Corte costituzionale, 17 ottobre 2011, n. 277
Giudizio di legittimità costituzionale promossa dallo Tribune civile di Catania nel procedimento vertente tra Salvatore Battaglia e Raffaele Stancanelli ed altri.
Norme impugnate:
Il Tribunale civile di Catania solleva questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 3, 51, 67 e 97 Cost. – nei confronti degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 recante “Incompatibilità parlamentari”, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
Lo stesso Tribunale, inoltre, per garantire l’uniformità della previsione tassativa delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità in materia elettorale su tutto il territorio nazionale, estende le censure anche alle seguenti leggi della regionale Sicilia: legge regionale 24 giugno 1986, n. 31; legge regionale 26 agosto 1992, n. 7 e legge regionale 15 settembre 1997, n. 35, sempre nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare nazionale e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti e viceversa.
Argomentazioni della Corte:
La Corte costituzionale, innanzitutto, interviene sulle censure relative alle leggi regionali disposte dal rimettente. La Corte se da un lato riconosca alla Regione siciliana la titolarità di una potestà legislativa di tipo primario; dall’altro, tuttavia, ricorda che tale potere “deve peraltro svolgersi in armonia con la Costituzione e i princípi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché delle altre disposizioni dello statuto” (sentenza n. 143 del 2010). La Corte afferma che l’esercizio di tale potere, ancorché attribuito in via primaria alle Regioni a statuto speciale, incontra necessariamente “il limite del rispetto del principio di eguaglianza, così sancito ai sensi dell’art. 51 Cost” […] e deve essere conforme “ai princípi della legislazione statale, a causa della esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale”(sentenza n. 288 del 2007).
Oltre all’esigenza di uniformità, la Corte, prendendo ora come parametro l’art. 65 Cost., individua una precisa riserva di legge statale, escludendo al legislatore regionale la possibilità di determinare le cause di incompatibilità (oltre che di ineleggibilità) con l’ufficio di deputato o di senatore. Dunque, “spetta solo allo Stato la competenza di stabilire i casi di incompatibilità con siffatte cariche” (sentenze n. 456 del 2005, n. 127 del 1987 e n. 60 del 1966).
L’oggetto del giudizio va, quindi, circoscritto al solo scrutinio degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge n. 60 del 1953, censurati nella parte in cui non prevedono “l’incompatibilità tra la carica di Parlamentare e quella di Sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti […]”.
Secondo il rimettente, le disposizioni della censurata legge statale contrasterebbero nei seguenti punti: a) con gli artt. 3 e 51 Cost., per violazione del principio costituzionale che esige l’uniforme garanzia per tutti i cittadini, in ogni parte del territorio nazionale, del diritto fondamentale di elettorato attivo e passivo, giacché la mancata previsione del divieto di cumulo può comportare una disparità di trattamento tra la posizione di coloro che sono già parlamentari ed intendono candidarsi alla carica locale, sui quali non grava alcun obbligo, e coloro che, invece, sono titolari di un ufficio pubblico locale e intendono partecipare alla competizione elettorale per uno dei rami del Parlamento, sui quali grava l’obbligo di dimettersi preventivamente; nonché per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto un soggetto non può assumere durante il proprio mandato uffici o cariche che gli avrebbero precluso l’eleggibilità rispetto a quello ricoperto per primo; b) con l’art. 67 Cost., in ragione della possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali ed organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del principio di libertà di mandato, per possibile conflitto di interessi tra l’impegno del deputato e quello di sindaco; c) con l’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli uffici di sindaco di un Comune con rilevante popolazione e di parlamentare nazionale può ripercuotersi negativamente sull’efficienza e imparzialità delle funzioni cumulativamente esercitate.
Sulla questione, la Corte nel rispondere all’Avvocatura dello Stato circa la propria legittimazione nell’intervenire sulla materia, richiama da un lato la volontà di “eliminare il vulnus derivante dalla evidenziata lacuna normativa attraverso la trasposizione speculare della causa in esame (direttamente ricavata dal sistema delle ineleggibilità dei parlamentari) nell’ambito delle altre cause di incompatibilità con tale carica elettiva indicate nei censurati articoli della legge n. 60 del 1953”; dall’altro prende in riferimento l’art. 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, conv. con mod., dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in base al quale “le cariche di deputato e di senatore sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti […]. Le incompatibilità di cui al primo periodo si applicano a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto. […]”. Dunque, secondo la Corte, “è evidente come la novellazione legislativa indichi una palese opzione per la introduzione di una simmetrica e corrispondente operatività fra condizioni di ineleggibilità e di incompatibilità, intesa a soddisfare proprio quella esigenza di riequilibrio atta a colmare quelle lacune legislative”.
Entrando nel merito, la Corte cita l’art. 7, primo comma, lettera c), del d.P.R. n. 361 del 1957, recante il testo unico per l’elezione della Camera dei deputati, il quale sancisce che: “Non sono eleggibili: […] c) i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti». A sua volta, l’art. 5 del decreto legislativo n. 533 del 1991, recante il testo unico per l’elezione del Senato della Repubblica, il quale dispone che: «Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati […].
La Corte censura gli articoli da 1 a 4 della legge n. 60 del 1953 in quanto “nulla prevedono, in termini di incompatibilità, per il caso in cui la identica causa di ineleggibilità sia sopravvenuta rispetto alla elezione a parlamentare”. Si tratta, dunque, secondo la Corte, di verificare “la coerenza di un sistema” nel quale da un lato si esclude la possibilità per i sindaci di grandi Comuni di essere eletti alla Camera dei deputati o al Senato della repubblica; dall’altro si rileva la mancata previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale. La Corte, pertanto, muove la propria analisi con l’intento di “ricondurre il sistema ad una razionalità intrinseca altrimenti lesa”. Il perseguimento di tale finalità “non può trovare attuazione se non attraverso l’affermazione della necessità che il menzionato parallelismo (ineleggibilità ed incompatibilità) sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 51 Cost.” (sentenza n. 201 del 2003).
In assenza di una causa normativa idonea ad attribuirne ragionevole giustificazione, la previsione della non compatibilità di un munus pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione. Tanto più che la regola della esclusione “unidirezionale” viene in concreto fatta dipendere, quanto alla sua effettiva operatività, da una mera circostanza temporale, a esclusivo vantaggio dei parlamentari: se l’incarico di sindaco precede quello di parlamentare, il cumulo non è consentito; se, al contrario, è l’incarico di parlamentare a precedere temporalmente quello di sindaco, nessuna norma dispone divieto del cumulo.
Conclusioni della Corte:
La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (Incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti; dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale delle legge regionali in oggetto.