La sentenza in esame scaturisce dall’impugnazione della lex specialis della gara per la cessione di indumenti provenienti dalla raccolta differenziata nel Comune di Roma da parte di un’azienda esclusa dalla medesima.
Il disciplinare di gara prevedeva che la concorrente avrebbe dovuto dichiarare, a pena di esclusione, la sussistenza “dell’autorizzazione alle operazioni R3 e R13 per i codici CER 20.01.10 e CER 20.01.11, in corso di validità”, e che l’impianto fosse ubicato entro trenta chilometri dal centro città.
In primo grado la ricorrente, titolare di un impianto di trattamento di rifiuti più distante di quanto richiesto, aveva impugnato le predette previsioni del disciplinare e del capitolato tecnico, ritenendole restrittive della concorrenza ed il provvedimento con il quale era stata esclusa dalla gara, perché non in possesso del requisito di partecipazione richiesto.
Il T.A.R. aveva respinto il ricorso in quanto, consistendo il requisito di partecipazione nella sola disponibilità di un impianto (R13) nel quale stoccare il rifiuto e non anche di un impianto di trattamento, doveva ritenersi legittimo, ragionevole e giustificato, consentendo la raccolta con mezzi più piccoli e di minore impatto ambientale in ragione della prossimità con il luogo di produzione dei rifiuti.
La sentenza in esame era stata censurata per l’erronea interpretazione del disciplinare di gara, dal quale era dato evincere che requisito di partecipazione fosse il possesso dell’impianto con autorizzazioni R3 e R13 sito nel raggio di trenta chilometri dal centro della città, in violazione dei principi comunitari di trasparenza e massima concorrenza, ferma restando, ogni caso, l’irragionevolezza dell’impugnata clausola di territorialità, nonché l’illegittimità del procedimento di gara per mancata attivazione del codice CIG.
La ricorrente, inoltre, stigmatizzava la sentenza appellata nella parte in cui aveva ritenuto che la lex specialis di gara, desumibile dal capitolato tecnico e dal chiarimento reso con una FAQ della stessa stazione appaltante, richiedesse come requisito di partecipazione la disponibilità e/o l’autorizzazione relativa al solo impianto R13 di stoccaggio dei rifiuti, e non anche dell’impianto per il trattamento R3 ad una distanza massima dal centro di trenta chilometri; lamentava inoltre, nel presupposto che dovessero ricorrere entrambi i requisiti, che la lex specialis, interpretata nel senso dell’affermazione del principio di prossimità in tema di rifiuti destinati al recupero, violasse i principi comunitari di massima concorrenza e di parità di trattamento.
Il Consiglio di Stato ha rilevato che il contrasto tra il disciplinare ed il capitolato non era ravvisabile in sede di interpretazione sistematica. E ciò, anche se il disciplinare di gara richiedeva che la dichiarazione attestasse la sussistenza, in capo al concorrente, dell’autorizzazione alle operazioni R3 ed R13, utilizzando la congiunzione “e”, in un altro punto conteneva un rinvio al capitolato tecnico in tema di ubicazione dell’impianto, che stabiliva che il servizio riguardava la raccolta differenziata degli indumenti usati da avviare all’operazione di recupero R3 o R13, utilizzando la disgiuntiva “o” in ordine alla tipologia di impianto.
L’ambiguità trovava ulteriore chiarimento in un quesito presentato, la risposta al quale era nel senso che fosse sufficiente che il solo impianto di messa in riserva R13 fosse situato entro i 30 Km dalla Casa Comunale, a seguito del conferimento in R13, sarebbe poi stato onere dell’affidatario andare ad impianto R3, ed anche nella determina a contrarre, la quale aveva specificato che la cessione del materiale sarebbe avvenuta in un impianto di recupero autorizzato R3 o R13.
Il Giudice non ha ravvisato neanche la violazione dell’art. 181 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, atteso che la norma, in tema di rifiuti oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero, ammette la libera circolazione sul territorio nazionale, ma esprime il proprio favor per il principio di prossimità agli impianti di recupero, il quale è funzionale alla riduzione degli impatti ambientali derivanti dalla movimentazione dei rifiuti. E’ canone di ragionevolezza quello per cui la minore movimentazione permette di conseguire il migliore risultato ambientale possibile.
Il Consiglio di Stato ha disatteso anche la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in quanto non ha ravvisato un dubbio interpretativo in ordine alla compatibilità con le norme comunitarie della gara, che ammetteva i soli operatori che avessero la disponibilità di un impianto di messa in riserva dei rifiuti destinati al recupero nel raggio di trenta chilometri dalla sede dell’Amministrazione. A conferma della ragionevolezza della decisione amministrativa, militava anche il fatto che nell’ambito dei trenta chilometri dal centro di Roma insistono una pluralità di impianti idonei allo stoccaggio della raccolta differenziata dei tessuti, non potendo assumere valore dirimente la circostanza che di un tale impianto fosse sfornita l’appellante.
Non era dunque illogica o illegittima la clausola di territorialità contenuta nella lex specialis, la quale, per la sua natura di atto generale, non era assoggettata all’obbligo di motivazione.
E’, d’altro canto, rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione la scelta delle modalità di organizzazione del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti, non suscettibile di sindacato giurisdizionale, in assenza di chiari indici di irragionevolezza.
La ricorrente, infine, deduceva l’illegittimità della gara per mancata attivazione del codice CIG, secondo cui l’obbligo di indicazione del CIG attiene non già alla fase di scelta del contraente, ma alla fase esecutiva del procedimento di gara, ed in particolare alla stipula del contratto. Ad avviso dell’appellante, tale soluzione trascurava la finalità, connessa all’attribuzione del CIG, di determinazione dell’importo della contribuzione in favore dell’ANAC gravante sull’operatore economico che intende partecipare ad una gara. Anche tale motivo è stato disatteso dal Consiglio di Stato, legando l’obbligatorietà dell’indicazione del CIG alla stipula del contratto, essendo la stessa funzionale alla tracciabilità dei flussi finanziari. A tale considerazione doveva aggiungersi l’ulteriore dato che tiene conto della peculiarità del contratto oggetto di controversia, contratto attivo di alienazione di beni pubblici – i rifiuti consistenti in indumenti – e di concessione di servizi di smaltimento e riciclaggio.