Ancora sul principio di leale collaborazione e sugli accordi tra Stato e Regioni

28.12.2001

Corte costituzionale 28 dicembre 2001, n. 437

La Corte costituzionale precisa la rilevanza degl’impegni del Governo, sia che essi siano mere enunciazioni politiche, sia che si traducano in accordi.

Giudizi di legittimità costituzionale promossi con ricorsi delle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna avverso l’articolo 138, commi 16 e 17, della Legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2001).

Impegni genericamente enunciati dal Governo non assumono altro valore che quello di una manifestazione politica di intento, che non s’inserisce come elemento giuridicamente rilevante nel procedimento legislativo e tanto meno può costituire parametro cui commisurare la legittimità costituzionale delle disposizioni legislative (nella specie, il Governo, in sede di Conferenza unificata, aveva concordato di istituire un fondo nazionale di 1000 miliardi di lire per la protezione civile).

Anche se fosse ravvisabile un accordo formalmente sancito dalla Conferenza unificata, le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione.

Il principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, infatti, non può essere dilatato fino a trarne condizionamenti alla formazione ed al contenuto delle leggi che non siano altrimenti riconducibili alla Costituzione.

In conformità a tali principî, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 138, commi 16 e 17, della Legge 388 del 2000, che istituisce, per finanziare gl’interventi delle Regioni, delle Provincie autonome e degli Enti locali diretti a fronteggiare esigenze urgenti per le calamità naturali, nonché per potenziare il loro sistema di protezione civile, il ‘Fondo regionale di protezione civile’; il Fondo è alimentato da un contributo dello Stato di lire 100 miliardi annue, il cui versamento è subordinato al versamento al Fondo stesso da parte di ciascuna Regione e Provincia autonoma di una percentuale uniforme delle proprie entrate accertate nell’anno precedente, determinata dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome in modo da assicurare un concorso complessivo delle Regioni e delle Provincie autonome non inferiore, annualmente, al triplo del concorso statale. In sede di prima applicazione per il triennio 2001-2003, però, il concorso delle Regioni al Fondo è assicurato mediante riduzione delle somme trasferite ai sensi della Legge 15 marzo 1997, n. 59, per l’importo di lire 200 miliardi per ciascun anno, con corrispondente riduzione delle somme in relazione alle quali le Regioni sono autorizzate ad assumere impegni per nuove opere stradali d’interesse regionale a valere sulle risorse destinate per il completamento del trasferimento di funzioni alle Regioni ed agli Enti locali ai sensi della Legge 59 del 1997.

La Corte ha infatti rilevato che l’allocazione di ulteriori risorse statali per sopperire alle esigenze di finanziamento delle attività regionali e locali di protezione civile, e in particolare alle esigenze relative ad interventi urgenti di competenza regionale in caso di calamità, rappresenta una decisione politico-legislativa in sé non vincolata dalla Costituzione e dunque rimessa alla discrezionalità del legislatore statale.

In ogni caso, la ratio della scelta legislativa appare chiara: poiché si tratta di apprestare risorse principalmente destinate a fronteggiare emergenze derivanti da calamità, il cui verificarsi in un’area piuttosto che in un’altra del paese è evidentemente imprevedibile, si è inteso costituire una sorta di fondo comune, alimentato da un lato dal concorso statale, dall’altro da tutte le Regioni in proporzione alle rispettive capacità finanziarie, ed utilizzabile (per finanziare gl’interventi delle stesse Regioni o degli Enti locali) a favore delle Regioni in cui gli eventi si verifichino in relazione alle rispettive necessità; si evita così, o si riduce, la necessità di specifici ulteriori interventi finanziari statali in occasione di calamità, quando esse diano luogo, nelle singole Regioni, ad esigenze eccedenti le rispettive disponibilità. Viene così costituito un fondo di solidarietà fra Regioni (con contributo statale), i cui effetti finali, certo, possono anche tradursi in trasferimenti di risorse da una Regione all’altra (da quelle, per così dire, che risulteranno “contribuenti nette” al Fondo a quelle che risulteranno beneficiarie di risorse superiori al rispettivo apporto in dipendenza delle calamità che esse dovranno fronteggiare), ma, appunto, nel quadro e in forza dell’indicato criterio solidaristico.

Né un meccanismo redistributivo di questo genere viene attuato dal legislatore statale coattivamente: l’impugnata disposizione (in particolare il c. 16, che peraltro non trova applicazione per il triennio 2001-2003) configura infatti il concorso regionale al Fondo solo come condizione per il versamento della somma assegnata dallo Stato (e in ogni caso resta fermo che il contributo finanziario delle singole Regioni al Fondo non potrebbe che avere luogo sulla base delle procedure costituzionalmente e statutariamente previste per ciascuna di esse, dovendo trovare fondamento in una legge regionale).

Quanto poi alle modalità di alimentazione del Fondo previste (dal c. 17) in prima attuazione per il triennio 2001-2003, esse configurano sì una riduzione dei trasferimenti finanziari previsti a favore delle Regioni in corrispondenza del conferimento di nuove funzioni in tema di viabilità, ma, ancora una volta, senza che possa dirsi dimostrata una lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni.

Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, nel regime di finanza “derivata” che ancora in parte caratterizza le Regioni, la semplice circostanza della riduzione, disposta con legge statale, delle disponibilità finanziarie messe dallo Stato a disposizione delle Regioni non è di per sé sufficiente ad integrare una violazione dell’autonomia finanziaria regionale, se non sia tale da comportare uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale (sentt n. 307 del 1983, n. 123 del 1992, n. 370 del 1993, n. 507 del 2000, n. 337 del 2001). Nella specie, non solo non è dimostrato che si verifichi uno squilibrio di questo genere: ma, da un lato, la riduzione disposta non sottrae risorse al complessivo sistema regionale, poiché il Fondo resta nella disponibilità delle Regioni; dall’altro lato, essa riguarda risorse finanziarie ulteriori rispetto a quelle già trasferite a seguito e in corrispondenza del conferimento di nuove funzioni in materia di protezione civile.

Giurisprudenza richiamata:

* sul regime di finanza “derivata” che ancora in parte caratterizza le Regioni e sul principio per cui la semplice circostanza della riduzione, disposta con legge statale, delle disponibilità finanziarie messe dallo Stato a disposizione delle Regioni non è di per sé sufficiente ad integrare una violazione dell’autonomia finanziaria regionale, se non sia tale da comportare uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale: Corte costituzionale, sentenza n. 337 del 2001; Corte costituzionale, sentenza n. 507 del 2000; Corte costituzionale, sentenza n. 370 del 1993; Corte costituzionale, sentenza n. 123 del 1992; Corte costituzionale, sentenza n. 307 del 1983

e.griglio