La possibile erronea confusione tra il provvedimento di modifica delle circoscrizioni comunali e la determinazione dei confini tra comuni
(Nota a Sentenza della Corte costituzionale del 9 febbraio 2018, n 21)
L’art. 133 della Carta costituzionale dispone, al suo secondo comma, che il legislatore regionale possa procedere ad istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e a modificare le circoscrizioni comunali – e le relative denominazioni – previa consultazione delle “popolazioni interessate”[1]: il che – è bene precisare – si applica anche nel caso in cui la modifica circoscrizionale non sia conseguenza dell’istituzione di un nuovo Comune ma l’effetto di una semplice variazione delle circoscrizioni tra Comuni.
Trattasi della consacrazione a livello costituzionale di un fondamentale principio partecipativo per le popolazioni locali destinatarie degli effetti di un procedimento legislativo dal carattere marcatamente provvedimentale: a ben riflettere, infatti, il rapporto tra la delibera di indizione del referendum consultivo e l’adozione della legge regionale – conclusiva del procedimento ex art. 133, c. 2, Cost. – si configura come tipica espressione di un vero e proprio provvedimento a formazione progressiva, dove l’organo politico – in questo caso il Consiglio regionale – è tenuto a tener conto della volontà espressa dalle popolazioni locali interessate: «componendo nella propria esclusiva valutazione discrezionale gli interessi, sottesi alle valutazioni, eventualmente contrastanti, emersi nella consultazione» (C. cost. sent. n. 94 del 2000); con l’unica dovuta precisazione per cui, in ogni caso, la legge regionale di variazione circoscrizionale non è mai un provvedimento di mera ratifica dell’esito referendario – come sarebbe una legge di approvazione di un atto amministrativo – bensì, pur sempre, una “scelta politica del Consiglio regionale”, la sintesi di un atto politico, per quanto vincolato a dover tener conto, comunque, della volontà espressa dalle popolazioni interessate.
Una conferma, di carattere applicativo, sulla natura provvedimentale della legge disciplinante il procedimento di modifica circoscrizionale dei Comuni è rinvenibile, per altro, nello stesso sindacato giurisdizionale che il Giudice Amministrativo[2] – in deroga al principio che esclude la sindacabilità di qualsivoglia atto interno al procedimento legislativo – può venire ad esercitare sulla legittimità del referendum consultivo espletato ai sensi dell’art. 133, comma secondo, Cost.: sul punto si è, per altro, autorevolmente espressa – ed in questi stessi termini – una recentissima pronuncia della Corte costituzionale[3], del 12 gennaio 2018, n. 2[4].
Si è giunti, in buona sostanza, ad interpretare il secondo comma dell’art. 133 Cost. nel senso di attribuire alla legge regionale modificativa delle circoscrizioni comunali la natura di una vera e propria legge-provvedimento[5] che presuppone per il suo iter procedimentale l’espletamento – ferma restando la garanzia di piena libertà nelle modalità attuative – del referendum consultivo popolare, quale fase (endoprocedimentale) obbligatoria; il cui esito, ad onor del vero, difficilmente potrebbe essere disatteso dallo stesso Consiglio regionale.
Detto in altri termini, le leggi regionali finalizzate alle variazione delle circoscrizioni territoriali dei Comuni sono tipiche leggi-provvedimento – per altro atipiche – caratterizzate da un aggravamento procedurale disposto da fonte costituzionale e regolato, quanto al suo ambito applicativo, dalle fonti regionali[6].
Il problema è che in ambito applicativo – e nella fase attuativa dell’art. 133, c. 2, Cost. – non sempre il legislatore regionale ha previsto forme di consultazione popolare: è il caso, ad esempio, venuto all’esame della Consulta con la recente pronuncia del 9 febbraio 2018, n. 21.
La Corte, nel sollevato giudizio di legittimità costituzionale – proposto in via principale – dell’art. 1 della legge n. 4 del 16 marzo 2017 della Regione autonoma Sardegna, ha preliminarmente precisato la portata applicativa del principio partecipativo contemplato dall’art. 133, secondo comma, Cost., puntualizzandone il suo carattere generale, posto che – per quanto destinato ratione materiae per le Regioni a statuto ordinario – è da considerarsi principio vincolante anche per le stesse Regioni a statuto autonomo[7]; la ratio dell’istituto partecipativo è, infatti, da dover rinvenire nel: «principio di autodeterminazione delle popolazioni locali [vincolante] anche le Regioni a statuto speciale, le quali restano peraltro libere di dare attuazione a tale principio nelle forme procedimentali ritenute più opportune (sentenza n. 453 del 1989)»[8].
In seconda battuta, poi, la Corte costituzionale ha ribadito che la procedura legislativa aggravata di cui all’art. 133, secondo comma, debba trovare applicazione – con il conseguente espletamento della consultazione popolare – anche nella preculiare ipotesi in cui la variazione circoscrizionale non sia la diretta conseguenza dell’istituzione di un nuovo Comune.
Per queste ragioni la Consulta, con sentenza n. 21 del 9 febbraio 2018, ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti della impugnata legge regionale sarda, con l’annullamento, dunque, di una legge-provvedimento di modifica delle circoscrizioni comunali perché adottata in assenza dell’espletamento della fase endoprocedimentale – obbligatoria – di consultazione delle popolazioni comunali interessate.
Di particolare interesse, per altro, è mettere in evidenza come la Corte abbia respinto una particolare eccezione sollevata dalla Regione Sardegna: a mente della difesa regionale, infatti, la mancanza di una consultazione popolare sarebbe stata – invero – giustificata dall’adozione di un procedimento legislativo ben differente rispetto all’istituto di modifica delle circoscrizioni comunali, riconducendo, cioè, la norma oggetto impugnata nel giudizio di costituzionalità ad una diversa fattispecie astratta, inquadrabile nell’istituto della ‘determinazione dei confini comunali’[9].
Viene, così, in rilievo una distinzione teorica fondamentale, alimentata, del resto, dal fatto che nella prassi è ingenerata una non infrequente erronea confusione: probabilmente dettata dalla particolare problematicità nell’individuare il vero discrimen intercorrente tra la modifica delle circoscrizioni comunali che – si badi – non importi l’istituzione di un nuovo Comune e la ‘determinazione dei confini tra Comuni’.
Utile, preliminarmente, puntualizzare come per la giurisprudenza costituzionale la fase consultiva delle popolazioni comunali interessate debba sempre essere espletata anche allorché si provveda ad una semplice variazione delle circoscrizioni tra Comuni[10].
L’art. 133, secondo comma, Cost. fa riferimento, infatti, a due distinte fattispecie astratte: in primis è contemplato il caso della nuova istituzione di un Comune; in secondo – e distinto – luogo è prevista la possibilità di adozione di un provvedimento legislativo di modifica delle circoscrizioni comunali e delle loro denominazioni; da precisare, aggiuntivamente, è che, fra l’altro, la fase della consultazione deve svolgersi sempre ed a prescindere dal numero di soggetti interessati e dall’entità dell’intervento legislativo regionale di modifica delle circoscrizioni comunali[11].
Né ha rilevanza alcuna – come stigmatizzato dalla Consulta – che (al fine di ‘compensare’ il gap procedimentale della mancata consultazione popolare) i Consigli comunali interessati e il Consiglio regionale si esprimano all’unanimità: «poiché l’interesse garantito dall’obbligo di consultazione è riferito direttamente alle popolazioni e non agli enti territoriali (sentenza n. 94 del 2000)».[12]
La fase endoprocedimentale della consultazione popolare non è, al contrario, costituzionalmente obbligatoria per il provvedimento di ‘determinazione dei confini tra Comuni’: ipotesi, questa, che si verifica allorché il confine tra due o più Comuni – anche se di Province diverse – non sia delimitato da segni naturali facilmente riconoscibili e sia, comunque, connotato di notevoli incertezze fisiche.
Distinta, appare chiaro, è la ratio tra gli istituti di modifica delle circoscrizioni comunali e quello di determinazione dei confini tra Comuni: nella prima ipotesi si tratta infatti di un provvedimento legislativo di modificazione “reale” delle circoscrizioni comunali, ovvero di un provvedimento dal carattere costitutivo che affonda le proprie radici ‘costituzionali’ (ex art. 133, c. 2, Cost) nella funzione di andare ad innovare (e modificare appunto) la realtà istituzionale esistente, ragion per cui è presupposto un puntuale e ponderato procedimento legislativo, aggravato proprio dalla fase partecipativa delle popolazioni interessate; nel secondo caso – quello di adozione del distinto provvedimento di determinazione dei confini tra Comuni limitrofi – si è al cospetto, invece, di un semplice provvedimento dalla natura puramente accertativa di una situazione incerta.
La ‘determinazione dei confini tra Comuni’ si configura, infatti, come un provvedimento ‘tecnico’ -e non come un atto politico – dal carattere puramente accertativo[13], che non innova in alcun modo la realtà giuridica preesistente, contribuendo soltanto ad accertare e definire precisamente quella già in atto: appare evidente dunque – e superando ogni possibile confusione teorica – la distinta natura giuridica con il provvedimento di modifica delle circoscrizioni comunali, come altrettanto evidente è anche la giustificata differenza costituzionalmente prevista nell’aggravamento del procedimento da dover seguire, lampante, in maniera particolare, nella fase consultiva delle popolazioni comunali destinatarie del provvedimento di modifica (effettiva e reale) delle circoscrizioni.
In conclusione, alla luce di codeste evidenti differenze teoriche – insistenti su natura, presupposti ed effetti – tra il provvedimento di modifica circoscrizionale dei Comuni e quello di determinazione dei confini (incerti) tra Comuni limitrofi, si pone come necessario l’esprimere per il futuro il dovuto monito nei confronti degli amministratori regionali, affinché continuino a mantenere fermo il distinguo tra l’operatività dei due istituti, specie perché – entrambi appartenenti alla competenza del legislatore regionale – facilmente potrebbero, ambiguamente, andare confusi, benché, come posto in luce, siano totalmente differenti e lontani nelle coordinate teoriche: particolarmente nella fase di consultazione delle popolazioni comunali destinatarie degli effetti del provvedimento[14].
[1] L’esatta individuazione di cosa debba intendersi per ‘popolazioni interessate’ ha, invero, dato luogo a numerosissimi problemi di carattere applicativo, per una sintetica ricostruzione giurisprudenziale sul punto P.CARETTI – G.TARLI BARBIERI, Diritto Regionale, Torino, 2007, p. 207. Per un approfondimento dell’istituto referendario nei procedimenti ex artt. 132 e 133 Cost., T.F. GIUPPONI, Le “popolazioni interessate” e i referendum per le variazioni territoriali, ex artt. 132 e 133 Cost.: territorio che vai, interesse che trovi, in Le Regioni, 2/2005.
[2] In merito al sindacato che il Giudice Amministrativo può esercitare sugli atti di indizione del referendum – sebbene atti interni al procedimento legislativo – nonché sul rapporto con il sindacato di costituzionalità si veda C. cost., sent. 13 febbraio 2003, n. 47.
[3] C. cost., sent. 12 gennaio 2018, n. 2, Par. 4, ultimo periodo: «Si è così ammesso che il giudice amministrativo possa essere investito del giudizio su un atto che integra una fase interna al procedimento che conduce alla legge di variazione circoscrizionale (si intende, nei casi in cui il legislatore regionale abbia così disciplinato il referendum consultivo). E si è in tal modo derogato, per questo specifico procedimento (e sempre per i casi in cui l’ordinamento regionale configuri il referendum consultivo come fase interna al procedimento legislativo), alla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 226 del 1999), nonché a quella amministrativa (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 27 settembre 1993, n. 1301), che – in generale – escludono la sindacabilità nel processo amministrativo degli atti interni al procedimento legislativo».
[4] Per una preziosa e completa analisi dei termini della pronuncia F.GUELLA, Le leggi-provvedimento come atti di non mera approvazione: dall’ipotizzata consequenzialità al referendum della legge di variazione delle circoscrizioni comunali alla riserva del sindacato alla giurisdizione di costituzionalità, in Osservatorio AIC, n. 1/2018, 15 marzo 2018.
[5] Emblematica la ricostruzione della Consulta nelle motivazioni della recente sentenza del 12 gennaio 2018, n. 2, Par. 4, dove è sinteticamente puntualizzato che: «Compete ovviamente alla Regione, infine, l’approvazione della legge con cui è disposta la singola variazione circoscrizionale. E proprio con riferimento alle leggi regionali che, di volta in volta, determinano la variazione in esame, questa Corte ha precisato si tratta di leggi-provvedimento caratterizzate da un aggravamento procedurale imposto dal ricordato art. 133, secondo comma, Cost. (sentenze n. 36 del 2011 e n. 47 del 2003)» .
[6] Sulla natura del procedimento legislativo di modificazione delle circoscrizioni territoriali comunali – nel senso di iter adottivo di una legge-provvedimento – si veda, in modo particolare, C. cost., sent. 9 febbraio 2011, n. 36.
[7] C.cost., sent. 9 febbraio 2018, n. 21, Par. 2.4.
[8] C.cost., sent. 9 febbraio 2018, n. 21, Par. 2.4.
[9] Il provvedimento di ‘determinazione dei confini tra Comuni’ limitrofi sorge dalla necessità di dare risoluzione a una controversia piuttosto antica: che si realizza allorché due Comuni vantino entrambi un diritto di supremazia su una stessa porzione limitrofa di territorio. Naturalmente il conflitto di interessi non può che trovare soluzione in un’attività ricognitiva finalizzata all’adozione di un provvedimento che accerti un confine già esistente. Nel regime previgente la materia era disciplinata dall’art. 267 del T.U.L.C.P., n. 383 del 1934, poi abrogato ad opera del T.U.E.L. Attualmente la materia rientra proprio tra le competenze legislative regionali, salvo, ovviamente, che si tratti della determinazioni dei confini tra Comuni appartenenti a Regioni diverse, nel qual caso la competenza a regolare l’actio finium regundorum rientrerebbe tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato.
[10] C. cost., sent. 23 giugno 2010, n. 214; nonché con specifico riferimento al caso di una Regione a statuto autonomo, C. cost., sent. 27 luglio 1989, n. 453.
[11] Sulla prescritta necessità che la consultazione popolare avvenga a prescindere dal numero dei soggetti interessati e dall’entità dell’intervento legislativo regionale, C. cost., sent. 6 luglio 1994, n. 279.
[12] C.cost., sent. 9 febbraio 2018, n. 21, Par. 3.
[13] Sul carattere accertativo del provvedimento di determinazione dei confini tra Comuni, T.A.R. Sardegna-Cagliari, Sez. II, 9 marzo 2015, n. 417; in linea, quest’ultima pronuncia, con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa prevalente, consolidatosi, anche, presso il Supremo Consesso Amministrativo; tra le sentenze più significative, C.d.S. Sez. IV, 2 maggio 2005, n. 1136.
[14] Sulle differenze tra provvedimento di modifica circoscrizionale e ‘determinazione dei confini tra Comuni’ – tratteggiate nella presente nota a sentenza – si vedano, in particolar modo, C. cost., sent. 30 giugno 1988, n. 743 e la successiva pronuncia C. cost., sent., 16 febbraio 1993, n. 55.