I contributi per la realizzazione di attrezzature destinate a servizi religiosi non possono essere riservate alle confessioni religiose ex art. 8, comma 3 Cost.

16.07.2002

Corte Costituzionale, 16 luglio 2002, n. 346

Non è lecito subordinare la corresponsione dei contributi per la realizzazione di attrezzatura destinata a servizi religiosi alla condizione che la confessione interessata abbia chiesto ed ottenuto la regolamentazione dei propri rapporti con lo Stato sulla base di un’intesa ai sensi dell’art.8, terzo comma della Costituzione

Giudizio di legittimità costituzionale dell’art.1 della legge della Regione Lombardia 9 maggio 1992, n.20 (Norme per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi), promosso con ordinanza dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia

Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 8, primo comma, e 19 della Costituzione, avverso l’art.1 della legge regionale della Regione Lombardia n.20 del 1992, nella parte in cui subordina la corresponsione dei contributi per la realizzazione di attrezzatura destinata a servizi religiosi alla condizione che la confessione interessata abbia chiesto ed ottenuto la regolamentazione dei propri rapporti con lo Stato sulla base di un’intesa ai sensi dell’art.8, terzo comma della Costituzione. Il giudice a quo premette che la questione è sorta in riferimento all’istanza presentata dalla Congregazione dei Testimoni di Geova al Comune di Cremona per l’accesso ai contributi previsti nella citata legge regionale n.20 del 1992, istanza che è stata respinta dall’amministrazione comunale. Nonostante il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n.195 del 1993 in cui si dichiara l’incostituzionalità dell’analoga norma contenuta nella legge 16 marzo 1988, n.29 della Regione Abruzzo, il Comune di Cremona ha infatti respinto la domanda della Congregazione dei Testimoni di Geova, escludendo che il precedente giurisprudenziale, in difetto di espressa statuizione della corte, potesse essere applicato anche al caso della legge della Regione Lombardia.
Il rimettente, pur confermando l’orientamento seguito dall’amministrazione comunale di Cremona in merito all’impossibilità di estensione analogica del precedente giurisprudenziale, richiama tuttavia i contenuti specifici della sentenza della corte Costituzionale n.195 del 1993, in cui si statuisce che la circostanza dell’avvenuta stipulazione dell’intesa dello Stato non può costituire elemento di discriminazione nell’applicazione di una disciplina legislativa volta ad agevolare la libertà religiosa dei cittadini. In caso contrario, vi sarebbe infatti una violazione del principio della parità di trattamento e della eguale libertà di culto sancito dall’art.8 della Costituzione.
Non vi è stata nel giudizio costituzione di parti, né intervento del Presidente della Giunta regionale.
La Corte Costituzionale giudica la questione fondata, ricordando che già nella sentenza n.195 del 1993 la Corte medesima aveva rilevato come un intervento pubblico volto a promuovere e facilitare le attività di culto non possa introdurre come elemento di discriminazione tra le confessioni religiosi l’esistenza di un’intesa che disciplini i rapporti con lo Stato. Le intese di cui all’art.8, terzo comma, Cost. sono infatti previste come strumento di regolazione dei rapporti tra le confessioni e lo Stato per quegli aspetti strettamente legati alle specificità delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune, ma le medesime intese non possono rappresentare la condizione imposta dai pubblici poteri alle confessioni per il godimento della libertà di azione e di organizzazione (garantita loro dal primo e dal secondo comma dell’art.8) o per l’accesso a norme di favore riguardanti le confessioni religiose. In caso contrario, osserva la Corte, si violerebbe sia il divieto di discriminazione, sancito dall’art.3 e ribadito per le confessioni religiose dall’art.8, sia il principio di eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto. La Corte nega anche che il riferimento all’intesa possa valere, in assenza di criteri precisi di definizione delle “confessioni religiose”, come elemento oggettivo di qualificazione delle organizzazioni atte ad accedere ai contributi a favore della libertà di culto. Nonostante la presenza diffusa di un problema di qualificazione delle confessioni religiose, non è infatti possibile confondere tale problema qualificatorio con un requisito, quello della stipulazione di intese, che presuppone bensì la qualità di confessione religiosa, ma che non si identifica con essa.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte dichiara illegittima la norma impugnata, nella parte in cui introduce il requisito della disciplina sulla base di intesa, ai sensi dell’art.8, comma 3 della Costituzione, dei rapporti dello Stato con le singole confessioni religiose, per potere usufruire dei benefici ivi previsti.

Giurisprudenza richiamata:

– sull’illegittimità del requisito della disciplina sulla base di intesa, ai sensi dell’art.8, comma 3 della Costituzione, dei rapporti dello Stato con le singole confessioni religiose, per potere usufruire dei benefici previsti a favore della libertà di culto: Corte Costituzionale, sentenza n. 195 del 1993
– sui criteri, non vincolati alla semplice autoqualificazione, utilizzati per distinguere le confessioni religiose dalle altre organizzazioni sociali: Corte Costituzionale, sentenza n.467 del 1992
– sul possibilità di prevedere diverse forme di riconoscimento a favore delle confessioni pur prive di intesa: Corte Costituzionale, sentenza n. 195 del 1993 e ordinanza n.379 del 2001

a cura di Elena Griglio