Con atto del 21 giugno 2004, l’associazione senza scopo di lucro Advocaten voor de Wereld ha proposto un ricorso contro la legge 19 dicembre 2003 con la quale l’ordinamento belga ha recepito la decisione-quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri. Per quello che interessa la sentenza in oggetto, la decisione-quadro di cui sopra introduce il mandato d’arresto europeo, e cioè, secondo l’art. 1, par. 1, “una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà”. Secondo la decisione-quadro, inoltre, gli Stati membri non possono condizionare la consegna al classico requisito della doppia incriminazione per tutti i reati, ma solo per quelli che non figurano nell’elenco di cui all’art. 2, par. 2 della decisione-quadro. In esso sono menzionati reati particolarmente gravi, quali la partecipazione ad un’organizzazione criminale, il terrorismo, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento sessuale dei bambini, la pornografia infantile ecc.
Il ricorrente lamentava la violazione, da parte della decisione-quadro, dell’art. 34, par. 2, lett. b) TUE, in quanto essa non è rivolta, come invece tale tipologia di atti dovrebbe, al ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (punto 11). Inoltre, quand’anche la decisione-quadro in oggetto rientrasse nello scopo indicato da detto art. 34, l’Advocaten voor de Wereld sosteneva che, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 29, primo comma, terzo trattino e 31, par. 1, lett. e) TUE, le misure di ravvicinamento, e dunque le decisioni-quadro, in materia penale possono essere adottate solo entro i limiti indicati dalla suddetta lett. e), e segnatamente “per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni, per quanto riguarda la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti” (punto 25). Si deve poi considerare – aggiungeva il ricorrente – che la materia dell’estradizione, che il mandato d’arresto europeo è destinato a sostituire, era regolata da un accordo e, dunque, il Consiglio avrebbe dovuto fare ricorso ad uno strumento della stessa natura, vale a dire le convenzioni previste dall’art. 34, par. 2, lett. d) TUE (punto 26). Il ricorrente, infine, affermava la violazione da parte della decisione-quadro in parola dei principi di legalità in materia penale, di eguaglianza e di non discriminazione: il primo, in quanto il contenuto dei reati la consegna relativa ai quali non può essere subordinata, da parte degli Stati, al requisito della doppia incriminazione, non è sufficientemente chiaro e preciso; i secondi, in quanto la decisione-quadro obbligherebbe gli Stati a non opporre la doppia incriminazione solo per taluni reati, e non per altri, senza un’obiettiva e ragionevole giustificazione (punto 12 s.). Con decisione del 13 luglio 2005, l’Arbitragehof belga ha chiamato in causa la Corte di giustizia, chiedendole se la decisione-quadro fosse illegittima alla luce degli artt. 34 e 6 TUE, quest’ultimo in quanto garantisce i principi di cui il ricorrente ipotizzava la violazione.
Quanto al primo motivo di lagnanza, la Corte ritiene, confortata peraltro dalle conclusioni dell’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer (punto 48 ss. delle conclusioni), che il provvedimento in questione rientri nelle finalità indicate dall’art. 34, par. 2, lett. e) TUE, dacché “[i]l reciproco riconoscimento dei mandati di arresto spiccati da diversi Stati membri in conformità al diritto dello Stato emittente interessato richiede il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri” (punto 29). D’altra parte – sostiene la Corte – “nulla consente di concludere che il ravvicinamento […] mediante l’adozione di decisioni quadro” riguardi unicamente i settori indicati dall’art. 31, par. 1, lett. e) TUE (punto 32). Infatti, la decisione-quadro si basa sull’art. 31, par. 1, lettere a) e b) TUE il quale non indica esplicitamente quali strumenti il Consiglio debba adottare per perseguire gli scopi ivi indicati (punto 34). Inoltre, lo stesso art. 34 TUE, da una parte, si esprime in termini generali riguardo agli strumenti a disposizione del Consiglio (punto 35) e, dall’altra, non opera una “distinzione relativa ai tipi di atti che possono essere adottati in funzione della materia su cui verte l’azione comune nel settore della cooperazione penale” (punto 36), né stabilisce un ordine di priorità tra i diversi strumenti elencati (punto 37). La circostanza che al Consiglio non sia preclusa l’adozione di decisioni-quadro anche fuori dalle materie indicate dall’art. 31, par. 1, lett. e) TUE sarebbe, secondo la Corte, confermata dalla lett. c) della stessa disposizione, la quale, indicando quale uno dei settori dell’azione del Consiglio “la garanzia della compatibilità delle normative applicabili negli Stati membri, nella misura necessaria per migliorare” la cooperazione giudiziaria in materia penale, non distingue tra i diversi tipi di atti che possono servire tale scopo (punto 39). La Corte, infine, ammette che il TUE lasciava al Consiglio la scelta di procedere a regolare la materia del mandato d’arresto europeo anche tramite convenzioni (punto 40). Tuttavia, la scelta del Consiglio di procedere attraverso una decisione-quadro rientra nella discrezionalità di tale organo (punto 41), né la circostanza che la materia dell’estradizione, istituto cui il mandato si sostituisce, fosse in precedenza regolata da un accordo internazionale limita in alcun modo la discrezionalità del Consiglio, giacché “[q]ualsiasi altra interpretazione […] rischierebbe di privare dell’aspetto essenziale del suo effetto utile la facoltà riconosciuta al Consiglio di adottare decisioni quadro in settori precedentemente disciplinati da convenzioni internazionali” (punto 42).
Quanto al secondo motivo di censura, la Corte, ribadita la rilevanza dell’art. 6, par. 2 TUE in quanto esso rinvia ai principi generali di diritto, fra i quali certamente trovano cittadinanza i principi di legalità in materia penale, di eguaglianza e di non discriminazione (punto 45), nuovamente non accoglie la tesi dell’Advocaten voor de Wereld. Rispetto al principio di legalità in materia penale, la Corte rammenta che “[l]a decisione quadro non è volta ad armonizzare i reati in questione per quanto riguarda i loro elementi costitutivi o le pene di cui sono corredati” (punto 52). E infatti, secondo l’art. 2 del provvedimento in esame, richiamato dalla Corte, la definizione di tali reati e le pene applicabili sono quelle risultanti dal diritto “dello Stato membro emittente” (loc. cit.). Per ciò che concerne, invece, i principi di eguaglianza e di non discriminazione, la Corte rileva come “il Consiglio ha ritenuto, in base al principio del reciproco riconoscimento e considerato l’elevato grado di fiducia e di solidarietà tra gli Stati membri, che […] le categorie di reati di cui trattasi rientrassero tra quelle che arrecano all’ordine e alla sicurezza pubblici un pregiudizio tale da giustificare la rinuncia all’obbligo di controllo della doppia incriminazione” (punto 57). Pertanto, conclude la Corte, “la distinzione risulta, in ogni caso, oggettivamente giustificata” (punto 58).