Raffaele Chiarelli, Profili costituzionali del patrimonio culturale, Giappichelli editore, Torino, 2010, pp. VIII – 488.

07.05.2011

Un inno alla libertà – Recensione in occasione dell’annuncio della prima ristampa del volume  

 

Chi ha avuto la fortuna di leggere altri lavori di Raffaele Chiarelli sa bene che l’autore parte da lontano per arrivare, quasi incidentalmente, al diritto. Si sale a bordo dei ponderosi volumi di Chiarelli e attraverso interessanti strade, solo apparentemente secondarie, che vanno dalla storia alla mitologia, dalla filosofia  all’antropologia, dalla psicoanalisi alla linguistica e alle altre scienze, ci porta dritti al punto di diritto che interessa l’Autore: la libertà.

Dei veri e propri vasi di pandora, da dove escono spunti, riflessioni, intuizioni, che stupiscono per vastità e per competenza.

Anche l’ultima fatica del Prof. Chiarelli non smentisce queste caratteristiche ed il titolo, “Profili costituzionali del patrimonio culturale”, non deve indurre in inganno.

Basta iniziare a leggere le prime pagine del volume per capire che non si è di fronte ad un trattato meramente giuridico, ma un volume molto più ambizioso ed impegnativo.

Il patrimonio culturale è solo lo spunto per consentire all’autore di parlare dell’uomo e della cultura, partendo dal binomio inscindibile che lega i due termini: non c’è uomo senza cultura e non c’è cultura senza uomo.

La cultura, infatti, secondo l’autore, è tutto ciò che concorre a formare l’identità umana; una molteplicità di fattori in continua evoluzione e trasformazione, che trovano inizio e fine nell’uomo, secondo un moto circolare infinito di causa ed effetto, in cui prodotto e produttore si identificano.

Per garantire lo sviluppo della cultura e conseguentemente la crescita della società umana, intanto non si può parlare di cultura nazionale, ma universale ed il diritto costituzionale non deve preoccuparsi di garantirne la tutela in quanto finirebbe per raggiungere l’obiettivo opposto.

Il diritto deve preoccuparsi di garantire la libertà ed eque condizioni di vita.

Ecco perchè il libro di Chiarelli, più che un trattato costituzionale sul patrimonio culturale italiano, è stato definito un inno alla libertà (C. Rossano, G. Guarino).

La capacità di produzione culturale degli uomini è tanto maggiore, quanto maggiore è il loro grado di libertà e di benessere. Non solo, ma ogni produzione culturale ha la sua dignità e contribuisce a creare le molteplici identità, che non devono prevalere l’una sulle altre, né annullarsi reciprocamente, ma convivere e coesistere nella società, come all’interno di ogni singolo essere umano.

Le differenze razziali non esistono (come hanno dimostrato gli insuccessi catalogativi di Linneo, Buffon, Huxley), non perché gli uomini sono tutti uguali, ma proprio perché, viceversa, sono tutti diversi (Frank Livingstone, Sulla la non esistenza delle razze umane, 1963).

All’interno di ogni persona, infatti, esistono più identità e dimensioni, le quali possono anche entrare in contrasto fra loro, ma che alla fine devono coesistere.

Né può affermarsi che la memoria e l’eredità genetica non influenzano anche “i nostri valori, le nostre abitudini, i modi con cui ci mettiamo in rapporto con gli altri” (G. Barbujani, L’uguaglianza attraverso i popoli, in Il Sole 24 Ore, del 26.9.2010).

Riconoscere le differenti identità (A. de Benoist, Identità e comunità, 2005) non vuol dire riconoscere le alterità, secondo la strumentalizzata dicotomia schmittiana amico/nemico, ma valorizzare le diversità, che sono fonte di inesauribile ricchezza, anche se possono costituire occasione di conflitto.

In campo culturale appare, dunque, anacronistico e insufficiente riproporre populistiche o ideologiche politiche “nazionali” ed è invece urgente un serio approfondimento sulle necessarie architetture politiche globali richieste dai tempi nuovi (cfr. D. Porena, La protezione dell’ambiente tra Costituzione italiana e “Costituzione globale”, 2009), così come insegnava Kant (Per la pace perpetua e Fondazione della metafisica dei costumi): dalle prospettive trascendentali bisogna calare l’attenzione sull’analisi delle strutture sociali esistenti e da modificare (A. Sen, L’idea di giustizia, 2010).

Le nuove politiche di tutela del patrimonio culturale e artistico, inoltre, secondo Chiarelli, devono essere liberate dall’impronta burocratica-statalista di epoca fascista, che né la Costituzione, né la legislazione successiva sono mai riuscite pienamente a realizzare.

Per valorizzare e tutelare il passato senza dimenticare di far crescere il futuro, ancora una volta, è necessario garantire più libertà, come ci raccomanda Chiarelli.

Tuttavia, l’impotenza, l’incapacità e l’inadeguatezza dello Stato, che si registra inevitabilmente anche nel settore dei beni culturali, può essere arginata non con una mera crescita del Mercato, ma solo con una crescita dal “basso”, in cui l’opzione “sussidiaria”, capace di coniugare solidarietà e responsabilità (G. Calzoni, Alle radici della scienza economica. Economia e concezioni dell’uomo, in AA.VV., Economia e concezione dell’uomo, 2007 e F. Felice, L’economia sociale di mercato, 2008), diventa una chiave di operatività indispensabile per tentare di uscire dalla crisi attuale.

Come ci ricorda efficacemente P. Grasselli (Economia e persona, 2007) si può sperare di crescere ancora e bene, solo insieme.

di Simone Budelli