OPENING UP THE PREFECTORAL BOX: UNA RICERCA COMPARTA SUI PREFETTI E LO STATO NELL’UNIONE EUROPEA – Roma, 4 ottobre 2012

22.05.2012

Il convegno, organizzato e promosso dalla Scuola superiore dell’Amministrazione dell’Interno, ha rappresentato l’occasione per illustrare le prime conclusioni del gruppo di ricerca di Sociologia dello Stato istituito nell’ambito del European Group for Public Administration coordinato da Wim Van de Donk (Professore di scienza politica, Commissaire de la Reine du Brabant setentrionale) e Jean-Michel Eymeri-Douzans (Professore di scienza politica/IEP de Toulouse/LaSSP) e di cui fanno parte accademici di differenti ambiti disciplinari (antropologi, sociologi, scienziati della politica, storici e giuristi).

Dopo i saluti del Sottosegretario di Stato all’Interno, Giovanni Ferrara, la prima sessione ha affrontato il tema degli strumenti di analisi e valutazione empirica delle istituzioni ed è stata aperta dalla Dott.ssa Luciana Lamorgese (Capo Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie) che ha rilevato con soddisfazione come, per quanto fortemente discussa, la figura del prefetto sia ancora estremamente attuale e come nessuno, nemmeno in un periodo di forte crisi istituzionale come quella attuale, si sia spinto a chiederne l’abolizione, come avvenuto, invece, per le amministrazioni provinciali.

Il Prof. Jean-Michel Eymeri-Douzans ha quindi esposto le ragioni e le origini della ricerca comparata sui prefetti, volta anzitutto ad analizzare come e da chi le funzioni prefettizie siano svolte nei paesi dove tale istituto non esiste e come si differenzino tra loro i prefetti nei paesi dove, invece, essi sono previsti e che abbracciano l’intera Europa: dalla Norvegia alla Grecia e dal Portogallo all’Ucraina ed alla Turchia.

In generale, non è corretto qualificare i prefetti a partire dalle funzioni che essi svolgono: sarebbe, infatti, più opportuno definirli come coloro che hanno in carico “l’essenziale”, ovvero coloro che sono sempre pronti a svolgere le funzioni di interesse della collettività.

In particolare, la ricerca si è sviluppata lungo tre direttrici: l’indagine relativa alla supposta eccezionalità del modello francese di istituto prefettizio – nato nel periodo del consolato –, con particolare attenzione alle differenze che intercorrono rispetto al profili dell’intendente di antico regime; l’analisi degli elementi in comune e delle funzioni maggiormente svolte nei differenti ordinamenti; l’analisi del ruolo prefettizio sotto il profilo del coordinamento interistituzionale e interministeriale.

Va, infine, generalmente smentita quella corrente di pensiero che vede nei prefetti un retaggio dello Stato assoluto, quali figure inconciliabili con la dinamica democratica contemporanea: il loro ruolo strategico di supervisione ed organizzazione delle elezioni li rende, invece, i primi garanti degli equilibri democratici.

La Prof.ssa Marianne Kneuer, dell’Università di Hildesheim, è intervenuta sul tema della misurazione della qualità della democrazia che, tuttavia, presuppone una definizione della stessa che può essere intesa sia secondo un’accezione di tipo minimalista (e prettamente procedurale), sia di tipo massimalista (e sostanziale), o secondo un’accezione intermedia. La scelta in favore di una piuttosto che delle altre, influenza decisamente i parametri da adottare per le misurazioni.

Per quanto il modello minimalista – di elaborazione anglosassone – sia il più condiviso, l’esperienza dimostra come il mero piano procedurale non sia sufficiente a fornire un’adeguata misurazione della effettiva democraticità di un sistema istituzionale o di una decisione. Da questo consegue l’aumento esponenziale degli indicatori utilizzati per la “misurazione della democrazia” dai consueti 25 – elaborati anni fa negli USA – agli oltre 100, proposti da studiosi europei. Aldilà di ciò, la misurazione della democrazia non si può limitare ad un’attività esclusivamente statistica, dovendo del pari essere indagati i profili qualitativo e sostanziale.

La sessione successiva, intitolata la funzione prefettizia e i rapporti interistituzionali, si è aperta con la Dott.ssa Fabienne Maron, dell’Istituto internazionale di scienza dell’amministrazione di Bruxelles, che ha illustrato il caso belga dove i Governatori delle province (cinque per ciascuna delle due regioni francofona e fiamminga), di nomina governativa, sono assimilabili ai prefetti italiani, svolgendo le funzioni di commissario sia del governo federale sia del governo regionale. Essi assistono il Consiglio provinciale (eletto dai cittadini) e svolgono una molteplicità di funzioni che vanno dalla gestione delle emergenze, all’organizzazione delle elezioni, alla tutela ed al controllo sui comuni, alla vigilanza contabile, per arrivare all’accoglienza protocollare delle delegazioni straniere.

La Prof.ssa Daniela Piana (Università di Bologna) si è invece concentrata sul caso portoghese, dove la figura del prefetto (successivamente denominato Governatore civile) fu introdotta nel 1832 al fine di affermare l’autorità del governo centrale sul territorio, dove storicamente la Chiesa cattolica poteva vantare un radicamento maggiore. Tale figura non viene tuttavia inserita all’interno di una carriera professionalizzata, ma è sempre stato di nomina governativa, sia durante il periodo autoritario, sia durante la successiva svolta democratica, fatta salva la possibilità – espressamente prevista dalla nuova Costituzione – di abolirne la figura e, con esso, i livelli provinciali, in seguito all’istituzione delle regioni, necessarie per la gestione dei fondi strutturali europei. Recentemente, il nuovo Governo insediatosi nel 2011 ha, dapprima, rinunciato a nominare i nuovi Governatori provinciali, procedendo, in un secondo momento, alla loro definitiva soppressione, più per ragioni simboliche e politiche che non economiche.

La terza ed ultima sessione del convegno ha trattato l’orizzonte a breve e medio termine: le sfide istituzionali e professionali ed è stata coordinata dal Dott. Giovanni Balsamo (Prefetto di Cagliari) che ha introdotto i lavori sottolineando l’importanza della figura del prefetto per quanto concerne la coesione del sistema istituzionale e la tutela della legalità.

Il Prof. Xavier Marchand Tonel, dell’Università di Tolosa, si è concentrato sull’impatto dell’integrazione europea sul ruolo dei prefetti, con particolare attenzione al caso francese, soprattutto in riferimento al ruolo ricoperto in tale ordinamento nell’ambito della gestione dei finanziamenti europei. Ogni richiesta di finanziamento deve, infatti, essere firmata dal prefetto della regione che, non di rado, fatica enormemente ad imporre le sue preferenze, rischiando di essere raggirato dal Governo e dalla stessa Unione europea.

È quindi intervenuto nuovamente il Prof. Douzans, soffermandosi sul caso svedese, in cui la funzione prefettizia è svolta da Governatori di Contea, istituiti nel 1634 per la raccolta delle imposte e l’organizzazione della leva militare e sopravvissuti alla transizione democratica dello Stato scandinavo. Ad oggi, tali funzioni sono svolte per lo più da ex esponenti politici di mezza età che svolgono, da un lato, funzioni paragonabili a quelle di rappresentanti della Corona sul territorio e, dall’altro, di ambasciatori della Contea presso la Capitale. Praticamente assenti sono, invece, le funzioni in materia di sicurezza, ordine pubblico e tributario, mentre sono rilevanti le competenze in ambito di sviluppo economico, colture e pesca. Sono, inoltre, frequenti le riunioni organizzate dal Governo con tutti i Governatori di Contea. Oggi, in particolare, si registra una tendenza all’indebolimento di tali figure, in seguito al trasferimento delle competenze storicamente loro assegnate ad Agenzie territoriali, cui si accompagna un vasto dibattito sull’opportunità di riduzione delle contee.

Il successivo intervento del Prof. Gildas Tanguy (Univeristà di Tolosa) si è brevemente soffermato sulla cultura e l’autorità prefettizia al giorno d’oggi, rilevando come in Francia siano emerse in passato alcune figure che, ricoprendo tale ruolo, avevano raggiunto una notevole notorietà. Intendere i prefetti come figure del tutto terze ed imparziali è tuttavia erroneo, dal momento che sono sì figure professionali, ma sostanzialmente qualificabili come funzionari politici, in virtù della loro competenza a rappresentare il Governo: ciò è ulteriormente avvalorato da fatto che, nell’ordinamento francese, non poche leggi si riferivano ad essi con l’espressione di autorità politica.

In seguito, il Prof. Pierre Karila-Cohen (Università di Rennes 2) ha rilevato come la cultura prefettizia, in Francia, si sia evoluta passo dopo passo a partire dall’800 e come il termine che maggiormente caratterizza tali figure sia quello di autorità. Fin dalla loro istituzione, si poneva infatti il problema del rapporto intercorrente tra essi e i militari. Considerate la loro funzioni di “personificazione” del Governo centrale, particolarmente accurata era la selezione rispetto a criteri quali il portamento, le buone maniere, lo stato di salute e l’infermità che, spesso, erano prioritarie rispetto alla valutazione sulle abilità politiche. La stretta connessione tra aspetto fisico e qualità morali, particolarmente sostenuta nel XIX sec., facevano sì che, in taluni casi, un piccolo difetto quale una difficoltà di deambulazione o una statura non molto elevata, precludessero qualunque promozione anche al solo ruolo di viceprefetto: la perfezione nell’aspetto fisico doveva, infatti, riflettere la perfezione dello Stato. Tale approccio è ormai del tutto superato, anche in seguito all’ingresso delle donne nel corpo prefettizio: come unico retaggio del passato rimane, invece, l’uniforme.

Nella tavola rotonda finale, sul tema la funzione prefettizia in Italia: come affrontare un’agenda istituzionale complessa, il Dott. Andrea De Martino, Prefetto di Napoli, considera il prefetto come il soggetto intitolato a svolgere tre funzioni fondamentali quali la promozione delle autonomie territoriali, la crescita economica in regime di sicurezza, nonché il bilanciamento dei diritti costituzionali, con particolare attenzione al diritto di sciopero ed al diritto al godimento dei servizi pubblici.

Il Dott. Ermanno Granelli (Consigliere della Corte dei Conti) concepisce, invece, il prefetto come un facilitatore della semplificazione istituzionale, un unificatore ed un garante della legalità che deve agire perseguendo, senza dubbio, l’efficacia, l’efficienza e l’economicità, ma anche, se non soprattutto, l’etica. I prefetti, insieme alle forze dell’ordine ed alla Corte dei Conti, dovrebbero essere i fari dell’etica e avere un ruolo chiave nella lotta ai reati contro la PA, costituendo una sorte di rete nazionale di prevenzione della corruzione, insieme ai loro collaboratori che dovrebbero parimenti essere al di sopra di ogni sospetto. Prevenire simili reati è indispensabile per risalire le classifiche internazionali di transparency e attrarre investimenti esteri.

La Prof.ssa Daniela Piana, alla luce di un’analisi delle vicissitudini degli ultimi vent’anni, ha rilevato come i prefetti possano incidere sulla qualità della democrazia in Italia. A livello procedurale si è, infatti, registrata una progressiva delegittimazione della rappresentanza ed un calo della partecipazione elettorale che resta, comunque, superiore agli altri paesi; a questo si accompagna l’esasperata frammentazione e radicalizzazione della competizione politica, unita ad un alto tasso di trasformismo dei rappresentanti. Ciononostante, il nostro sistema ha mostrato di possedere un buon livello di flessibilità e di sapersi adattare ai mutamenti poggiandosi, in particolare, sulle istituzioni di garanzia (Presidente della Repubblica, Magistratura, …) che sono chiamate a svolgere spesso compiti di tipo politico. In questo vortice viene trascinato anche il prefetto che, spesso, svolge un ruolo politico al di sotto di un “cappello” normativo-ordinamentale. Per quanto, in questo modo, il sistema abbia mostrato di avere le risorse per funzionare comunque efficacemente, tale alterazione dei ruoli non può essere letta in modo positivo, alterando i checks and balances su cui si poggia il sistema istituzionale.

Il Dott. Giuseppe Roma (Direttore generale del CENSIS), in conclusione, ha rilevato come il prefetto rappresenti un’autorità del territorio, chiamato però ad operare in un ambiente istituzionale labile e indefinito a causa della forma incerta dello Stato italiano, delle costanti riforme incompiute e delle tendenze populistiche, nonché delle particolarità della struttura europea in cui è difficile svolgere in concreto un effettivo controllo democratico.

Potendo qualificare il prefetto come un politico nel senso etimologico del termine, sarebbe quanto mai necessario rendere più chiaro il quadro istituzionale in cui deve muoversi, anzitutto, determinando al meglio le funzioni pubbliche ad esso demandate (di garanzia della legalità, della partecipazione democratica, della coesione sociale e delle garanzie civili per le pari opportunità) e, rendendolo compiutamente l’armonizzatore ed un effettivo punto di riferimento per le istituzioni locali.

Quel che è certo è che in futuro avremo sempre più bisogno dei prefetti, sia per attuare un adeguamento delle politiche di livello nazionale sia per promuovere una nuova pedagogia della regolazione in grado di garantire un riscatto sul piano etico.

a cura di Alessandro Maria Baroni