Secondo il Giudice delle leggi non è fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento all’articolo 15, comma per la violazione degli articoli 3, 41 e 76 della Costituzione, dell’art. 15, comma 10, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (norma di recepimento della Direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale) nella parte in cui consente senza limitazioni – da intendersi come territoriali o funzionali e per un periodo transitorio che potrebbe protrarsi oltre i cinque anni previsti in via generale – alle società che gestiscono ‘servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica’, la partecipazione alla gara per l’affidamento del servizio pubblico locale di distribuzione del gas naturale.
Più precisamente, con ordinanza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria, venivano denunciate la violazione:
a) degli articoli 3 e 41 della Costituzione, per contrasto della norma censurata con il ‘principio della parità di condizioni tra i possibili concorrenti e della stessa uguaglianza di trattamento tra posizioni potenzialmente simili’, in quanto le società che gestiscono ‘servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica’ sarebbero, nella loro posizione di ‘affidatarie dirette’, destinatarie di rilevanti agevolazioni fiscali e vantaggi economici;
b) dell’art. 76 della Costituzione sotto il profilo della inosservanza dei principi e criteri direttivi dettati dall’art. 41, lettera c), della legge 17 maggio 1999, n. 144, recante ‘Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali’, in quanto il decreto delegato non avrebbe eliminato ‘ogni disparità normativa tra i diversi operatori nel sistema del gas’, al fine di garantire condizioni e trattamenti non discriminatori a favore delle imprese.
Relativamente alla pretesa violazione dell’art. 76 della Costituzione per mancata osservanza dei principi e criteri direttivi dettati dall’art. 41, lettera c), della legge n. 144 del 1999, la Corte osserva che l’obbligo da questa disposto di «eliminare ogni disparità normativa tra i diversi operatori nel sistema del gas, garantendo, nei casi in cui siano previsti contributi, concessioni, autorizzazioni o altra approvazione per costruire o gestire impianti o infrastrutture del sistema del gas, uguali condizioni e trattamenti non discriminatori alle imprese» non è tale da escludere un ragionevole regime transitorio (cfr. sentenze n. 217 del 1998; ordinanza n. 131 del 1988), ma deve essere interpretato alla luce dell’intera legge di delega, diretta espressamente a dare attuazione alla direttiva 98/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 (relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale), e quindi inserita nell’ambito di un sistema di apertura del mercato nazionale da attuarsi con gradualità in un quadro di integrazione europea, in modo da facilitare la transizione del settore italiano del gas ai nuovi assetti europei.
La Corte afferma altresì che non è possibile configurare, ai fini del giudizio relativo all’art.15, comma 10, del d.lgs. n. 164 del 2000, una violazione dei limiti della delega sotto il profilo della eguaglianza di condizioni e di pari opportunità tra i diversi operatori del settore, con l’obiettivo finale di eliminare situazioni di privilegio preesistenti previste dalla normativa comunitaria, in quanto la stessa direttiva comunitaria presupponeva l’esistenza di differenze tra le varie economie, con l’eventualità di deroghe a carattere temporaneo e limitato, nonché l’esigenza di gradualità nell’instaurazione del mercato interno del gas.
Inoltre, continua la Corte per quanto riguarda la possibilità di partecipare alle gare prevista dalla norma denunciata, non sussiste una situazione di diseguaglianza o discriminatoria, in quanto a tutti i soggetti è attribuita tale facoltà di partecipazione nel periodo transitorio, dilazionando, in detto periodo, la preclusione per determinate situazioni sancita in via definitiva da norma destinata a operare a regime. Tali considerazioni conducono quindi la Corte Costituzionale anche ad escludere la violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, in quanto il regime transitorio (art. 15, comma 10, del d.lgs. n. 164 del 2000) può essere, di per sé stesso come regime temporaneo di transizione, divergente dalla situazione definitiva.