Va annullata la sentenza del TAR Puglia, sede di Lecce, sez. I, n .178 del 5 febbraio 2002, con la quale, sul ricorso proposto da un Comune pugliese, erano stati censurati i provvedimenti che avevano affidato in via diretta all’Acquedotto Pugliese S.p.A., la gestione di un impianto consortile per il trattamento dei liquami urbani di alcuni Comuni pugliesi e la realizzazione delle opere a tal fine necessarie.
Ad avviso dei Giudici del Consiglio di Stato, «la trasformazione dell’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese in società per azioni, per effetto dell’articolo 1 del d. lgs 11 maggio 1999, n. 141…non ha comportato alcuna soluzione di continuità nell’attività svolta da detto Ente».
Stante il disposto dell’articolo 2 del ricordato decreto legislativo, infatti, alla società per azioni derivante dalla trasformazione dell’Ente «sono affidate…fino al 2018, le finalità già attribuite all’Ente della normativa riguardante l’ente stesso».
La stessa previsione normativa, inoltre, al secondo comma, precisa che «la società provvede, altresì, alla gestione del ciclo integrato dell’acqua e, in particolare, alla captazione, adduzione, potabilizzazione, distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue».
Il quadro normativo disciplinante l’Acquedotto Pugliese ha inteso delinearne puntualmente la “missione”, individuandola precipuamente nella «gestione degli interventi riguardanti opere infrastrutturali idriche di adduzione, distribuzione, depurazione e fognature già realizzate ovvero in corso di realizzazione, nonché nel completamento delle stesse e nella realizzazione delle opere che dovessero ritenersi necessarie, assicurando pertanto, per un verso, la continuità del funzionamento di una struttura di indiscutibile rilevanza pubblica e, per altro verso, alla nuova società per un periodo ritenuto ragionevole dal legislatore (20 anni, fino al 2018) una posizione particolare di privilegio e un sostanziale regime di riserva».
La peculiare posizione dell’Acquedotto Pugliese S.p.A. – osservano ancora i Giudici – «non costituisce un unicum irragionevole o irrazionale nel quadro ordinamentale, atteso che essa appare coerente con la disciplina, per così dire generale in materia di privatizzazione degli enti pubblici di cui all’articolo 14 del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgente per il risanamento della finanza pubblica), convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, a mente della quale le attività attribuite o riservate per legge o con atti amministrativi agli enti privatizzati restano attribuiti a titolo di concessione (comma 1), di durata in ogni caso non inferiore a venti anni (comma 3)».
L’Acquedotto Pugliese S.p.A., dunque, in forza del delineato quadro normativo, è da considerarsi concessionario ex lege fino al 31 dicembre 2018 non solo di tutte le finalità già precedentemente attribuite all’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese, ma anche della gestione del ciclo integrato dell’acqua e, in particolare, della captazione, adduzione, potabilizzazione, distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue (articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141).
L’Acquedotto Pugliese S.p.A., inoltre, al di là della forma privatistica, ha un capitale interamente pubblico ed ha un’evidente missione di rilevanza pubblica e, come tale, integra gli estremi dell’organismo di diritto pubblico che è assoggettato all’applicazione della normativa interna e comunitaria sugli appalti da essa affidati a terzi, ipotesi che tuttavia non si rinviene nel caso di specie.
La delineata peculiare posizione dell’Acquedotto Pugliese S.p.A – osservano conclusivamente i Giudici del Consiglio di Stato – «da un lato, esclude la tesi dei primi giudici secondo cui ogni Comune potrebbe autonomamente affidare la gestione di ogni singola opera rientrante nell’ambito del sistema delle risorse idriche e, dall’altro, elimina ogni dubbio sulla compatibilità con la normativa comunitaria dell’affidamento diretto».