Corte Costituzionale, 24 luglio 2003, sent. n. 276
In un atto giurisdizionale, l’interpretazione restrittiva di una norma regionale, se formulata sulla base di un ragionamento interpretativo desunto dai principi fondamentali enunciati nella legge regionale medesima, non costituisce elemento sufficiente a giustificare un conflitto di attribuzione tra la Regione interessata e lo Stato; tale conflitto di attribuzione è infatti ammissibile solo in caso di disapplicazione di una norma regionale.
Giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della sentenza della Corte di Cassazione sez.3° penale, n. 204 del 23 gennaio 2001, che, disapplicando l’art.4 della legge Regione Lombardia 19 novembre 1999, n. 22, ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sondrio del 28 luglio 2000, relativa al sequestro preventivo di un cantiere edile, promosso con ricorso della Regione Lombardia.
La Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione, sezione terza penale, il 23 gennaio 2001, n. 204, che ha annullato, senza rinvio, l’ordinanza del Tribunale del riesame di Sondrio del 28 luglio del 2000, che a sua volta aveva annullato il decreto di sequestro preventivo di un cantiere edile, a seguito della contestazione del reato di costruzione in assenza di concessione edilizia. A detta della ricorrente, nel pronunciare la sua sentenza la Corte di Cassazione, in netto contrasto con la legislazione regionale vigente, avrebbe ritenuto preferibile ricondurre la disciplina regionale ai principi fondamentali della legislazione urbanistica statale, secondo i quali il regime concessorio non può essere sostituito dalla semplice denuncia di inizio di attività.
Ribadita la suscettibilità degli atti giurisdizionali di essere posti a base di un conflitto di attribuzione anche tra Regioni e Stato (purché il conflitto stesso non si risolva in un improprio strumento di sindacato e di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale), la Corte Costituzionale ha giudicato la questione non ammissibile, fondando il suo giudizio su una valutazione dell’attività interpretativa compiuta dalla Corte di Cassazione e del rapporto tra questa e la legislazione regionale di riferimento. In particolare, a detta della Corte Costituzionale non potrebbe ravvisarsi nel comportamento della Corte di Cassazione una vera e propria ‘disapplicazione’ della norma regionale, ma solo una interpretazione restrittiva della medesima, elaborata sulla base di quei principi fondamentali enunciati espressamente proprio in un articolo della legge regionale. Come tale, il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione è innammissibile, risolvendosi in un mero contrasto avente ad oggetto esclusivamente la portata da annettere ad una proposizione ermeneutica, che spetta comunque alla Corte di Cassazione definire, in qualità di organo chiamato ad assicurare, ai sensi dell’art.65 dell’ordinamento giudiziario, l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
Giurisprudenza richiamata:
– sulla suscettibilità degli atti giurisdizionali di essere posti a base di conflitto di attribuzione tra Regioni e Stato, oltre che tra poteri dello Stato, purché il conflitto medesimo non si risolva in mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale: Corte Costituzionale, sent. nn. 289 del 1974, 98 e 183 del 1981, 70 del 1985, 285 del 1990, 99 e 175 del 1991, 357 del 1996;
– sull’esigenza di interpretare in maniera restrittiva i motivi di ammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione tra le Regioni e lo Stato fondati su decisioni giurisdizionali, escludendo da essi i ricorsi volti a far valere vizi o errori di giudizio (in relazione ai quali gli unici rimedi attivabili sono quelli previsti dall’ordinamento processuale): Corte Costituzionale, sent.n. 27 del 1999;