Corte Costituzionale, 22-29 maggio 2002, n. 219
Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai gradi più alti degli studi. Il Legislatore, se può regolare l’accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di condizioni degli aspiranti che, come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali, non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito. A tale diritto si ricollega altresì quello di aspirare a svolgere, sulla base del possesso di requisiti di idoneità, qualsiasi lavoro o professione, in un sistema che non solo assicuri la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, ma consenta a tutti i cittadini di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Il diritto di studiare, nelle strutture a ciò deputate, al fine di acquisire o di arricchire competenze anche in funzione di una mobilità sociale e professionale, é d’altra parte strumento essenziale perché sia assicurata a ciascuno, in una società aperta, la possibilità di sviluppare la propria personalità, secondo i principi espressi negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione.
Nella sezione Commenti la nota di Pietro Alessio Palumbo “Giustizia Amministrativa, Giurisprudenza Costituzionale ed il c.d. diritto allo studio ed alla chance professionale.”