Corte di Giustizia, sentenza 29 gennaio 2009 (causa C- 311/06, M. Cavallera, Consiglio Nazionale degli Ingegneri).
La domanda di pronuncia pregiudiziale, oggetto della sentenza, verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 21 dicembre 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni.
Posto che l’esercizio della professione di ingegnere, in Italia, prevede, contrariamente a quello spagnolo, un esame di Stato ai fini dell’abilitazione all’esercizio della professione, il ricorrente, al contrario, non ha svolto attività professionale fuori dall’Italia né superato esami previsti dal sistema di istruzione spagnolo; del pari, non ha sostenuto l’esame di Stato previsto dalla normativa italiana. In seguito al riconoscimento della validità del titolo spagnolo da parte del Ministero della Giustizia, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha impugnato tale decisione sostenendo che, ai sensi della direttiva e della pertinente normativa nazionale, le autorità italiane non potevano riconoscere il titolo spagnolo, avendo tale riconoscimento la conseguenza di esonerarlo dall’esame di Stato previsto dalla normativa italiana.
Il Consiglio di Stato, adito in ultima istanza, chiede alla Corte di giustizia se la direttiva 89/48 possa essere invocata per accedere alla professione di ingegnere in Italia.
E’ da premettere che la direttiva conferisce ad ogni richiedente che sia titolare di un «diploma» che gli consente di esercitare una professione regolamentata in uno Stato membro il diritto di esercitare la medesima professione in ogni altro Stato membro.
La Corte risponde che, secondo la definizione stessa della direttiva, nel concetto di diploma non si include il titolo rilasciato da uno Stato membro che non attesti alcuna formazione prevista dal sistema di istruzione di tale Stato membro e non si fondi né su di un esame, né su di un’esperienza professionale acquisita in detto Stato membro. Infatti, l’applicazione della direttiva in una situazione di tal genere si risolverebbe nel consentire ad un soggetto che abbia conseguito, nello Stato membro in cui ha svolto i suoi studi, esclusivamente un titolo che, di per sé, non dà accesso alla professione regolamentata, di accedervi egualmente, senza che tuttavia il titolo di omologazione conseguito altrove attesti l’acquisizione di una qualifica supplementare o di un’esperienza professionale. Un siffatto risultato sarebbe contrario al principio sancito dalla direttiva, secondo cui gli Stati membri conservano la facoltà di stabilire il livello minimo di qualifica necessario allo scopo di garantire la qualità delle prestazioni fornite sul loro territorio.