Con la sentenza del 19 maggio 2016, n. 2095, la Sezione Quinta del Consiglio di Stato si è pronunciata sulle condizioni che devono sussistere affinché la revoca dell’aggiudicazione per sopravvenuti motivi di opportunità – in particolare, in ipotesi di ritiro dell’aggiudicazione definitiva in vista del formarsi di un contenzioso giurisdizionale – possa ritenersi legittima.
Nel caso di specie, due società partecipavano ad una procedura di gara – bandita con procedura aperta e con il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa – per l’affidamento del servizio di direzione lavori, misurazione e contabilità, assistenza al collaudo, nonché coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori per l’intervento di potenziamento e sistemazione della rete idrica cittadina.
La ditta seconda classificata impugnava il provvedimento di aggiudicazione definitiva, lamentando la mancata esclusione dell’aggiudicataria per una pluralità di ragioni.
Si costituiva in giudizio l’aggiudicataria, che proponeva altresì ricorso incidentale, contestando la sussistenza in capo alla ditta ricorrente principale dei requisiti necessari per poter partecipare alla gara.
Nelle more della camera di consiglio per la discussione dell’istanza cautelare, il Comune provvedeva a revocare in autotutela la gara di appalto in questione, disponendo la nomina di una figura interna al Comune.
La ricorrente principale proponeva motivi aggiunti avverso quest’ultimo provvedimento chiedendone l’annullamento per manifesta illogicità del motivo posto dal Comune a fondamento della revoca, visto il rinvio nel breve termine della camera di consiglio.
Anche l’aggiudicataria impugnava, con autonomo ricorso, il suindicato provvedimento di revoca, sostenendone l’illegittimità e chiedendo altresì il risarcimento del danno.
Con la sentenza n. 5625 del 3 dicembre 2015, il Tar Campania riuniva i suddetti ricorsi e affermava la legittimità del provvedimento di revoca impugnato.
Secondo il Tar, la revoca era giustificata dalla necessità di provvedere con la massima urgenza alla nomina del direttore dei lavori per non perdere il finanziamento per i lavori in controversia: questi riguardavano il potenziamento e la sistemazione della rete idrica ed erano stati ammessi a finanziamento da parte della Regione, mediante la stipulazione di apposita convenzione.
In particolare, il tempo occorrente per la definizione del giudizio di primo grado aveva inibito la sottoscrizione del contratto di appalto (e conseguentemente la nomina del direttore dei lavori) e l’attesa avrebbe potuto compromettere il finanziamento dei lavori.
Pertanto, la nomina di personale interno aveva reso necessaria la revoca in autotutela della gara di appalto ed i principi di buon andamento e di economicità dell’azione pubblica, oltre al risparmio per le casse comunali, rendevano indispensabile tale passaggio, in considerazione della sopraggiunta disponibilità, da parte del responsabile dell’ufficio tecnico comunale, ad assumere l’incarico di direzione dei lavori.
Ciò posto, da un lato la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca (specificamente censurata dall’aggiudicataria) era giustificata dalle richiamate esigenze di celerità e, dall’altro lato, il Tar riteneva che sarebbe stato comunque applicabile alla fattispecie in questione il disposto dell’art. 21-octies l. n. 241/1990, in quanto il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Quanto agli altri vizi lamentati, il giudice di prime cure rilevava come l’ordinamento giuridico riconosca, in via generale, la possibilità di revoca dell’affidamento dell’incarico e l’intera procedura di gara di gara, fino alla stipula del contratto di appalto, qualora l’affidamento non sia
più rispondente all’interesse pubblico, salve le (eventuali) conseguenze di natura risarcitoria o indennitarie.
Nel caso di specie, poi, la motivazione di interesse pubblico fornita dal Comune – consistente nelle ragioni di urgenza di far iniziare i lavori dell’appalto collegato, per il rischio di perdere il finanziamento relativo a quest’ultimo – giustificava del tutto la revoca (anche indipendentemente dalle ragioni per cui tale rischio si era determinato e del fatto che ciò fosse collegato alla pendenza di un ricorso), poiché la proposizione di un ricorso giurisdizionale non privava l’amministrazione del potere di provvedere sulla situazione portata all’attenzione del giudice e di intervenire in sede di autotutela sugli stessi provvedimenti impugnati.
Entrambe le società proponevano appello al Consiglio di Stato.
Con la sentenza in esame, la Sezione Quinta, riuniti gli appelli ex art. 96 c.p.a., ha ritenuto fondate, sotto diversi profili, le censure proposte dalle appellanti.
Ad avviso del Consiglio di Stato, se l’emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva non è, in generale, sufficiente per superare la potestà della P.A. di emanare atti di secondo grado – impediti solo dalla stipula del contratto con l’aggiudicatario – si deve però rilevare che la posizione dell’aggiudicatario definitivo non è rimovibile in base a presupposti di fatto di scarsa consistenza così come quelli invocati, nella fattispecie, dalla resistente P.A.
In proposito, il giudice d’appello ha rilevato, innanzitutto, che quanto deliberato dal Comune non configura un annullamento d’ufficio, ma una revoca per sopravvenuti motivi di opportunità, motivi che, secondo il Comune, si dovrebbero rinvenire nel non previsto contenzioso giurisdizionale apertosi a seguito dell’aggiudicazione (contenzioso che avrebbe portato l’affidamento definitivo a tempi lunghi e comunque alla perdita dei finanziamenti), nella sopravvenuta possibilità di “internalizzare” la direzione dei lavori idraulici oggetto della gara ed, infine, nella conseguente minor spesa derivante alle casse comunali.
Sennonché, per il Consiglio di Stato è illegittima una deliberazione di ritiro di un’aggiudicazione definitiva in vista del formarsi di un contenzioso giurisdizionale: sia perché ciò porterebbe ad una chiara ed evidente violazione della tutela dei diritti degli interessi dei soggetti, principio garantito dall’art. 24 della Costituzione, peraltro in un campo ove la velocizzazione dei processi negli ultimi anni non può essere messa in discussione, se non cadendo in grave mala fede e senza ignorare i lunghi tempi amministrativi richiamati dalle parti appellanti che hanno preceduto l’aggiudicazione in questione; sia perché una diversa interpretazione potrebbe portare facilmente ed assurdamente ad una continua elusione di qualsiasi forma di tutela giurisdizionale.
D’altro canto, la Sezione Quinta ha anche osservato che, nel caso di specie, non è comprensibile la modificazione delle decisioni del Comune (dapprima di “esternalizzare” il servizio, ponendolo in gara in tempi non lunghi, e, poi, di internalizzarlo, mediante il rinvenimento di proprie risorse interne individuate in figure professionali di carattere apicale esistenti nella pianta organica comunale), né appaiono adeguati i richiami ai presunti risparmi di spesa. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, l’aggiudicazione definitiva già disposta comportava una spesa superiore soltanto di qualche centinaio di Euro rispetto alle somme da corrispondere al personale interno, su grandezze finanziarie di alcune decine di migliaia di Euro.
Per di più – osserva ancora il Consiglio di Stato – a tali circostanze si aggiungono anche la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca, con il conseguente mancato ascolto delle parti interessate (passaggio che avrebbe implicato la spendita di pochi giorni), e la mancata previsione di un indennizzo (previsione invero anche rinviabile ad un momento successivo, ma tuttavia nemmeno menzionata nel provvedimento di revoca).