La sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 21 del 2012 si pone ad ideale completamento di quanto già affermato dalla stessa Adunanza plenaria con la sentenza 4 maggio 2012 in tema di ambito di applicazione e finalità delle dichiarazioni richieste agli operatori partecipanti alle gare ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
In particolare, la vicenda controversa riguarda il caso di un amministratore incensurato (cessato dalla carica nel triennio precedente) di una società fusa per incorporazione con il soggetto partecipante alla gara oggetto di contestazione. Il bando di gara, riproducendo pedissequamente il testo dell’art. 38, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006 imponeva ai concorrenti di rendere la dichiarazione di assenza di condanne penale indicando anche gli “gli eventuali soggetti cessati dalle cariche societarie suindicate nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando”, senza nulla aggiungere in merito alle ipotesi di fusione ovvero ad altre fattispecie di trasformazione societaria.
Preliminarmente, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato avverte come la questione di diritto sia simile, per certi versi, a quella già decisa con la richiamata sentenza n. 4 del 2012, resa con riferimento alla (parzialmente) diversa ipotesi di cessione di azienda, precisando al contempo come non intenda “discostarsi dai principi di diritto ivi espressi”.
Il profilo di maggior interesse, peraltro, è costituito dal richiamo alla necessità di operare attraverso valutazioni caso per caso, ossia verificando se l’operazione societaria presupposta all’acquisizione dei requisiti soggettivi sia da ritenersi elusiva (o meno) dei divieti posti dall’art. 38, del d.lgs. n. 163 del 2006. In questo senso, depone la circostanza che nell’Adunanza plenaria n. 21 del 2012 si menzionino espressamente due “essenziali elementi di fatto: a) l’omessa dichiarazione non riguarda un amministratore in carica del soggetto incorporato, ma un amministratore già cessato anche dalla società incorporata; b) mentre nel caso deciso dalla plenaria n. 10/2012 l’amministratore dell’azienda ceduta aveva pregiudizi penali, in tale vicenda l’amministratore cessato della società incorporata era incensurato”.
Ferma restando la natura tassativa e, quindi, insuscettibile di interpretazione analogica del divieto contenuto nell’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, il Consiglio di Stato torna a ribadire che “nella causa di esclusione in esame non possa non ricadere anche l’ipotesi in cui affiori l’intento di eludere la norma in relazione a vicende in atto o prevedibili”, per l’evidente ragione che “diversamente opinando si finirebbe infatti col disattendere lo scopo stesso della preclusione di legge, da individuarsi sicuramente in quello di impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale”.
Proprio in considerazione del particolare prospettiva all’interno della quale occorre valutare l’operazione societaria, si ritiene che le questioni relative alla successione universale o particolare che la dottrina civilistica ricollega ai diversi fenomeni non assumano rilievo decisivo.
Pur dando conto dell’evoluzione degli istituti nella giurisprudenza della Cassazione e, in particolare, delle modifiche apportate all’art. 2504-bis c.c., il consiglio di Stato afferma come l’inquadramento civilistico della vicenda societaria “non sposta i termini della questione sottoposta alla plenaria”.
Si legge nella sentenza n. 21 del 2012, infatti, come “anche a voler aderire alla prospettazione secondo cui non vi è estinzione delle società partecipanti all’operazione societaria, ma loro continuità nel nuovo soggetto, a maggior ragione perdura, per le società che proseguono sotto la nuova identità della società incorporante o risultante dalla fusione, l’onere di rendere la dichiarazione relativa ai propri amministratori cessati” e, ciò, in quanto, “la società incorporante o risultante dalla fusione – se non è, in base a tale ricostruzione, un successore universale – tuttavia nemmeno è un soggetto «altro» e «diverso», ma semmai un soggetto composito in cui proseguono la loro esistenza le società partecipanti all’operazione societaria”.
Con il che si deduce come “non si possono considerare «altrui» gli amministratori che sono amministratori di un soggetto che è parte del tutto, e che conserva la sua identità originaria sotto una diversa forma giuridica”, perché “diversamente opinando, si arriverebbe alla paradossale conclusione che date due società A e B aventi ciascuna amministratori con pregiudizi penali, a seguito di fusione esitante nella società C, quest’ultima non sarebbe tenuta a rendere dichiarazione né per gli amministratori della società A né per quelli della società B”.
Così chiariti i termini di inquadramento generale delle finalità perseguite attraverso l’estensione dell’obbligo di rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38 anche nei confronti dei soggetti diversi dall’operatore formalmente concorrente, nella vicenda controversa il Consiglio di Stato ha ritenuto non sussistenti i presupposti di applicazione del divieto di partecipazione sulla base di un’attenta ricostruzione dei fatti.
E, in effetti, nella sentenza, oltre a ricordare come la lex specialis non avesse espressamente esteso l’obbligo della dichiarazione anche alle società fuse o trasformate, ci si sofferma sulla circostanza ritenuta decisiva per cui “a differenza che nel caso concreto … deciso dalla plenaria n. 10/2012, la vicenda societaria non appare in alcun modo posta in essere in funzione di elusione delle regole di partecipazione alle gare per l’affidamento di pubblici appalti”.
A conforto di tale conclusione si richiama la circostanza che “l’amministratore cessato di cui si discute, – e già cessato presso la società incorporata prima ancora che la fusione avesse luogo – , è incensurato”, con la conseguenza che “la omissione di dichiarazione, o, meglio, la dichiarazione resa in gara, secondo cui non ci sono amministratori cessati nel triennio, è del tutto innocua perché non è volta a nascondere circostanze rilevanti”.