TAR Sicilia, sez. I, 5 novembre 2007 n. 2511 in tema di requisiti necessari per il legittimo ricorso al modello della «società mista».

05.11.2007

Devono condividersi le conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez.II  – parere n. 456/07 del 18/04/2007) in ordine alle condizioni di compatibilità con il sistema comunitario dell’istituto della “società mista”.
Tale compatibilità può essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, almeno nel caso in cui, avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato, «non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo (C.d.S. Sez.II, parere 456/07)». Occorre quindi che il socio privato sia identificabile quale “socio di lavoro” o socio industriale, assumendo in altri termini, e per un periodo limitato, un ruolo meramente operativo e non anche finanziario.
Tali considerazioni – osservano i Giudici del TAR Sicilia – inducono a dover disattendere l’orientamento espresso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana con la decisione 27 ottobre 2006 n. 589 secondo la quale, malgrado l’espletamento della gara per la scelta del socio, si dovrebbe comunque procedere ad un’ulteriore gara per il conferimento del servizio.
La “doppia gara” (già ritenuta non necessaria dalla giurisprudenza prevalente, come riconosce lo stesso C.G.A. nella propria motivazione) non costituisce ex ante una garanzia per il rispetto della normativa comunitaria in tema di concorrenza, posto che, come rilevato anche dal C.d.S. nel citato parere 456/07, «sembrano comunque ravvisarsi elementi di conflitto di interessi e di distorsione del mercato, senza risolvere la pretesa “anomalia” della società mista ma anzi consentendole di conservare, nel confronto con le altre imprese “solo” private, la sua “situazione privilegiata” dell’essere partecipata dalla stessa amministrazione che indice l’appalto».
Il ricorso alla “società mista” – modello che comunque non è da considerarsi “ordinario” e che impone all’Amministrazione di motivare congruamente sulla sua necessità – «risulta compatibile con le previsioni comunitarie (quantomeno) nel caso in cui questa non costituisca, in sostanza, la beneficiaria di un affidamento diretto, ma la modalità organizzativa con la quale l’Amministrazione controlla l’affidamento disposto, con gara, al “socio operativo” della società».
Il modello “società mista” appare percorribile – posto che siano ravvisabili congrue ragioni per non procedere ad un affidamento integrale esterno – in presenza di adeguate garanzie, ossia:
1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra la gara per l’affidamento del servizio pubblico e la gara per la scelta del socio, in cui quest’ultimo si configuri come un “socio industriale od operativo”, che concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso;
2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione “alla scadenza del periodo di affidamento” (in tal senso, soccorre già una lettura del comma 5, lett. b), dell’art. 113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo comma 12), evitando così che il socio divenga “socio stabile” della società mista, possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all’esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario.
a cura di Luigi Alla


Scarica documento