Con la sentenza n. 59 del 2017, la Corte Costituzionale ha nuovamente affrontato la questione della potestà legislativa regionale in materia di canoni idroelettrici, considerata la perdurante mancata emanazione del decreto ministeriale previsto dall’art. 37, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2014, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese, conv. legge 7 agosto 2012, n. 134), il quale ha disposto che, «[a]l fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico».
La Consulta, con la sentenza n. 28 del 2014, aveva già avuto modo di riconoscere espressamente la legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 7, trattandosi di norma rientrante nella materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) in quanto finalizzata a garantire l’uniformità della disciplina sull’intero territorio nazionale. Al contempo, con le sentenze nn. 64 e 85 dello stesso anno, aveva chiarito che la determinazione e la quantificazione della misura dei canoni idroelettrici devono invece essere ricondotte alla competenza legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Infine, mediante la sentenza n. 158 del 2016, i giudici costituzionali avevano precisato che l’art. 37, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012 rientra nella materia «tutela della concorrenza» unicamente per la disciplina ivi dettata, ovvero, per la definizione dei «criteri generali» cui devono attenersi le Regioni nella determinazione dei «valori massimi» dei canoni. In altri termini e in sintesi, è ascrivibile alla tutela della concorrenza non l’intera disciplina della determinazione dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico, ma soltanto la definizione dei «criteri generali» che debbono poi essere seguiti dalle Regioni al momento di stabilire la misura dei canoni, mentre la circostanza per cui il citato d.m. non risulta ad oggi ancora adottato non può portare a considerare paralizzata la competenza regionale alla determinazione della misura dei canoni idroelettrici. Pertanto, le Regioni possono continuare a determinare i canoni idroelettrici nel rispetto dei principî fondamentali statali nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
La sentenza in epigrafe risulta interessante in quanto offre nuovi spunti e ulteriori specificazioni alla richiamata giurisprudenza costituzionale, pur muovendosi in senso conforme alla stessa.
Viene infatti dichiarata l’illegittimità costituzionale di diverse disposizioni contenute in tre distinte leggi regionali abruzzesi emanate nel 2016, le quali – intervenendo tutte, in vario modo, sull’art. 12 della legge della Regione Abruzzo 3 agosto 2011, n. 25 (Disposizioni in materia di acque con istituzione del fondo speciale destinato alla perequazione in favore del territorio montano per le azioni di tutela delle falde e in materia di proventi relativi alle utenze di acque pubbliche) – prescrivono che, ai fini della determinazione del canone idroelettrico per le utenze con potenza superiore a 220 kw, si faccia riferimento alla
«potenza efficiente» anziché alla «potenza nominale media», indicata come criterio tariffario dalla normativa statale di riferimento adottato da tutte le altre Regioni.
È lo stesso Giudice delle leggi ad osservare come, a differenza di quanto compiuto dalla legge della regione Piemonte oggetto della sentenza n. 158 del 2016, la Regione Abruzzo non si sia limitata a quantificare il costo unitario del canone, di propria competenza, bensì abbia adottato un vero e proprio criterio per la determinazione della misura del canone idroelettrico – ovvero, la potenza efficiente – diverso da quello della «potenza nominale media» previsto dagli articoli 6 e 35 del r.d. n. 1775 del 1933, che, stante la mancata adozione del decreto ministeriale, rimane ancor oggi la normativa di riferimento «inderogabile da parte delle Regioni».
La sentenza in oggetto rappresenta quindi un ulteriore invito all’emanazione del decreto ministeriale più volte richiamato, in assenza del quale la disposizione legislativa che ad esso rinvia non è ancora pienamente operante ed efficace, con il rischio di dar luogo ad ulteriori ricorsi costituzionali.