La Corte Costituzionale ribadisce la non retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego

10.04.2002

Corte Costituzionale, 10 aprile 2002, ord. n.100

Giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria.

Con tre distinte ordinanze, analogamente motivate in punto di diritto, il TAR Liguria ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art.33 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), ‘per la parte in cui prevede il divieto di retribuire le mansioni superiori svolte dal dipendente pubblico’ e in riferimento all’art.36 della Costituzione.

In materia, l?orientamento più recente del Consiglio di Stato è stato di rigettare la tesi della retribuibilità delle mansioni superiori prestate dai pubblici dipendenti in base a quanto disposto dall’art.2126 cod. civ. e dall’applicazione diretta dell’art.36 Cost. Si è sostenuto, infatti, che, prima della vigenza del d.lgs. n.387/98, non si rinveniva nell’ordinamento una norma che configurasse detto diritto, con la sola eccezione di alcuni casi specifici (ad esempio, l?art.29 d.P.R. n.761/79 per il comparto sanitario).

Il giudice a quo sostiene, pertanto, che il principio applicabile al caso sia quello di cui all’art.33 del d.P.R. n.3/57, che, ricollegando, i diritti retributivi del dipendente alla sua mera situazione di diritto, permette di pervenire ad una tesi opposta rispetto a quella sostenuta dal Consiglio di Stato.

Secondo il TAR Liguria, infatti, la Corte Costituzionale ha, più volte interpretato l’art.36 Cost. quale ?norma di applicazione diretta che impone di retribuire le mansioni superiori svolte dal dipendente nel rispetto della proporzionalità tra retribuzione e lavoro prestato’. La forza cogente di detta norma è inoltre assicurata dall’art.2126 cod. civ. mentre la natura pubblica del datore di lavoro, il principio di imparzialità e di buon andamento degli uffici e quello di concorsualità nell’assunzione dei pubblici impiegati sono garantiti dall’esistenza del posto vacante in pianta organica nonché dalla temporaneità delle mansioni superiori. Per questa ragione, secondo il rimettente, l’art.33 del d.P.R. n.3/57 porrebbe un divieto irragionevole.

La Corte, oltre a rilevare come il rimettente riproponga doglianze già esaminate e disilluse con le ordinanze n.347 del 1996, n.289 del 1996 e n.349 del 2001, ha ribadito che, anche nel caso di specie, l?art.33 si riferisce ‘alla situazione fisiologica degli uffici’ ovvero alla normale condizione in cui sussiste coincidenza tra le mansioni svolte dall’impiegato e la sua qualifica funzionale. Al contrario, qualora il dipendente sia temporaneamente adibito a mansioni superiori corrispondenti a un posto vacante, si verifica una situazione eccezionale che non consente di avallare l?ipotesi di un adeguamento del trattamento economico ai sensi degli artt.36 Cost. e 2126 cod. civ.

Nel giudizio della Corte, quindi, il rimettente non adduce nuovi o diversi profili di censura o, comunque, tali da indurre a discostarsi dall?orientamento già espresso e, pertanto, le questioni prospettate devono essere dichiarate manifestamente infondate.

Giurisprudenza richiamata:

sulla non retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego: Corte Costituzionale, ordinanze n.347 del 1996, n.289 del 1996 e n.349 del 2001.

e.griglio