Corte costituzionale, 4 dicembre 2009, n. 322 Giudizio di legittimità costituzionale in via principale sollevato dalla Regione Emilia Romagna avverso lo Stato. Norme impugnate e parametri di riferimento: La Regione Emilia-Romagna ha impugnato l’art. 30, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), in riferimento agli artt. 114, 117, quarto e sesto comma, e 118, primo e quarto comma, della Costituzione nonché al principio di legalità sostanziale. L’art. 30, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, dispone che «per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità a norme tecniche europee ed internazionali, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica, anche ai fini dell’eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività»; prevede, altresì, che «le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l’attualità e la completezza della certificazione», restando «salvo il rispetto della disciplina comunitaria». Il comma 2 stabilisce che detta disposizione «è espressione di un principio generale di sussidiarietà orizzontale ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione», precisando che «resta ferma la potestà delle Regioni e degli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela». Il comma 3 del citato art. 30 prevede, infine, che «con regolamento, da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati le tipologie dei controlli e gli ambiti nei quali trova applicazione la disposizione di cui al comma 1, con l’obiettivo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli, nonché le modalità necessarie per la compiuta attuazione della disposizione medesima». Secondo la ricorrente far ricadere la materia dei controlli in materia di certificazioni nell’ambito dei livelli essenziali delle prestazioni è erroneo, in quanto manca il riferimento ad una «prestazione» della quale sarebbe stato fissato il livello essenziale di erogazione. Si tratta, invece, di una materia rientrante nell’ambito delle attività economiche per cui appare illegittima l’attribuzione allo Stato della competenza legislativa in materia. Spetta, infatti, alle Regioni identificare i casi ed i motivi per i quali l’autorità pubblica deve intervenire, allo scopo di valutare legittimità ed appropriatezza dello svolgimento da parte degli enti certificatori delle funzioni ad essi attribuite. L’art. 118, primo e quarto comma, Cost., ed il principio di sussidiarietà orizzontale permetterebbero, inoltre, di attribuire a soggetti privati lo svolgimento di funzioni di interesse generale, non di sottrarre «agli enti responsabili, costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.) […] la responsabilità ultima della funzione amministrativa e della cura degli interessi pubblici». La norma impugnata riguarda, inoltre, l’attività delle imprese, quindi una materia di competenza regionale, per cui si configura la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., dovendo ritenersi illegittima la previsione della fissazione della disciplina mediante un regolamento statale, non essendo evocabile la competenza dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. La previsione di una disciplina regolamentare sarebbe, infine, illegittima anche in quanto risulterebbe violato il principio di legalità sostanziale, nonché quello di leale collaborazione a fronte del fatto che si prevede l’acquisizione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni, anziché dell’intesa. L’art. 30, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008, realizzerebbe, infatti, «una totale delegificazione, senza stabilire regola alcuna della materia, e senza individuare neppure l’ambito nel quale il regolamento dovrebbe intervenire, né quali norme legislative in quali settori dovrebbero essere abrogate a seguito dell’emanazione del regolamento», addirittura riservando a quest’ultimo l’identificazione degli «ambiti in cui il vago principio di cui al comma 1 si applica». Argomentazioni della Corte: La Corte in via preliminare osserva che l’espressione “certificazione ambientale” contenuta nella disposizione impugnata rinvia tra l’altro agli schemi di certificazione ambientale disciplinati dal Regolamento (CE) 19 marzo 2001 n. 761/2001 ed al Regolamento (CE) 17 luglio 2000 n. 1980/2000, i quali hanno configurato strumenti di prevenzione, di miglioramento ambientale e di comunicazione, che, rispettivamente, assicurano alle imprese un vantaggio in termini di credibilità, agevolazioni e semplificazioni, e mirano ad incentivare la presenza sul mercato di prodotti con minore impatto ambientale. L’espressione “certificazione di qualità”, pure recata dalla disposizione censurata, è riferibile, a sua volta, alle molteplici forme di attestazione della conformità di un prodotto, servizio o sistema di gestione aziendale a requisiti di qualità di carattere cogente ovvero volontario, che implicano una verifica dell’osservanza di norme o regole tecniche. Si tratta, in tutti i casi, di assicurare che tali verifiche siano congrue rispetto ai molteplici scopi per i quali sono previste, relativi ad ambiti plurimi e diversi, e che siano realizzate in modo tecnicamente ineccepibile, professionalmente rigoroso, efficace ed efficiente, così da garantire il valore e la credibilità dei risultati, generando la massima fiducia nel mercato, ma anche contenendo i costi ed i tempi per il loro ottenimento entro limiti accettabili. La lettera della norma rende, dunque, chiaro che essa mira a realizzare, ad un tempo, la semplificazione degli adempimenti, gravanti sulle imprese, strumentali al conseguimento delle certificazioni nella stessa previste, e la garanzia della verifica della effettiva conformità del prodotto, servizio o sistema di gestione aziendale fornito dalle imprese ai requisiti minimi di qualità fissati da specifiche norme o regole tecniche europee ed internazionali. Siffatto obiettivo è stato realizzato, come è esplicitato anche nella Relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 112 del 2008, stabilendo il principio che «per le certificazioni ambientali o di qualità, rilasciate dai soggetti certificatori accreditati, i controlli degli enti certificatori sostituiscono quelli degli organi amministrativi», affidando inoltre le suindicate verifiche ad appositi organismi dotati di specifici requisiti. Il contenuto della disciplina in esame rende chiara l’infondatezza della tesi della ricorrente, secondo la quale la norma impugnata riguarderebbe materie «di interesse economico, tutte di competenza regionale». La locuzione «interesse economico» (e quella «sviluppo economico»), come questa Corte ha affermato, non vale, infatti, a configurare una materia spettante alla competenza legislativa regionale di tipo residuale, ma costituisce una espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di materie, attribuite sia alla competenza statale che a quella regionale (sentenze n. 63 del 2008, n. 430 del 2007 e n. 165 del 2007). Inoltre, neppure è configurabile una materia «impresa», disgiunta dal settore nel quale la stessa opera e che possa, in quanto tale, ritenersi attribuita alla competenza delle Regioni (sentenza n. 63 del 2008). La disciplina è, invece, riconducibile alla materia «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», attribuita dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, apparendo corretta la autoqualificazione in tal senso contenuta nella medesima, sebbene priva di efficacia vincolante (sentenze n. 1 del 2008 e n. 430 del 2007). Al riguardo, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto» (sentenze n. 168 e n. 50 del 2008 e n. 387 del 2007). Siffatto titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005 e n. 423 del 2004) e con esso è stato attribuito «al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenza n. 134 del 2006). Si tratta, quindi, come anche questa Corte ha precisato, non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenza n. 282 del 2002). In applicazione di siffatti principi, la disciplina in questione va ricondotta all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Pertanto, ne deriva l’infondatezza della questione, sotto tutti i profili, e, vertendosi nell’ambito di una materia di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi del sesto comma di detta norma, ad esso spetta anche la potestà normativa secondaria, con la naturale conseguenza della attribuzione del potere regolamentare. Decisione della Corte: La Corte dichiara la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133, promossa, in riferimento agli artt. 114, 117, quarto e sesto comma, e 118, primo e quarto comma, della Costituzione, ed al principio di legalità sostanziale. Giurisprudenza richiamata: – Sulla natura trasversale dei “ livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”: Corte cost., sentt. nn. 168 e n. 50 del 2008 , 387 del 2007, 134 del 2006 e 282/2002: – Sulla nozione di interesse economico: Corte Cost. sent. nn. 63 del 2008, n. 430 del 2007 e n. 165 del 2007.
Il decreto legge 112/2008 al vaglio della Corte costituzionale Corte costituzionale, 4 dicembre 2009, n. 322
09.04.2010