Corte Costituzionale, 20/11/2009 n. 307, in tema di costituzionalità di alcune previsioni in materia S.I.I. contenute nella L.R. Lombardia 26/2003 Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale, cosi come modificata dalla L.R. 18/2006.

20.11.2009

Deve ritenersi costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117, 2 co., let. p), Cost., l’art. 49, 1 co., della L.R. Lombardia n. 26/2003, Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche, come sostituito dall’art. 4, co.1, let. p), della L.R. Lombardia 18 agosto 2006, n. 18.
La richiamata legge regionale, che impone il principio della separazione tra la gestione della rete e l’erogazione del servizio idrico, si pone in contrasto con la disciplina statale di settore che non consente la separabilità tra gestione della rete e gestione del servizio idrico integrato. Ad avviso della Corte, infatti, il principio della non separabilità, risulta vincolante per il legislatore regionale, in quanto «le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l’evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è…affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117 della Costituzione».
Devono, invece, ritenersi infondate le censure di costituzionalità sollevate in riferimento all’articolo 117, 2 co., let. e) della Costituzione, nei confronti delle disposizioni relative all’affidamento del servizio idrico integrato dettate dall’art. 49, 4 co., della L.R. Lombardia n. 26 del 2003, come sostituito dall’art. 4, 1 co., let. p), della L. R. Lombardia n. 18 del 2006.
Le censurate previsioni regionali prevedevano come unica modalità di affidamento l’effettuazione della gara pubblica, mentre la disciplina statale vigente al momento della proposizione del ricorso (art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000) prevedeva una pluralità di forme di affidamento, consentendo che esso avvenisse, oltre che a favore di società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, anche, a determinate condizioni, a favore di società a capitale misto pubblico–privato ovvero di società a capitale interamente pubblico.
La difformità di impostazione tra la disciplina regionale e quella statale in materia di affidamento di servizi pubblici locali è rimasta anche successivamente all’introduzione della disciplina recata dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, che si è in parte sovrapposta e in parte integrata con quella dell’art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000.
La disciplina da ultimo richiamata, infatti, anche se ha generalizzato il principio dell’affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica mediante gara (regime ordinario) ha mantenuto la possibilità di fare ricorso a forme di affidamento differenti (regime derogatorio), seppure limitandone ulteriormente le possibilità di effettivo ricorso in presenza di condizioni fortemente restrittive e comunque nel pieno rispetto della disciplina comunitaria.
Conformemente all’orientamento espresso fin dalla pronuncia n. 272/2004, la Corte ha affermato che le disposizioni in materia di affidamento dei servizi pubblici locali devono essere ricondotte «[a]ll’esercizio della competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione». Tuttavia, nel motivare la propria conclusione in ordine alla compatibilità costituzionale delle censurate disposizioni regionali, il Giudice delle Leggi – rilevato che «le norme statali, tanto quelle vigenti all’epoca dei fatti, quanto le attuali, sono…meno rigorose di quelle poste dalla Regione» – ha osservato come, in definitiva, la questione che pone controversia devoluta al suo apprezzamento è quella di «stabilire se le Regioni, in tema di tutela della concorrenza, [possano] dettare norme che tutelano più intensamente la concorrenza, rispetto a quelle poste dallo Stato».
Nel risolvere affermativamente il quesito, la Corte afferma espressamente che «la Costituzione pone il principio, insieme oggettivo e finalistico, della tutela della concorrenza, e si deve, pertanto, ritenere che le norme [regionali] impugnate, in quanto più rigorose delle norme interposte statali, ed in quanto emanate nell’esercizio di una competenza residuale propria delle Regioni, quella relativa ai “servizi pubblici locali”, non possono essere ritenute in contrasto con la Costituzione» (Cons. dir. § 6.2).
a cura di Luigi Alla


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