Un folto numero di professori ordinari di materie giuspubblicistiche ha sottoscritto l’11 ottobre scorso e inviato alle Commissioni affari costituzionali del Parlamento e a tutti i gruppi parlamentari un appello che richiama le forze politiche ad affrontare la riforma del sistema delle autonomie locali in modo coerente e senza strappi, superando la sconnessa e neocentralistica “legislazione della crisi” degli ultimi anni, senza operazioni di pura immagine, destinate a produrre danni profondi e duraturi sull’efficacia, sull’efficienza e sulla tenuta democratica del nostro sistema autonomistico.
Il documento tocca i tre punti centrali di una seria e organica politica di riassetto del sistema delle autonomie comunali e provinciali, che rafforzi i governi locali conseguendo effettivi risparmi di spesa.
Sulle Province si sottolinea che ogni ipotesi di soppressione o decostituzionalizzazione appare contraddittoria e in contrasto con i principi autonomistici della Costituzione e con la Carta europea delle autonomie locali: infatti, le funzioni di area vasta che caratterizzano il livello provinciale non sono attribuibili né ai Comuni (nei cui confronti sono esercitate) né alle Regioni (enti di programmazione, non di gestione). Ma appare anche incoerente con gli obiettivi proclamati, perché produrrebbe aggravi di costi, paralisi o complicazioni decisionali (si pensi a enti intermedi in forma associativa tra Comuni), rischi di distruzione di apparati e di competenze tecniche oggi essenziali sul territorio, anche per la tutela della legalità contro la corruzione e la criminalità organizzata e la qualità dell’amministrazione.
Nel contempo si devono affrontare, con soluzioni appropriate e finalmente operative, i nodi che pesano sempre più sulle difficoltà di governo locale nelle aree metropolitane e nelle realtà caratterizzate dalla frammentazione dei piccoli Comuni. L’immediata istituzione di Città metropolitane darebbe la necessaria risposta al rafforzamento della capacità di governo in aree strategiche dove si concentra quasi la metà della popolazione italiana. Qui le Province scompaiono e si dà luogo ad un governo metropolitano in grado di rappresentare e di operare scelte per l’intera area, con forme nuove di collaborazione e interazione tra il Comune capoluogo e gli altri Comuni dell’area metropolitana. Già questa misura sarebbe una semplificazione notevole del nostro sistema amministrativo. Istituite le Città metropolitane, sarà poi possibile (e necessario) rivedere i confini e ridurre il numero complessivo delle Province nella restante parte del territorio nazionale.
Quanto ai piccoli Comuni, la cui autonomia è sempre più virtuale, è indispensabile dar vita a soluzioni istituzionali di prossimità che assicurino capacità di governo delle funzioni e di gestione efficiente dei servizi locali, in grado di dare risposte effettive ai bisogni fondamentali dei cittadini residenti nel territorio. Occorre procedere, quindi, con decisione verso forme associative obbligatorie (unioni di Comuni), alle quali attribuire tutte o la gran parte delle funzioni comunali, incentivando altresì processi di fusione, con la garanzia dell’identità dei territori.
Queste le “vere e urgenti riforme amministrative” che servono al paese, accompagnate da una distribuzione delle funzioni che eviti ogni sovrapposizione di competenze tra livello comunale e provinciale e dal disboscamento, drastico e immediato, della fitta giungla di migliaia di enti pubblici e di società in controllo pubblico proliferata negli ultimi anni a livello regionale/locale, con un gigantesco spreco di risorse e scarsa trasparenza.