Quali limiti incontrano oggi le regioni nel dichiarare il proprio territorio “denuclearizzato”? La risposta della Corte costituzionale nella sentenza n. 62 del 2005Corte costituzionale, 29 gennaio 2005, n. 62

29.01.2005

La sentenza n. 62, del 29 gennaio 2005 ha come oggetto i ricorsi in via principale che il Presidente del Consiglio dei Ministri per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso avverso la legge della Regione Sardegna 3 luglio 2003, n. 8, “Dichiarazione della Sardegna territorio denuclearizzato”, della Regione Basilicata 21 novembre 2003, n. 31 “Modifiche ed integrazioni alla L.R. 31 agosto 1995, n. 59” e della Regione Calabria 5 dicembre 2003, n. 26, “Dichiarazione della Calabria denuclearizzata. Misure di prevenzione dall’inquinamento proveniente da materiale radioattivo. Monitoraggio e salvaguardia ambientale e salute dei cittadini”.
Le tre leggi regionali hanno in comune l’oggetto, ovvero la dichiarazione del territorio regionale come territorio “Denuclearizzato”, precluso al transito e alla presenza di materiali nucleari provenienti da altri territori.
La regione Basilicata con ricorso n. 40 del 2004 ha, inoltre, impugnato il Decreto Legge 14 novembre 2003, n. 314 “Disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza dei rifiuti radioattivi”, e la relativa legge di conversione 24 dicembre 2003, n. 368, concernete la previsione di un “Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e le competenze e le procedure per la sua realizzazione”.
Analizzando per prima la legge n. 8 del 2003 della regione Sardegna si evidenzia che essa si compone di quattro articoli tutti censurati dal ricorrente; questi ritiene, innanzitutto, che la legge potrebbe interferire con la materia dell’ambiente, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. La legge non potrebbe, altresì, trovare spazio come ipotizzato dalla stessa Regione, nelle competenze regionali in materia di urbanistica, governo del territorio e protezione civile ed infine, con riferimento alla competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute, non si sarebbe attenuta ai principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale preesistente, secondo i quali «restrizioni generalizzate alle attività economiche, non legate a situazioni particolari di ambiente o di operatore» andrebbero fondate su dati scientifici attendibili e non su valutazioni genericamente prudenziali.
La legge impugnata violerebbe, inoltre, sia il primo comma, dell’art. 117 della Costituzione, perché in contrasto con la disciplina attuativa di direttive comunitarie recata dal d.lgs. n. 230 del 1995, da considerasi fonte della “disciplina integrale della materia”, sia il secondo comma, lettera e), dello stesso articolo, perché interferirebbe nel mercato dei materiali nucleari, anch’essi soggetti alla disciplina della concorrenza.
La Corte costituzionale rileva la fondatezza delle questioni; ritiene, infatti, che un intervento legislativo della portata di quello posto in essere dalla regione Sardegna con la legge impugnata non trova fondamento in alcuna delle competenze attribuite alla regione medesima dallo Statuto speciale e dalla Costituzione, e ne dichiara conseguentemente l’illegittimità costituzionale.
Per quanto concerne la legge approvata dalla regione Basilicata n. 31/2003, il ricorrente lamenta sia la violazione della competenza statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, sia la violazione di norme comunitarie e dunque dell’art. 117, primo comma della Costituzione, sia, infine, il contrasto con i principi fondamentali ricavabili in materia dal d.lgs. n. 230 del 1995.
Anche in questo caso la Corte ritiene fondate le questioni sollevate e ne dichiara la conseguente illegittimità. La legge in oggetto – afferma la Consulta – mira a disciplinare in modo preclusivo di ogni altro intervento la presenza e il transito, nel territorio della regione, di sostanze radioattive, fra cui i rifiuti; ne consegue la palese violazione della sfera di competenza attribuita allo Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema dall’art. 117, secondo comma, lettera s), nonché la violazione del vincolo generale imposto alle Regioni dall’art. 120, primo comma della Costituzione, che vieta ogni misura finalizzata ad ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le Regioni.
Come anticipato, il terzo atto normativo oggetto del medesimo giudizio di costituzionalità è la legge n. 26 del 2003 della regione Calabria, che si compone di cinque articoli.
Il ricorrente censura suddetto atto adottando le medesime argomentazioni utilizzate con riferimento alla legge della regione Basilicata, n. 31/2003, nonché a proposito della legge della regione Sardegna, n. 8/2003 per quanto concerne l’asserita non definitività della disciplina adottata.
La questione, anche in questo caso, è fondata e la legge, conseguentemente, dichiarata illegittima dalla Consulta.
La regione Basilicata, come precedentemente anticipato, ha impugnato, anche, il Decreto legge n. 314 del 2003, ora convertito in legge n. 368 del 2003, lamentando la violazione dell’art. 77 della Costituzione, ovvero la mancanza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza idonei a legittimare l’intervento del governo per la realizzazione del Deposito nazionale, riservato ai soli rifiuti di III categoria, che costituisce “opera di difesa militare di proprietà dello Stato”; suddetta opera – ricorda la regione – dovrà essere completata, infatti, entro il lontano 2008.
La Corte, dopo aver dichiarato infondata la questione, chiarisce che appare del tutto evidente come l’esigenza di prevedere una adeguata disciplina idonea a consentire la realizzazione delle opere, oggi mancanti, ma assolutamente necessarie per un corretto smaltimento dei rifiuti radioattivi, evitando pericoli per la salute e per l’ambiente configuri un valido presupposto per un intervento d’urgenza; giustifica, altresì, che per il completamento delle procedure e delle opere necessarie possano richiedersi tempi relativamente lunghi.
La regione, nel medesimo ricorso, lamenta, inoltre, la violazione della propria sfera di competenza in materia di tutela della salute, protezione civile e governo del territorio; la disciplina statale, sostiene la stessa, non si limita a fissare principi sulla cui base le regioni possano dettare una ulteriore normativa; si rileva, per di più, una indebita attribuzione allo Stato, senza una previa fase interlocutoria finalizzata al raggiungimento di una intesa, di funzioni amministrative che naturaliter apparterrebbero agli enti territoriali. A questo riguardo, sostiene la Corte, la questione è solo parzialmente fondata.
La stessa, richiamando la sentenza n. 303 del 2003, statuisce che quando gli interventi individuati come necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono l’uso del territorio, e in particolare la realizzazione di opere e insediamenti atti a condizionare lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio e con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate modalità di attuazione degli interventi che coinvolgano, in attuazione del principio di leale collaborazione, le regioni interessate. Si precisa, inoltre, che il livello e gli strumenti di collaborazione possono essere diversi in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e alle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte.
Per quanto concerne il caso in oggetto, si rileva che i procedimenti configurati dal decreto legge impugnato riguardano l’individuazione del sito presso cui collocare il deposito, la concreta localizzazione ed infine la realizzazione dell’impianto.
Nel primo caso le previsioni disposte nel decreto n. 314/2003, sono corrette, ovvero l’attribuzione alla Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali, del compito di ricerca dell’intesa per l’individuazione del sito; nel caso in cui si configuri una reale impossibilità a raggiungere l’accordo la competenza spetta ad un provvedimento adottato dal Presidente del Consiglio dei Ministri previa delibera del Consiglio dei Ministri.
Ma, individuato il sito, per provvedere alla realizzazione concreta dell’impianto si deve, innanzitutto, tentare in ogni modo di garantire un’adeguata tutela alla Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad essere ubicata.
È proprio a tal proposito che il giudice delle leggi rileva una carenza nel decreto n. 314/2003; esso, infatti, si limita a prevedere che la validazione avvenga ad opera del Consiglio dei Ministri, subordinatamente all’acquisizione dei dovuti pareri tecnici. È, invece, necessario – sottolinea il giudice costituzionale – che siano previste forme di partecipazione al procedimento da parte della regione interessata, fermo restando che, in caso di insuperabile dissenso, siano previste, con la previsione di adeguate garanzie procedimentali, forme di deliberazione da parte degli organi statali.
È sulla base di quanto appena riportato, che la Corte costituzionale con la pronuncia che si annota, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4-bis, e dell’art. 2, comma 1, lettera f), del decreto legge 14 novembre 2003, n. 314, convertito con modificazioni dalla legge 24 dicembre 2003, n. 368, nella parte in cui non prevedono forme idonee di partecipazio

a cura di Caterina Bova


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