della conferente regula iuris, rimesso al pieno apprezzamento del Giudice, in base al noto principio iura novit curia.

Per quanto riguarda il profilo del risarcimento del danno, la decisione segnalata si occupa di precisare i limiti entro i quali può trovare riconoscimento il danno c.d. da perdita di chance. Secondo un più risalente orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, V, 8 luglio 2002 n. 3796; Cons. Stato, IV, 6 luglio 2004 n. 5012), infatti, questo veniva quantificato nella misura forfetaria del 10% dell’importo offerto, considerato sostanzialmente equivalente all’utile non percepito dalla impresa per effetto della mancata aggiudicazione.

Successivamente, tuttavia, tale metodo di commisurazione del danno è stato sottoposto a revisione da parte del Giudice Amministrativo, sulla scorta di alcune considerazioni: in particolare, è stato rilevato come non sempre il margine di utile sia pari al 10%, come il danno da perdita di chance debba tenere conto anche delle probabilità che l’impresa avrebbe avuto di aggiudicarsi effettivamente la gara (Cons. Stato, VI, 8 maggio 2002 n. 2485), dell’effettivo impiego o meno delle risorse impegnate per l’esecuzione del contratto in altri appalti (Cons. Stato, V 24 ottobre 2002 n. 5860; VI, 9 novembre 2006 n. 6607).

Nella concreta fattispecie dedotta in giudizio la Sez. IV ha applicato i criteri appena descritti: partendo dal presupposto che l’annullamento derivante dall’accoglimento delle censure articolate dal ricorrente avrebbe implicato la completa rinnovazione della gara, il Consiglio di Stato ha assunto che alla nuova procedura avrebbero partecipato almeno cinque imprese. In conseguenza di quanto precede, la perdita di chance è minore rispetto al caso di una impresa che – per effetto dell’accoglimento del ricorso – avrebbe ottenuto la sicura aggiudicazione dell’appalto. E, in effetti, il Collegio ha quantificato il danno nella misura del dell’utile di impresa, dovendo necessariamente presumere le stesse possibilità di aggiudicarsi la gara per ogni concorrente. L’importo, peraltro, è stato ulteriormente ridotto, atteso che non era stato provato che le risorse messe a disposizione dall’impresa per l’appalto fossero rimaste inutilizzate (e, per converso, utilmente impiegate in altri lavori).

a cura di Filippo Degni


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