Sulla possibilità di valutare d’ufficio la giurisdizione in sede d’appello e sulla giurisdizione ex art. 34 Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 4

30.08.2005

L’Adunanza Plenaria, interrogata circa la possibilità per il giudice d’appello di procedere alla valutazione della giurisdizione ha richiamato le diverse interpretazioni che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha elaborato in ordine alla corretta interpretazione dei primi due commi dell’art. 30 della legge n. 1034 del 1971, per i quali «il difetto di giurisdizione deve essere rilevato di ufficio» e «avverso le sentenze che affermano o negano la giurisdizione è ammesso ricorso al Consiglio di Stato». Per alcune decisioni (Ad. Plen., 25 ottobre 1980, n. 42; Sez. VI, 13 gennaio 1983, n. 12; Sez. VI, 21 marzo 1998, n. 380; Sez. VI, 20 maggio 1995, n. 479; Sez. IV, 4 febbraio 1999, n. 112; Sez. IV, 21 gennaio 2005, n. 99), finché non risulti emanata una sentenza regolatrice della Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato come giudice d’appello ha titolo a sindacare d’ufficio in ogni ipotesi la sua giurisdizione (e della complessiva istituzione nella quale il Consiglio di Stato fa parte insieme ai T.A.R.). A conclusioni di segno opposto è pervenuto, invece, un ulteriore indirizzo che, richiamando i limiti insuperabili del giudicato, ritiene interdetto qualunque esame del punto concernente la giurisdizione in sede di appello, in assenza di una specifica censura avanzata dalla parte contro la decisione, espressa o implicita, sulla giurisdizione (Sez. IV, 14 aprile 1998, n. 621; Sez. VI, 7 luglio 2003, n. 4028; Sez. IV, 14 aprile 2004, n. 2105; Sez. IV, 18 maggio 2004, n. 3186). Un ultimo indirizzo – collocandosi in una posizione mediana – afferma, invece, che il giudice d’appello può procedere alla valutazione di ufficio della giurisdizione solo in presenza di una statuizione implicita: le statuizioni esplicite sulla giurisdizione richiederebbero, invece, apposita impugnativa (Sez. VI, 10 aprile 2002, n. 1039; Sez. VI, 15 dicembre 2003, n. 8212). L’AP ha ritenuto di aderire a tale orientamento c.d. “intermedio” secondo cui il giudice d’appello può procedere alla valutazione di ufficio della giurisdizione in presenza di una statuizione implicita, richiedendo, invece, le statuizioni esplicite sulla giurisdizione un’apposita impugnativa (v. in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 10 aprile 2002, n. 1039; Sez. VI, 15 dicembre 2003, n. 8212). Questa posizione trova il suo fondamento nella considerazione che la regola del primo comma dell’art. 30 della legge n. 1034 del 1971, in ordine alla rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione da parte del giudice amministrativo, va posta in rapporto con il secondo comma dello stesso articolo, secondo il quale «avverso le sentenze che affermano o negano la giurisdizione è ammesso ricorso al Consiglio di Stato». Si desume, infatti, da una lettura coordinata di tali disposizioni che, nelle ipotesi in cui il TAR abbia espressamente pronunciato sulla giurisdizione, la relativa statuizione può essere conosciuta dal giudice di appello solo in presenza di apposito gravame di parte. Il giudice d’appello resta, invece, legittimato ad intervenire quando il giudice di primo grado ha statuito, solo in forma implicita, sulla giurisdizione attraverso l’adozione di una pronuncia di merito o di carattere processuale che non avrebbe, però, potuto essere adottata se non da un organo provvisto di potestà giurisdizionale.
L’ AP, quindi, affronta il diverso problema consistente nello stabilire se la lite avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno sopportato dalla parte privata in conseguenza dello spossessamento dell’area di sua proprietà sulla quale è stata realizzata l’opera pubblica durante il periodo nel quale il provvedimento di occupazione ha esplicato i suoi effetti possa essere o meno conosciuta dal giudice amministrativo. Si tratta cioè di stabilire se tale lesione del diritto di proprietà vada ricondotta all’esplicazione del pubblico potere o a un mero comportamento (nella seconda evenienza, in applicazione dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, dovrebbe essere declinata la giurisdizione del giudice amministrativo a favore di quella del giudice ordinario).
Secondo l’Adunanza Plenaria la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste. L’AP infatti ricorda che l’art. 34 del decreto legislativo n. 80 (da leggere in stretta connessione con il successivo art. 35, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998, novellato quest’ultimo dall’art. 7 della legge 205 del 2000) ha dato vita ad una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo chiamata ad accogliere nel suo seno ogni controversia tra il privato e la pubblica amministrazione, insorta nell’area dell’urbanistica e dell’edilizia e relativa – oltre che ad interessi legittimi – a diritti soggettivi (di regola al diritto di proprietà, ai diritti reali, al possesso). E ciò sia nell’ipotesi in cui il vulnus recato al diritto soggettivo debba farsi risalire alla esplicazione dei pubblici poteri, sia nell’ipotesi in cui la lesione vada ricondotta, invece, a comportamenti invasivi sine titulo nella sfera del privato (anche se in vista, di regola, del perseguimento di finalità pubblicistiche, pur con mezzi impropri). Di ciò si trae sicura conferma dalla lettura dell’art. 34, nel quale si parla di lesioni arrecate a tali diritti tanto da «atti e provvedimenti» (e, perciò, dalla esplicazione di poteri autoritativi), quanto da «comportamenti» che si manifestino come iniziative disciplinate dal diritto comune (e di regola come meri fatti illeciti, fonti di responsabilità aquiliana). Conformandosi ad una tale chiave di lettura, la giurisprudenza, sin dall’indomani della emanazione della norma citata, ha ritenuto di spettanza del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, la cognizione di interventi invasivi sine titulo nella proprietà privata, come meri «comportamenti»: vie di fatto, iniziative procedimentali abnormi rivolte ad incidere nella sfera del soggetto privato (con utilizzazione in tali ipotesi anche di azioni possessorie). La Corte costituzionale – condividendo la linea interpretativa dell’art. 34 seguita dalla giurisprudenza, sulla riconducibilità alla giurisdizione amministrativa anche dei fatti lesivi non riferibili all’esplicazione del potere – con la sentenza n. 204 del 2004 ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma attributiva della giurisdizione al giudice amministrativo in relazione alle lesioni di diritti soggettivi riferibili ai detti comportamenti materiali ed ha disposto, espressamente, lo scorporo della detta espressione dal testo dell’art. 34 citato. Sono state conservate, così, alla giurisdizione del giudice amministrativo le liti relative a diritti e interessi da riportare alla esplicazione del potere: una soluzione alla quale la Corte è approdata nel presupposto che la Costituzione consenta di derogare alla clausola generale di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo (diritti – interessi) solo quando i diritti – tutelati innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva – risultino vulnerati dalla pubblica amministrazione come “autorità” (e si tratti, perciò, di diritti soggettivi sui quali incida il pubblico potere). Alla luce di ciò la Plenaria ritiene che vada considerata come controversia riconducibile all’esplicazione del pubblico potere – nel senso in cui ne parla l’art. 34, in contrapposizione ai «comportamenti» materiali – qualunque lite suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate, in area urbanistica, dalla esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o (come nella specie) per sopraggiunta inefficacia ex lege. L’AP, infine, ritiene che si debba disattendere l’impostazione (di chiara ispirazione processuale) rivolta a prospettare che la giurisdizione esclusiva (e, perciò, anche quella in materia di urbanistica e di edilizia) presupporrebbe sul piano costituzionale ad validitatem la congiunta deduzione, nello stesso processo, sia di diritti che di interessi legittimi (situazione, quest’ultima, che si realizzerebbe, ad es., nella ipotesi di pretesa risarcitoria dedotta, in via consequenziale, dopo l’annullamento del provvedimento degradatorio e non anche quando l’atto e i suoi effetti siano venuti meno ex lege). Se è vero, infatti, che in più punti della sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale si rinvengono espressioni che sembrerebbero rivolte a condizionare la legittimità costituzionale delle norme, attributive alla giurisdizione amministrativa esclusiva in “particolari materie”, alla circostanza che la materia stessa coinvolga diritti soggettivi sui quali sono chiamati ad interferire poteri pubblicistici resta, tuttavia, assolutamente estranea alla medesima sentenza della Corte l’affermazione secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo comporti, immancabilmente, l’instaurazione di una concreta controversia implicante la congiunta deduzione in causa di interessi legittimi e diritti soggettivi (situazione che si avvera nella sola ipotesi di impugnazione degli atti di esercizio del potere e dopo l’annullamento dell’atto, con pretese consequenziali rivolte a denunciare vulnera incidenti sulle legittimanti e risorte posizioni di diritti soggettivi).
a cura di Laura Lamberti