Corte Costituzionale, 24 aprile 2002, sent. n.133
Non spetta allo Stato dare attuazione, con un procedimento cui non partecipa la Regione Siciliana, alle riserve in favore dell’erario statale del gettito derivante da interventi su entrate emanati dal 1992 al 1996.
Giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto 23 dicembre 1997 emanato dal Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, recante ?Modalità di attuazione delle riserve all’erario dal 1° gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia di entrate finanziarie della Regione Sicilia, emanati dal 1992?, promosso con ricorso della Regione Siciliana.
La Regione Siciliana ha promosso il conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, in riferimento al decreto del Ministro delle Finanze, di concerto con il Ministro del Tesoro, del 23 dicembre 1997 (Modalità di attuazione delle riserve all’erario dal 1° gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia di entrate finanziarie della Regione Sicilia, emanati dal 1992), ritenendolo lesivo delle attribuzioni regionali in materia finanziaria di cui all?art.36 dello statuto speciale e all?art.2 delle relative norme di attuazione approvate con d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074.
Secondo il rimettente, il provvedimento impugnato estenderebbe indebitamente la riserva in favore dell?erario statale circa le nuove entrate derivanti dai provvedimenti legislativi succedutisi dal 1992 al 1997 e interpreterebbe altresì dette previsioni in modo contrastante con lo statuto e con le relative norme di attuazione, sottraendo alla Regione proprie quote di gettito tributario.
In particolare, le previsioni in esso contenute si fonderebbero sulle risultanze delle relazioni tecniche di accompagnamento dei provvedimenti legislativi, applicate automaticamente, senza considerare se dai provvedimenti legislativi considerati derivi un maggior gettito per le casse regionali, se ciò configuri una nuova entrata tributaria riservabile allo Stato e se le norme di riferimento siano vigenti e produttive di effetti.
Con riguardo alle disposizioni contenute nei d.l. n.155/93, n. 557/93, n.41/95, n.565/95 e nella l. n.549/95, la Regione afferma che il maggior gettito derivante dall?aumento delle entrate a titolo di IVA in conseguenza di modifiche delle accise su determinati prodotti, non costituirebbe nuova entrata riservabile allo Stato. Si esclude, poi che configuri riserva statale il maggior gettito derivante dall?ampliamento della base imponibile di un tributo spettante alla Regione.
L?art.16-bis del decreto impugnato prevede, invece, misure antielusive volte ad assicurare il corretto adempimento degli obblighi tributari dei contribuenti, considerare riservato allo Stato il relativo gettito, equivarrebbe a sostituire un?imposta regionale con una nuova fattispecie assegnata allo Stato. Ciò contrasta con l?orientamento della giurisprudenza costituzionale laddove sostiene l?impossibilità di riservare allo Stato l?intero gettito di una imposta chiaramente sostitutiva.
Con riguardo all?aumento delle entrate a titolo di IVA in conseguenza della modifiche delle accise su alcuni prodotti, la difesa erariale ritiene che questo sia un effetto indiretto da ricomprendere nella previsione normativa preesistente, mentre l?IVA all?importazione è di spettanza erariale e, quindi, il maggior gettito derivante dalle norme antielusive potrebbe senza dubbio essere riservato allo Stato.
In un?ulteriore memoria, la Regione ha evidenziato come le disposizioni del decreto impugnato si fonderebbero sul presupposto che si sia prodotto un incremento di gettito qualificabile come nuova entrata e, quindi, riservabile all?erario. In realtà, si sono verificati casi di riserva allo Stato anche in presenza di una riduzione del gettito a livello nazionale.
La Regione ricorda, inoltre, come in origine ogni clausola di riserva di nuove entrate allo Stato era supportata da una finalità specifica, spesso individuata nell?emergenza finanziaria data da esigenze di copertura del debito pubblico e dagli impegni comunitari.
Ora, invece, le esigenze connesse all?emergenza finanziaria sono venute meno e si verifica una diminuzione della pressione fiscale e una cessazione degli incrementi di gettito presupposti dal decreto impugnato, almeno per gli anni finanziari 2000 e seguenti. Non è, pertanto, legittimo tenere conto delle maggiori entrate derivanti da provvedimenti nazionali per riservare il gettito all?erario statale, non considerando gli effetti dei provvedimenti che determinano una riduzione del gettito derivante dai medesimi tributi considerati.
Diversamente, Regione verrebbe penalizzata due volte, continuando ad essere soggetta sia a clausole di riserva, sia ad un?erosione del proprio gettito tributario data dal decremento della pressione tributaria.
Secondo l?Avvocatura dello Stato, assicurare alla Regione siciliana la devoluzione delle entrate tributarie ?esistenti? fa si che la riserva allo Stato è consentita sia per le imposte di nuova istituzione, sia per le ulteriori e maggiori entrate fiscali derivanti da modifiche del sistema di applicazione di tributi preesistenti.
L?Avvocatura ricorda, inoltre, come tutti i provvedimenti normativi richiamati contengano un?espressa riserva allo Stato delle entrate da essi derivanti, con indicazione della specifica finalità e anche le accise gravanti sui prodotti oggetto della operazione imponibile ad IVA concorrono a comporre la base imponibile di questo tributo. Ad aliquota IVA invariata, l?aumento della accisa si concreta in un maggior gettito di tale imposta. Secondo la difesa statale, si tratterebbe quindi di nuove entrate, legittimamente riservabili allo Stato.
Con la sentenza n.98 del 2000, la Corte aveva già dichiarato l?illegittimità costituzionale degli artt.2, co.154, e 3, co.216, della l. n.662/96 e dell?art.7, co.1, del d.l. n 669/96. Queste disposizioni stabiliscono la riserva a favore dell?erario statale di nuove entrate derivanti dai provvedimenti in cui le stesse sono inserite e alla cui attuazione provvede il decreto impugnato nel giudizio in esame. In particolare, la censura si fonda sulla mancata previsione della partecipazione della Regione Siciliana al procedimento di attuazione delle norme, che avviene con decreto ministeriale.
Con ordinanza 13-18 aprile 2000, la Corte, poiché a seguito delle predetta sentenza il decreto impugnato è risultato in contrasto con le norme che ne disciplinano il procedimento di formazione, ha disposto il rinvio del giudizio ad una nuova udienza.
Con l?ordinanza n. 41 del 2001 la Corte è stato, quindi, sospeso il decreto impugnato, essendo ritenute sussistenti le ragioni che giustificano la sospensione dell?esecuzione dell?atto che ha dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione (art.40 l. n.87/53).
Con l?ordinanza n. 42 del 2001, invece, la Corte ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tutte le disposizioni di legge contenenti riserve all?erario di cui il decreto impugnato costituisce attuazione, nella parte in cui le modalità della loro attuazione sono state definite con decreto ministeriale, non prevedendo la partecipazione della Regione Siciliana al procedimento.
Con la sentenza n.288 del 2001, la Corte ha dichiarato incostituzionali le disposizioni censurate, osservando che le clausole di riserva considerate costituiscono una deroga alla spettanza alla Regione dei tributi erariali riscossi nel relativo territorio e che la loro attuazione incide direttamente sulla garanzia dell?autonomia finanziaria regionale. In tal senso, viene in risalto il principio di leale cooperazione laddove esige l?attuazione di tale meccanismo a mezzo di procedimenti non unilaterali.
Dopo aver sospeso l’esecuzione del decreto impugnato, la Corte ha, infine, osservato che il provvedimento censurato si basa su disposizioni legislative in parte già dichiarate costituzionalmente illegittime e che, quindi, la base legale dello stesso provvedimento è venuta a mancare.
Inoltre, il decreto impugnato, essendo stato emanato in base ad un procedimento in cui non è assicurata la partecipazione della Regione, risulta lesivo delle attribuzioni di quest?ultima.
Ma, poiché il provvedimento, pur sospeso nella sua efficacia non è stato formalmente annullato, revocato né sostituito, la Corte ha giudicato di annullarlo, assorbendo ogni altro motivo del ricorso.