Con sentenza n. 5313, pubblicata lo scorso 14 maggio, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Tar) ha respinto il ricorso presentato da Wind Tre S.p.A. (Wind Tre o la Società) avverso, in particolare, la delibera Agcom n. 121/17/CONS (Delibera) che, a seguito di un’istruttoria comprensiva anche di una consultazione pubblica, ha stabilito che la fatturazione dei servizi di telefonia fissa debba avvenire con cadenza non inferiore al mese e che la fatturazione dei servizi di telefonia mobile debba avvenire con cadenza non inferiore a quattro settimane (con allineamento a fatturazione mensile, in caso di offerte congiunte sul fisso e sul mobile).
Il ricorso è stato incentrato sostanzialmente sull’interpretazione (anche rispetto alla normativa comunitaria di riferimento) ed applicazione degli articoli 70 e 71 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che, ad avviso della ricorrente, non consentirebbero un’estensione così ampia del potere regolatorio attribuito all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) al punto da “modificare le condizioni contrattuali in essere tra operatori e consumatori”.
Peraltro, sempre secondo la ricorrente, una siffatta modifica del periodo di fatturazione dei servizi adottata dagli operatori telefonici, rientrerebbe a pieno titolo nello jus variandi che ogni operatore può applicare nell’ambito dei contratti di durata (fatta salva la possibilità per gli utenti di recedere senza penali); ciò consentirebbe alle aziende presenti sul mercato di differenziare la propria offerta commerciale, aumentando, in ultima analisi, la possibilità di scelta dei consumatori.
In sede di ricorso, Wind Tre ha, inoltre, negato la circostanza per cui la fatturazione mensile risulterebbe più di immediata percezione rispetto a quella effettivamente praticata, in un contesto già caratterizzato da una significativa asimmetria informativa, e, in ogni caso, ha definito incongruo il termine di 90 giorni per l’adattamento alle nuove disposizioni.
Nonostante l’entrata in vigore dell’art. 19 – quinquiesdecies del decreto legge n. 148 del 16 ottobre 2017, convertito nella legge n. 172 del 4 dicembre 2012, che ha, di fatto, codificato quanto già regolato dall’Agcom, il Tar ha ritenuto comunque sussistente l’interesse a pronunciarsi sul ricorso (anche con riferimento al periodo intercorrente tra la pubblicazione della Delibera e l’applicazione del decreto – legge appena citato).
Il Tar ha ricondotto l’attività svolta dall’Agcom (con le delibere impugnate) agli obiettivi generali e principi della regolamentazione volti ad assicurare ai consumatori il massimo beneficio sul piano delle scelte, richiamando la legge istitutiva delle autorità amministrative indipendenti (tra cui, l’Agcom) nella parte in cui assegna in qualche misura il potere di determinare le condizioni di accesso ai servizi per esigenze di mercato o a tutela dell’utenza, nonché di definire i livelli generali di qualità delle prestazioni e dei servizi offerti sul mercato.
Il Tar ha proseguito la propria analisi distinguendo la funzione ‘giusdicente’, tipica delle autorità di regolazione (orientate alla tutela preventiva di tutti gli interessi potenzialmente sussistenti – imprese, consumatori ed utenti – nell’ottica di garantire un bene comune), dal ruolo delle amministrazioni pubbliche che, tradizionalmente, si trovano a dover contemperare, in maniera discrezionale, tra le esigenze di natura pubblica e i diversi (spesso confliggenti) interessi privati.
Inoltre, nel qualificare gli atti adottati dall’Agcom in materia come “strumenti di regolamentazione flessibile“ (mutuando tale espressione da un parere reso dal Consiglio di Stato in relazione all’Anac), il Tar ha ritenuto che le norme di carattere imperativo sopra richiamate attribuiscano alla stessa Agcom “poteri ampi di etero – integrazione, supplettiva e cogente dei contratti” per le finalità di tutela ad essa attribuita ex lege. Pertanto, il Tar ha concluso che l’Agcom abbia esercitato in maniera coerente e proporzionale i propri poteri.
L’argomento proposto dalla ricorrente secondo cui la decisione della cadenza del periodo di fatturazione rappresenterebbe una leva commerciale da sfruttare strategicamente a livello competitivo nei confronti degli altri operatori è stato integralmente rigettato dal Tar, il quale si è limitato a ricordare come sostanzialmente tutti gli attori presenti sul mercato si siano allineati su un ciclo di fatturazione quadri-semestrale (peraltro, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un procedimento su un’ipotesi di intesa anticoncorrenziale proprio a tal riguardo), annullando così ogni possibile effetto di switching della clientela da una compagnia telefonica ad un’altra. Nel caso di specie, l’elemento temporale della fatturazione riveste un elemento di particolare rilevanza per l’utenza, non ultimo anche per il disallineamento con la data dell’effettivo pagamento in caso di utilizzo del sistema del RID bancario.
Parimenti, non sono state accolte le doglianze di Wind Tre circa il limitato periodo di tempo a disposizione degli operatori per riadeguare i cicli di fatturazione, sulla base di alcune evidenze che hanno mostrato come alcune società abbiamo completato tale operazione nell’arco di due mesi dall’annuncio rivolto ai consumatori finali.
Sul punto, anche a seguito del summenzionato intervento dell’Autorità antitrust, lo scorso 16 maggio, l’Agcom ha pubblicato sul proprio sito internet un comunicato stampa con il quale ha annunciato di aver avviato un procedimento sanzionatorio nei confronti di Wind Tre e di Tim S.p.A. per condotte non conformi (specialmente, al livello di inadeguata informativa circa il diritto di recesso esercitabile dagli utenti finali) nel ripristino della cadenza mensile della fatturazione.