L’intervento dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato viene sollecitato da una richiesta di parere, formulata dal Ministero per i beni e le attività culturali, circa l’applicabilità dell’art. 12[1], D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (verifica preventiva dell’interesse culturale)[2] ai beni già appartenenti ad enti pubblici economici trasformati in società di capitali di diritto privato.
Due sono le questioni esaminate dal Consiglio di Stato: in primis, se l’art. 12 sia applicabile ai beni (mobili e immobili) appartenenti a enti pubblici che abbiano subito un mutamento del regime giuridico e siano stati coinvolti nel processo di c.d. privatizzazione; in secondo luogo, se la disposizione in esame debba essere considerata retroattiva (e, pertanto, suscettibile di applicazione anche alle c.d. privatizzazioni realizzate prima della sua entrata in vigore) ovvero il suo ambito di applicazione sia necessariamente circoscritto alle trasformazioni verificatesi a decorrere da tale data.
La soluzione positiva al primo quesito deriva sia dalla considerazione che «quella di “bene culturale” costituisce una caratteristica intrinseca del bene stesso, sicché essa non può essere perduta in virtù del semplice mutamento del regime giuridico del soggetto cui il bene fa riferimento», sia dall’asserita neutralità della formula societaria rispetto alla determinazione della natura giuridica del singolo soggetto, rilevando, a tal fine, le finalità pubblicistiche concretamente perseguite, nonché l’assoggettamento ad una disciplina in parte derogatoria rispetto a quella dettata per il modello societario tradizionale. Tale soluzione, infine, è confortata anche dalla formulazione dell’art. 12, comma 9, d. lgs. n. 42/2004 che, sancendo espressamente l’applicazione delle disposizioni sulla verifica preventiva dell’interesse culturale ai beni di proprietà di enti che “mutino in qualunque modo la loro natura giuridica”, costituisce «indice significativo [..] della persistenza del valore culturale» dei beni appartenente a soggetti privatizzati, nonchè dell’irrilevanza dei processi di privatizzazione per escludere detti beni dal conseguente regime di tutela.
Quanto all’efficacia ex tunc o ex nunc dell’art. 12, comma 9, l’Adunanza Generale conclude per la prima soluzione sia per evitare «irragionevoli disparità di trattamento» (che senza alcun dubbio si verificherebbero laddove si introducessero regimi giuridici differenti a seconda dell’epoca del processo di privatizzazione), sia «per considerazioni legate all’applicazione [della disciplina] che ne hanno già fatto [..] i soggetti privatizzati», i quali hanno richiesto ed ottenuto spontaneamente la verifica dell’interesse culturale di beni di loro proprietà anche nel caso di privatizzazioni intervenute prima dell’entrata in vigore della norma.
La soluzione prospettata dal Consiglio di Stato risulterà utile, pertanto, per consentire ai soggetti derivanti dai processi di privatizzazione, proprietari di beni di interesse culturale, di usufruire del regime di tutela interinale del bene culturale proprio dell’art. 12, comma 1, in attesa di ottenere, all’esito del procedimento di verifica dell’interesse culturale, la certezza o meno sulla sussistenza o meno di tale interesse.
[1] L’art. 12 prevede che le cose mobili ed immobili indicate all’art. 10, comma 1, che risalgano ad oltre cinquant’anni e che siano di autore non più vivente, siano sottoposte provvisoriamente alla disciplina di tutela dei beni culturali (comma 1) fino al compimento di un apposito procedimento di verifica della sussistenza di tale interesse, azionabile d’ufficio o su richiesta dei soggetti interessati (comma 2). All’esito di tale procedimento sopravviene – in caso di verifica positiva – la definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di tutela (comma 7) ovvero, in caso contrario, l’esclusione dall’applicazione delle disposizioni di tutela di cui al Titolo I del Codice (comma 4), nonché, per i beni appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici, la sdemanializzazione, qualora non ostino altre ragioni di pubblico interesse. Sia i beni sottratti all’applicazione delle norme di tutela, sia quelle sdemanializzati sono liberamente alienabili (comma 6).
[2] Per ulteriori approfondimenti si rinvia a G. Leone, A. L. Tarasco (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, 2006 nonché A. L. Tarasco, Beni, patrimonio e attività culturali: attori privati e autonomie territoriali, Editoriale scientifica, Napoli, 2004.