Relativamente al momento in cui devono essere sussistenti le condizioni che, integrando la nozione di “controllo analogo”, legittimano l’affidamento diretto secondo il modello in house, il Collegio osserva che deve farsi «riferimento alle regole di governo societario vigenti all’epoca dell’adozione dell’affidamento» e che, pertanto, «non possono essere prese in considerazione modifiche sopravvenute». Ad avviso dei Giudici, infatti, «una diversa soluzione, che annettesse rilievo sanante alle modifiche statutarie sopravvenute all’affidamento, darebbe la stura a meccanismi elusivi, imperniati su affidamenti illegittimi a posteriori sanati, in chiaro contrasto con il principio dell’effetto utile, di derivazione comunitaria, che deve presiedere alla decifrazione dell’istituto in parola».
Consiglio di Stato, Sez. V, 26 agosto 2009 n. 5082, in tema di requisiti necessari ai fini di un legittimo affidamento in house in favore di una società partecipata da più enti pubblici.
26.08.2009
In caso di affidamento in house effettuato in favore di società partecipata da più enti pubblici, al fine di verificare se sussiste il requisito del “controllo analogo” deve farsi riferimento ad un «criterio sintetico che traguardi in modo complessivo la collettività dei soci governata in ambito societario attraverso il metodo maggioritario», e non ad un approccio atomistico che consideri singulatim la posizione di ogni ente locale nei confronti del soggetto affidatario. (cfr. Cons. Stato, sentenza 1365/2009).
Tale conclusione è, del resto, perfettamente in linea con l’orientamento espresso dalla più giurisprudenza comunitaria nella sentenza della Corte di Giustizia 13 novembre 2008, in causa C-324-07, “Coditel Brabant SA”.
I principi di diritto enunciati nel caso “Coditel Brabant SA” consentono quindi di affermare che ai fini della configurabilità di un “controllo analogo”, non è necessaria la ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di un potere di controllo del singolo socio affidante sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 c.c..
La linea interpretativa tracciata dalla Corte di Giustizia è nel senso dell’esigenza che «il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati».
Ai fini della verifica, in concreto, della sussistenza delle condizioni che integrano la nozione di “controllo analogo” deve tenersi conto del fatto che la figura dell’in house providing si configura come un modello eccezionale, i cui requisiti vanno interpretati con rigore poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto comunitario imperniate sul modello della competizione aperta. (Cons. Stato, sez. II, parere 456/2007; C.G.A.R.S., sentenza 719/2007, n. 719; Cons. Stato, sez. VI, 1514/07).
In tale linea di ragionamento, la giurisprudenza amministrativa, recependo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, ha rimarcato che il “controllo analogo”, idoneo ad escludere la sostanziale terzietà dell’affidatario domestico rispetto al soggetto affidante, si configura «in presenza di un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato da parte dell’ente controllante-affidante che consenta a quest’ultimo di dettare le linee strategiche e di influire in modo effettivo ed immediato sulle decisioni dell’affidatario».
In definitiva, il requisito del «controllo analogo» postula un rapporto che «lega gli organi societari della società affidataria con l’ente pubblico affidante, in modo che quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare “tutta” l’attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento. Deve quindi trattarsi di una relazione equivalente, ai fini degli effetti pratici – pur se non identica in ragione della diversità del modulo organizzatorio – ad una relazione di subordinazione gerarchica, che si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sul soggetto societario».
Tale situazione si determina nel caso in cui il Consiglio di amministrazione della S.p.A. affidataria “in house” non abbia rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico affidante – o, nel caso di pluralità degli Enti affidanti, la totalità dei soci pubblici – eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria (Cons. Stato, sez. VI, 1514/2007).
Osta alla configurabilità del modello in house l’acquisizione, da parte dell’impresa affidataria, di una vocazione schiettamente commerciale tale da rendere precario il controllo dell’ente pubblico. Detta vocazione, può, in particolare, risultare dall’ampliamento, anche progressivo, dell’oggetto sociale e dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali o dall’espansione territoriale dell’attività della società: l’affermarsi di una vocazione strategica basata sul rischio di impresa finisce infatti per condizionare le scelte strategiche dell’ente asseritamene in house, distogliendolo dalla cura primaria dell’interesse pubblico di riferimento e, quindi, facendo impallidire la natura di costola organica, pur se entificata, dell’ente o degli enti istituenti (Cons. Stato, sez. VI, 1514/2007, e sez. V, 5/2007).