Sulla riforma delle Province errare humanum est, perseverare autem diabolicum
L’incandescente fascicolo giacente presso la Corte Costituzionale sulla questione Province è destinato a rimanere aperto anche per il 2014. Il Giudice delle leggi è stato infatti chiamato ancora una volta ad esprimersi sulla spinosa, quanto disordinata, riforma dell’ente intermedio da un Tribunale Amministrativo nel contesto di un ricorso promosso da alcuni cittadini già amministratori della Provincia di Cagliari. Ma questa volta oggetto del sindacato di costituzionalità non è la “Provincia” delle Regioni a statuto ordinario, presa più volte di mira dagli interventi del legislatore statale, ma la “Provincia” di una Regione a statuto speciale come la Sardegna. Il TAR Sardegna con l’ordinanza n. 881 del 13/12/2013 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata dai ricorrenti in occasione dei reiterati commissariamenti che la Regione Sardegna ha operato per tutte le Province sarde compreso quella cagliaritana. Netti ed inequivocabili i principi costituzionali evidenziati nell’ordinanza, così come trancianti appaiono i giudizi che il medesimo TAR non ha esitato ad indirizzare nei confronti di una Regione che “nel caos istituzionale”, generato anche a seguito dell’improvvisato referendum regionale, ha preferito la temeraria scorciatoia del commissariamento sine die delle Province.
Tanti gli spunti di riflessione contenuti nella citata ordinanza, a cui si rimanda per una lettura integrale del testo, a cominciare dalla condivisa legittimazione ad agire in giudizio dei ricorrenti che “lamentano non già la propria cessazione del mandato in sé, ma il fatto che la stessa sia avvenuta al di fuori del meccanismo previsto dal TUEL, cioè la decisione della Regione di sospendere lo svolgimento delle elezioni e provvedere al commissariamento sine die della Provincia”. Da fare arrossire è la critica mossa dal TAR nei confronti della Regione Sardegna che “quand’anche avesse riscontrato, all’esito dei referendum, elementi di incertezza circa l’individuazione e/o ripartizione delle circoscrizioni elettorali della Provincia di Cagliari, invece che commissariare l’ente, avrebbe dovuto adottare le misure organizzative necessarie allo svolgimento delle nuove elezioni, nell’ambito della sua ordinaria funzione di organizzazione delle elezioni provinciali”. Ma le argomentazioni più significative del TAR concernono i profili di incostituzionalità di cui sembra essere affetta sia la l.r. n. 15/2013 che il d.l. n. 93/2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 119/2013, nella parte in cui comportano il commissariamento delle Province “storiche” della Sardegna (tra cui Cagliari), per violazione dell’art. 43 dello Statuto nonché degli articoli 3, 5 e 118 della Costituzione. Per i Giudici amministrativi “un così evidente svuotamento preventivo dell’autonomia provinciale, non preceduto dall’abolizione dell’ente nelle forme consentite (cioè con legge costituzionale), sia certamente inconcepibile quanto meno in relazione ad una provincia, come quella di Cagliari, che gode di copertura costituzionale ad hoc in virtù del riconoscimento della sua natura di ente territoriale e del suo espresso collegamento con la popolazione che lo abita operato dall’art. 43 dello Statuto della Regione Sardegna”.
In sostanza, i Giudici amministrativi ritengono fondata l’eccezione di costituzionalità eccepita dai ricorrenti in considerazione del fatto che il commissariamento della Provincia di Cagliari non è altro che una “abolizione larvata” dell’ente territoriale intermedio per mano di una fonte legislativa a ciò non autorizzata. Il commissario infatti nominato dalla Regione in sostituzione degli organi di governo dell’ente territoriale (presidente, giunta e consiglio provinciale), mentre non è ictu oculi espressione della volontà popolare, è incapace di assicurare l’autonomia politica di un ente dotato di copertura statutaria (rectius, costituzionale).
Evidentemente alla Regione Sardegna, alla quale è stata riconosciuta dalla medesima Corte Costituzionale con sent. n. 230/2001 la prerogativa di istituire le quattro nuove Province in forza di una indiscutibile competenza esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, sfuggono i termini del corretto rapporto tra detta competenza esclusiva e i principi costituzionali cosiddetti di sistema. Con particolare riferimento alla materia dell’ordinamento degli enti locali nelle Regioni a statuto speciale, la Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza[1] ha infatti ammesso che il legislatore regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni. In particolare, la medesima Corte[2] ha affermato che una disposizione come quella di cui all’art. 5 della Costituzione certamente impegna la Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia speciale, a riconoscere e a promuovere le autonomie, ed ha anche aggiunto che le leggi regionali possono bensì regolare l’autonomia degli enti locali, ma mai comprimere fino a negarla. Analogamente, si è ritenuto doveroso il “coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento”, in considerazione “dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta”[3].
Ciò significa che la Regione Sardegna non è vincolata all’osservanza di una specifico modello istituzionale analogo alla legislazione statale per disciplinare l’assetto degli enti locali ma, come già affermato per la consorella Regione Friuli-Venezia-Giulia, “deve rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le sue autonome determinazioni <<deve favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali>>”[4], utilizzando il criterio storico per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale per “quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico”[5]. In tale direzione è certamente da respingere la “definizione stipulativa” secondo cui l’autonomia della Regione Sardegna ricomprende solo tutto ciò che deve essere garantito nei confronti delle potestà spettanti ai livelli di governo superiori, ma non tutto ciò che permette di comprimere l’autonomia del livello di governo inferiore.
E poiché gli enti espressione di “autonomia” sono quelli che consentono di partecipare all’adozione di decisioni, incidendo nei processi di deliberazione pubblica che li riguardano, il commissariamento sine die degli organi di governo di una Provincia come quella di Cagliari trova un ostacolo certo nell’art. 5 della Costituzione. Infatti, la richiamata sent. n. 83 della Corte Costituzionale è in grado di offrire un ulteriore elemento di riflessione sul punto. In essa si afferma che “la garanzia delle comunità territoriali minori non può subire, nel suo nucleo essenziale, significative alterazioni quando, anziché il sistema della autonomie ordinarie, venga in considerazione quello delle autonomie speciali ove sono presenti competenze regionali (e provinciali) esclusive”. Appare evidente la necessità, contenuta nel disegno costituzionale, di non consentire ad una parte dell’ordinamento (come le Regioni a statuto speciale) di concretizzare attraverso l’uso autonomo della legislazione esclusiva, lesioni ai “principi di sistema”.
In tale contesto, importanti pronunciamenti, anche se sul piano più istituzionale che legislativo, si sono registrati nel tempo con l’Intesa Interistituzionale formalizzata, ironia della sorte, proprio a Cagliari il 20/03/2003 tra tutte le Regioni a statuto speciale e Province autonome con le rappresentanze degli enti locali dei rispettivi territori, finalizzata a sancire un’interpretazione di favore per Comuni e Province in ordine all’estensione delle garanzie di maggiore autonomia previste dal nuovo quadro costituzionale, e con alcuni ordini del giorno approvati al Senato il 27/05/2003 contestualmente all’approvazione della l. cost. n. 3/2001 a beneficio degli enti locali ricompresi nelle regioni a statuto speciale, “tenendo conto che le autonomie più a rischio non dispongono di forme di garanzia ad hoc, quale l’accesso alla Corte Costituzionale, previste invece in altri ordinamenti (come Germania e Spagna) e postulate, tra l’altro, in documenti sovranazionali di particolare rilievo, come la Carta europea dell’autonomia locale del 1985”[6].
A questo punto, dopo l’appello-manifesto dell’11/10/2013 attraverso il quale 44 Costituzionalisti censurano la periodica pratica legislativa volta ad incidere sull’architettura istituzionale con strumenti inappropriati e, soprattutto, senza un disegno ragionato e coerente di riforma di tutto il sistema della autonomie locali, arrivano anche i contributi della giurisprudenza, che dovrebbero indurre il Parlamento a valutare con maggiore attenzione giuridico-istituzionale il calendarizzato disegno di legge n. 1542 (Delrio), meglio conosciuto come “svuota Province”.
Per i prossimi giorni è altresì attesa la sentenza del TAR di Palermo[7] sul ricorso presentato da alcune Province siciliane avverso il medesimo commissariamento operato dalla Regione Siciliana in vista dell’annunciata riforma dell’ente intermedio. Anche in questo caso i ricorrenti nel chiedere l’annullamento dei commissariamenti, hanno chiesto ai Giudici amministrativi di eccepire la questione di costituzionalità della presupposta l.r. n. 7/2013 per violazione degli articoli 5 e 114 della Costituzione. Ma in questo caso, la problematica si prospetta ancora più complessa rispetto a quella oggetto dell’ordinanza del TAR Sardegna qui commentata, atteso che mentre l’art. 43 dello Statuto della Sardegna dota espressamente le Province sarde di copertura statutaria e quindi costituzionale, l’art. 15 dello Statuto siciliano prevede quale ente intermedio dell’ordinamento delle autonomie locali regionale il “libero consorzio di comuni” e non le Province. Le Province “regionali” in Sicilia sono state formalmente istituite solamente da una legge ordinaria, la l.r. n. 9/86 sulla quale abbiamo già espresso più di una perplessità in ordine alla relativa conformità statutaria[8]. La questione, come già commentato in altra occasione[9] non è terminologica, infatti, al di là del nomen iuris di volta in volta utilizzato per individuare l’ente intermedio (province, liberi consorzi di comuni, comunità di valle ecc…) è fondamentale stabilire se si vuole introdurre nell’ordinamento locale un ente territoriale di governo dotato di copertura costituzionale ovvero un ente non territoriale (consortile o associativo) e come tale sprovvisto della citata copertura costituzionale.
[1] Corte Cost. sent. nn. 378/2000, 286/97.
[2] Corte Cost. sent. n. 83/97.
[3] Corte Cost. sent. n. 229/2001.
[4] Corte Cost. sent. n. 238/2007.
[5] Corte Cost. sent. n. 52/1969.
[6] Gian Candido De Martin, “Le garanzie per gli Enti Locali nelle Regioni a Statuto speciale”, dispensa per la S.S.P.A.L.
[7] L’udienza pubblica si è celebrata il 5 dicembre 2013.
[8] Si consenta il rinvio a Massimo Greco, “La temuta incostituzionalità della legge istitutiva delle “Province Regionali” in Sicilia”, su Forum di Quaderni Costituzionali, 27/06/2012.
[9] Si consenta il rinvio a Massimo Greco, “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale”, su “Amministrazione In cammino”, Rivista elettronica di diritto pubblico, pubblicata sul web all’indirizzo www.amministrazioneincammino.luiss.it, 24/11/2011.