L’art. 12 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 stabilisce che: “L’impiegato deve risiedere nel luogo ove ha sede l’ufficio cui è destinato. Il capo dell’ufficio, per rilevanti ragioni, autorizza l’impiegato a risiedere altrove, quando ciò sia conciliabile col pieno e regolare adempimento d’ogni altro suo dovere; dell’eventuale diniego è data comunicazione scritta all’interessato”.
Appare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame in base agli artt. 3, 16, 97 e 98 della Costituzione. Sebbene al momento della emanazione della disposizione, fosse ragionevole da parte della P.A. verificare “caso per caso, a domanda del dipendente, la compatibilità della residenza in luogo diverso da quello dello svolgimento dell’attività lavorativa, autorizzando anche all’uso del mezzo privato”, il mutare delle condizioni non rende più ragionevole la presenza della disposizione normativa nell’ordinamento (si veda l’attuale sviluppo infrastrutturale con tecnologie, offerta di mezzi – sia privati che dei servizi di pubblico trasporto-, che consentono di compiere il percorso quotidiano per il lavoro con tempi ordinariamente pianificabili).
La norma in esame, nel corso degli anni, è stata interessata da diverse abolizioni e/o limitazioni anche ad opera dei CCNL (è infatti in vigore per i settori del pubblico impiego di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, esclusi gli ambiti previsti dall’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 165/01 allegati A e B). L’art. 12, T. U. n. 3/57 rimane invece in vigore per le altre categorie di pubblici dipendenti, determinando una disparità di trattamento “non supportata da particolari ragioni oggettive, trasformando la norma da ragionevole in una norma irragionevole”.